Commercio, libertà e concorrenza
In periodo di saldi le critiche nei confronti dei centri commerciali e degli outlet tornano in auge (si veda ad esempio Aldo Cazzullo sul Corriere del 5 gennaio 2010).
Tre sono i punti che vengono sempre sottolineati.
In primo luogo, centri commerciali e outlet avrebbero qualcosa di intrinsecamente negativo: sarebbero brutti luoghi, privi di elementi di socializzazione, centrati solo sull’acquisto di merci e così via.
In secondo luogo, farebbero una concorrenza troppo spinta e in qualche modo ‘sleale’ nei confronti dei piccoli negozi di quartiere, costringendoli a chiudere.
Ne conseguirebbe, in terzo luogo, la necessità di supportare e aiutare i negozi di quartiere per consentir loro di sopravvivere. E ciò, anche per salvare le nostre città e il nostro modo ‘urbano’ di vivere.
Mi pare che si possano discutere tutti e tre i punti. Nel primo caso, non vedo cosa ci sia di strano nel fatto che si vendano liberamente merci e si acquistino merci in luogo a ciò deputati. E credo che se molta gente frequenta questi luoghi forse è perché, semplicemente, le va di farlo. Senza che ciò indichi di per sé che non apprezzi e faccia mille altre cose per le ragioni più svariate.
Nel secondo caso, credo vada riconosciuto che la chiusura di molti negozi di quartiere non dipende certo dalla concorrenza diretta di centri commerciali e outlet, ma dall’incapacità di innovarsi del piccolo commercio urbano, anche a causa del protezionismo garantito dall’autorità pubblica che ha per lungo tempo difeso le posizioni acquisite e della difficoltà di aprire nuovi negozi generata dalla marea di vincoli e restrizioni pubbliche.
Nel terzo caso, mi pare che supportare l’una parte o l’altra sia sempre un errore che non può che peggiorare il funzionamento del sistema di mercato nel suo complesso. Soprattutto se si vuole favorire la parte che da sempre è stata protetta da una concorrenza più vera. Le nostre città paiono anche a me un ottimo luogo ove vivere e scambiare, ma sono convinto che sarebbero più vive e attive proprio se smettessimo di pensare che possiamo migliorarle solo intervenendo direttamente (tramite forme velleitarie di pianificazione urbanistica, regolamentazioni artificiose e minuziose di settore, politiche ultrafinalizzate, etc.) alla luce di modelli di vita buona imposti dall’alto. Veramente crediamo che centri commerciali e outlet siano responsabili dello spegnimento di molte realtà urbane più dei nostri errori interventisti e delle gabbie soffocanti che abbiamo costruito per tutte le attività urbane? Aggiungo una domanda ovvia: perché mai i periodi di saldi e i modi in cui hanno luogo dovrebbero essere decisi (in città e altrove) dalla parte pubblica?
A margine dell’intero discorso è importante sottolineare che il decreto Bersani, che aveva previsto una certa liberalizzazione del settore commercio, è stato ampiamente disatteso dalle Regioni che hanno per la gran parte reintrodotto approcci dirigisti e programmatori, caratterizzati da dimensionamenti vincolanti e barriere all’ingresso varie.
Tutto quel che ho sostenuto nulla ha ovviamente a che vedere con l’idea, indiscutibile, che qualunque attività commerciale (in città e altrove) debba essere necessariamente soggetta a regolamentazioni varie; ma ciò, solo per evitare danni diretti e tangibili e non certo per perseguire specifici ideali di vita buona.
Per finire, centri commerciali e outlet sono in profonda trasformazione e, per certi aspetti, già desueti. Se sperimentazione sociale ed economica potranno esprimersi in città e nel territorio, nuove forme commerciali verranno incontro a nuovi bisogni. Imprevedibilmente, come sempre.
