ILVA: la lotta tra poteri di Stato sinora ha bruciato 20 miliardi
I 47 rinvii a giudizio per la vicenda ILVA, cominciata nel luglio 2012, non sono solo il primo passo formale di un maxi-processo ormai atteso. Sono in realtà una sconfitta per lo Stato. Perché l’ILVA ormai da tempo è un’azienda tornata di Stato, espropriata ai suoi proprietari senza indennizzo ben prima di un rinvio a giudizio. E siccome l’azienda è di Stato, e i magistrati sono un organo dello Stato, allora il risultato di tre anni in cui lo Stato ha deciso di trattare l‘ILVA come un banco di prova della deindustrializzazione per via giudiziaria è solo una sconfitta dello Stato.
Di questi tempi, dall’ILVA a Fincantieri ad altri casi, i magistrati ripetono che non spetta a loro occuparsi delle conseguenze economiche dei loro atti. Fiat iustitia, pereat mundus. Con l’ILVA espropriata e atterrata, poiché da cinque altoforni il rischio oggi è che ne resti a malapena in attività uno, il mondo finito è quello di un campione della siderurgia europea. Oltre tre milioni di tonnellate di acciaio l’anno in meno – il frutto della tenace azione dei magistrati, contro ogni tentativo di ogni governo di continuare nella produzione, distinguendo indagini da paralisi produttiva – significano non solo la fine del campione europeo, quando era gestito dai Riva. Significa un aumento netto del 32% nel primo semestre 2015 delle importazioni d’acciaio dai paesi extra europei cioè dai giganti asiatici, e del 50% da quando la vicenda giudiziaria è cominciata. Nel solo comparto dei laminati piani, ormai importiamo dall’Asia al ritmo di 4 milioni di tonnellate l’anno, prima degli interventi dei magistrati la quota era del 75% inferiore. Chiunque abbia a che fare con la siderurgia sa che per la manifattura italiana ed europea comprare dall’ILVA è diventata una scommessa, perché dipende dai giudici se tra tre settimane garantirà 6 mila tonnellate di ghisa al giorno o 8mila, visto che i magistrati hanno in corso un altro sequestro al penultimo altoforno attivo.
Molti, oggi, daranno spazio al rinvio a giudizio di Vendola. La destra gongolerà, i titoli saranno su di lui. Nel dibattimento si accerteranno le sue responsabilità. Ma i titoli cubitali dovrebbero essere riservati al danno economico nazionale: per almeno 1,5 punti di PIL – sissignore, oltre 20 miliardi di euro- che sin qui l’economia italiana mette a segno tra diminuzione della produzione e dell’export, aggravio della bilancia commerciale, meno occupati, meno tasse incassate, miliardi di valore bruciato negli impianti ( che da 3 anni, a gestione commissariale, non sono più in grado di produrre un bilancio degno di questo nome, l’ultimo è quello approvato dai Riva..), e perdita ieri oggi e domani dei clienti in Italia ed Europa.
Un disastro assoluto. Che non ha precedenti in Europa. Dove pure, per esempio in Germania e Polonia, esistono eccome impianti simili all’ILVA, nelle vicinanze dei centri abitati. Ma da nessuna parte sono stati sequestrati e bloccati dalla magistratura. Come in nessun altro paese i giudici hanno bloccato conti delle imprese e patrimoni dei soci, materie prime e prodotti finiti, aree di stoccaggio e parchi minerari. Né si sono sognati di decretare lo stop della lavorazione a ciclo continuo.
Possiamo credere che siamo improvvisamente diventati lo Stato europeo e nell’area OCSE più ferreamente intransigente in materia di rispetto dei vincoli ambientali. O piuttosto è uno Stato incapace di far rispettare in precedenza ragionevoli vincoli ambientali, che diventa poi feroce persecutore non di reati compiuti da manager, soci e regolatori pubblici– ottima cosa – ma dell’idea stessa che possa esistere un impianto tanto importante, che è cosa del tutto diversa? Uno Stato incapace prima, e punitivo ed espropriatore poi, disse due anni fa Gianfelice Rocca al suo esordio come presidente di Assolombarda: aveva ragione. Ed è andata ancor peggio.
La politica ci ha provato, diamogliene atto, a limitare i danni. A distinguere tra giuste prerogative della magistratura nel perseguire ipotesi di reato, e necessità della continuità produttiva del sito. Era il 26 luglio 2012, quando Emilio e Nicola Riva e 6 dirigenti dell’ILVA di Taranto furono arrestati. A ottobre, il governo Monti rilasciò una nuova e più accurata Autorizzazione Integrata Ambientale, perché le emissioni e le polveri a Taranto fossero messe in regola con opportuni investimenti. Era novembre, quanto i magistrati tarantini disposero altri arresti. A dicembre il governo Monti intervenne con un decreto ad hoc, la legge 231 del 2012 che venne chiamata “salva-Ilva”, perché nasceva proprio dalla necessità di non interrompere la continuità dell’acciaeria di Taranto, per effetto dei sequestri degli impianti disposti dai magistrati. Ma i magistrati la considerarono incostituzionale. E la Corte costituzionale invece la confermò, nell’aprile 2013. A maggio, contro il parere della Procura, il Riesame dissequestrò i semilavorati e le materie prime dell’acciaeria, garantendole l’operatività, sia pure ridotta a meno della metà. Una settimana dopo, la Procura sequestra ad Adriano ed Emilio Riva 1,2 miliardi. Due giorni dopo, i magistrati dispongono il sequestro di ben 8,1 miliardi di euro, intervenendo su tutto il perimetro delle società controllate in Italia dalla holding, non sull’acciaeria di Taranto.