Concordo sulle considerazioni sull’aspetto economico della relazione Centro Commerciale/negozio tradizionale, i CC funzionano perchè evidentemente vanno a soddisfare un’esigenza dei cittadini-consumatori,
perchè vanno ad ampliare l’offerta, a colmare evidentemente delle lacune del commercio tradizionale.
Ma c’è un altro fattore da considerare, che è quello urbanistico.
Se è giusto non mettere in atto politiche protezionistiche nei confronti di chi di fatto gode di una rendita di posizione (il negozio in centro), è altrettanto vero che il fragilissimo equilibrio sul quale si reggono le nostre città e i nostri centri storici, va necessariamente tutelato dalla Politica.
Un atteggiamento liberista integralista in questo campo avrebbe conseguenze gravi, come dimostra il degrado di quei centri nei quali non è stata messa in atto una adeguata politica di tutela (la scomparsa dei negozi “storici” e il subentro di attività disturbanti e di basso livello qualitativo è direttamente collegata al rapido degrado di interi quartieri).
Quindi, senza criminalizzare outlet e CC, va messo in conto un certo livello di attenzione e di cautela nelle politiche di insediamento di queste forme di commercio nel territorio, in considerazione di questo aspetto.
Caro stefano, l’articolo di Cazzullo mi aveva davvero infastidito, c’è stato u bell’articolo su Il riformista di tono simile al tuo, il giorno successivo, lo devo cercare
Non e’ diverso dall’atteggiamento “contro” Ryanair di molti nella querelle delle scorse settimane … teorie di qua e teorie di la’ hanno fatto dimenticare la realta’ piu’ semplice: se la gente ci va e’ perche’ ci vuole andare, se i CC fanno soldi e’ perche’ il business e’ sostenibile … perche’ c’e’ sempre qualcuno che vuole pr forza di cose insegnare al “popolo bue” cosa fare ?
E’ ovvio che il forte incremento della grande distribuzione negli ultimi anni abbia messo in difficoltà i negozi tradizionali.
Ma questo è un fatto di mercato.
Ben più gravi sono le difficoltà che la piccola distribuzione si trova ad affrontare per mano pubblica.
Io vivo a Bologna, città in cui l’amministrazione pubblica si impiccia anche del fazzoletto con cui uno si soffia il naso.
E allora vi dico che se il centro storico di Bologna, che oltre ad essere uno dei più estesi d’Europa è sempre stato considerato in italia uno dei più vitali e vivaci, sta letteralmente morendo lo si deve alla mano pubblica.
Innanzitutto, la pedonalizzazione forzata estesa da un’area enorme, che inizia alle 7 del mattino e termina alle 20, ha avuto come unico risultato che la gente non si rechi in centro, per evitare multe salatissime. Dal punto di vista inquinamento i risultati sono ridicoli, ed assolutamente non compatibili col danno economico che deriva da questa scelta. Ma il danno è anche per le condizioni di vita della gente, che sta tanto acuore dei nostri politici: la popolazione di Bologna ha un’età media molto alta, e voi ce la vedete la pensionata che prende la macchina e va a fare la spesa all’ipermercato in periferia? Perchè, nel frattempo, parecchi negozi tradizionali (forni, macellerie, drogherie etc) hanno semplicemente chiuso.
Non parliamo dei locali per l’intrattenimento, che oltre a ciò si sorbettano la normativa nazionale riguardo la guida in stato di ebrezza (scemenza colossale..), delle norme antirumore ridicole e mafiosamente gestite dall’Arpa, e controlli dei vigili continui.
Ristrutturare un negozio in centro è impossibile: sono edifici vecchi, e risulta impossibile adeguare gli spazi dei vari ambienti alle norme oggi in vigore.
Ora, io non voglio togliere nulla alle periferie e ai centri commerciali, ma nelle nostre città la vita sociale si è sempre sviluppata nei centri storici. Forse perchè è più carino passeggiare sotto le due torri che fra due capannoni. E infatti, allo svuotamento del centro non è corrisposto nulla.
Vabbeh, mi fermo, ma sarebbe meglio in conclusione che la politica la smettesse di volere tutelare chicchessia: fa solo disastri.
PS: per un amico che ha partecipato alla discussione. Un negozio in centro non ha solo privilegi: paga viceversa affitti da paura. Finchè dura.
@bill
sicuramente a Bologna (come in quasi tutte le maggiori città italiane) sono stati fatti svariati errori di gestione, e altrettanto sicuramente in quella regione nessuno aveva interesse a limitare o ostacolare troppo la GDO (leggi COOP).
in realtà il ragionamento sugli “effetti collaterali” di una troppo repentina mutazione delle modalità di distribuzione delle merci, si è cominciato a fare solo recentemente.
segnalo in particolare questi studi dell’associazione AVOE, che hanno riguardato anche un’ipotesi per il futuro prossimo di Bologna:
http://www.avoe.org/bologna2020.html
Non sono molto d’accordo con “Bill” sugli effetti della pedonalizzazione dei centri urbani.
A Ferrara (quindi stessa regione di Bologna e piu’ o meno stessa mentalita’) esiste da anni un’area pedonale molto estesa, 24 ore su 24. E’ sempre molto frequentata dai cittadini (vedi su http://www.comune.fe.it le webcam installate) ed apprezzata.
Da qualche anno hanno riaperto almeno 3-4 minimarket che hanno tolto clientela ai 3 grandi iper della citta’, servendo in particolare anziani e studenti (2 categorie quasi sempre senza automobile).
La crisi dei negozi ritengo dipenda proprio come e’ stato scritto precedentemente, dalla mancanza d’innovazione. A me ricorda la crisi dei cinema; per anni abbiamo pagato un entrata anche per stare in piedi o seduti su tavolacci. Poi hanno inventato le multisala ed i cinema sono andati in tilt. Bastava pensarci prima….
Chiarisco la mia posizione: il centro storico di Bologna è di grandi dimensioni. Io non sono contrario alla pedonalizzazione, pure totale, di alcune piccole aree (ed ovviamente, in particolare quelle in cui operano più esercizi commerciali). Bloccare invece il traffico privato in tutto il centro storico ha altri, a mio avviso ideologici, obiettivi. Il primo fra questi è incentivare la gente all’uso dei mezzi pubblici, che secondo chi comanda implicherebbe meno inquinamento e una qualità della vita migliore.
Il punto è che, nonostante sanzioni e quant’altro, la gente non è disposta a girare solo su mezzi pubblici per il semplice motivo che sono lenti (la metropolitana non la si vuole fare), che bisognerebbe cambiare diverse linee, perchè si perde troppo tempo.
Altra cosa che ribadisco, i vantaggi sul fronte inquinamento sono minimi.
Sono d’accordo che i piccoli esercizi debbano fare uno sforzo innovativo. E’ anche vero che devono però sottostare ad una lunghissima sfilza di norme penalizzanti, complicatissime, che vanno da norme sul rumore (insisto:ridicole e costosissime) all’impossibilità di intervento sugli immobili, ad orari demenziali riguardo la somministrazione di alimenti, ed anche al solo fatto, ad esempio, di non potere stare aperti oltre certi orari (cosa che ha ridotto Bologna, una volta famosa per la sua vita notturna, ad un anonimo paesone di provincia) etc etc.
Per cui, sì ad uno sforzo creativo da parte della piccola distribuzione, ma accompagnato da norme meno oppressive, da controlli meno asfissianti, da meno tempo fatto perdere in pratiche burocratiche etc etc.
PS: sui saldi, davvero non si capisce perchè un negoziante, sia piccolo che grande, non possa decidere come e quando vuole cosa vendere e a che prezzo. Non è che fra un pò vorranno dirci anche a che ora è possibile farsi la barba la mattina?