E nel frattempo il governo Letta interviene il 4 giugno 2013 con un altro decreto. Ma è costretto ad arrendersi. Si stabiliscono, come vuole la magistratura, norme di commissariamento per tutte le eventuali imprese sopra i 200 dipendenti la cui attività produttiva comporti pericoli per ambiente e salute. Il commissariamento pubblico può così sostituirsi agli organi di amministrazione, con contestuale sospensione dell’assemblea dei soci. E assumere su di sé, tramite un commissario, tutti i poteri e le funzioni per un massimo di ben 3 anni, senza rispondere di eventuali diseconomie. Col governo Renzi, la politica tenta di nuovo interventi per garantire la continuità della produzione. Ma i magistrati Impugnano di nuovo alla Corte costituzionale, reiterando malgrado il decreto la chiusura del penultimo altoforno rimasto in funzione.
Perde la faccia lo Stato, perdono i lavoratori, perde l’Italia, perdiamo tutti. Ci si dimentica che l’ILVA a Tarato è stata decisa e realizzata così com’è dallo Stato, non dai privati subentrati quando lo Stato perdeva nell’acciaio pubblico cifre pazzesche. La FINSIDER, che realizzò l’attuale ILVA di Taranto, bruciò in perdite oltre 20mila miliardi di lire nei soli 15 anni pre-privatizzazione. Ma nei 15 anni di proprietà privata, a fronte dei decenni di quella pubblica, gli investimenti in protezione ambientale furono una quota importante degli investimenti totali, e furono superiori agli utili riservati ai soci: queste sono cifre ufficiali, che si leggono nei bilanci privati, mentre i commissari pubblici di bilanci non ne producono.
Si dirà: meglio uno Sato vendicatore di salute e ambiente piuttosto che imbelle. Con tutto il rispetto: è una sciocchezza. Lavoro e ambiente sono due beni fondamentali e costituzionali, quindi necessariamente bilanciati tra loro; bilanciati anche nel diritto fallimentare, là dove si tratta di mantenere la continuità aziendale. Dopo che per oltre mezzo secolo si sono protratti consumo di ambiente e produzione di lavoro, i problemi che sorgono sono collettivi, riguardano l’intera comunità, e vanno risolti con il coinvolgimento di tutti, autorità locali, poteri centrali e proprietà . Espropriata e ripubblicizzata, dell’ILVA doveva occuparsene il parlamento, per la sua eccezionale importanza sull’economia nazionale. Averla ridotta al solo maxi processo dopo averla messa in ginocchio, aver eliminato dal panorama mondiale il secondo gruppo siderurgico in Europa e l’undicesimo planetario – tale era il gruppo Riva – è solo la prova di un paese inconsapevole di come, nella lotta tra suoi poteri pubblici, accelera il suo declino.
Grazie Oscar,
per la professionalità dei Suoi interventi.
Purtroppo la irresponsabilità di certe applicazioni legislative la verifichiamo ogni giorno in tutti i settori della vita quotidiana. Siamo diventati il Paese della confusione………..
Sacrosanto dovere far rispettare le regole in materia di ambiente e sicurezza. Un paese civile non può consentire che i propri cittadini muoiano di lavoro e di inquinamento.
Tuttavia i magistrati avrebbero dovuto muoversi con maggiore cautela, informandosi e cercando di capire gli impatti delle loro conseguenze.
Lo sapevano i magistrati che fermare un altoforno anche per pochi giorni, considerando le procedure di spegnimento, il fermo e le procedure di riaccensione, costa ad un’acciaieria alcuni milioni di Euro?
I magistrati si sono posti il problema che può bastare un fermo di alcune settimane a ridurre irreparabilmente il portafoglio ordini di un’acciaieria?
E qualche domanda in merito agli impatti che può avere sull’economia di un intero paese la chiusura di un’industria così rilevante?
Difronte a un immediato e conclamato rischio di vero disastro ambientale sarebbe stato giusto fermare tutto subito, ma qui stiamo correndo il rischio di aver creato un disastro economico per inseguire il fantasma di un disastro ambientale.
Senza trascurare la fusione dei rottami metallici ferrosi che oggi devono essere spediti in Asia per diventare nuovo acciaio.
Fra trasporto dei rottami e dei semilavorati, fusione nelle acciaierie indiane e cinesi, note per l’inosservanza delle regole ambientali, il bilancio complessivo sull’ambiente è negativo. Il problema ambientale è stato solo spostato più a est a costo di perdite finanziarie ed occupazionali pesantissime. Poiché la maggior parte dell’inquinamento deriva dalla pessima gestione delle polveri, per decenni e decenni l’area rimarrà comunque inquinata.
L’atteggiamento della magistratura sconfina in molti casi da quelli che dovrebbero essere i loro compiti istituzionali, violando prerogativa del Governo, del Parlamento o di altre istituzioni.
Se la politica è di bassa qualità (siamo pietosi…) gli organi dello Stato sono indotti ad uscire dai loro confini facendo danni irreparabili e cancellando di fatto quel poco di democrazia e di rispetto delle regole che restano in Italia.
Nota tecnica aggiuntiva. Domenica 26 luglio Il Sole 24 ore ha pubblicato una valutazione operata da Svimez del danno determinato dalla vicenda Svimez (http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2015-07-26/la-crisi-ilva-e-costata-10-miliardi-081540.shtml?uuid=ACiHkpX), stimato in 10 miliardi. Ci tengo a precisare che, come vedete dai dati Svimez, tale loro stima è effettuata esclusivamente sulle conseguenze macroecnomiche, sommando cioè minori investimenti, minore export e maggiore import. Se ai 10 miliardi macro sommate le conseguenze “micro” cioè quelle aziendali, e cioè la somma del depauperamento del patrimonio aziendale – la cui ultima stima ufficiosa da parte dei commissari, in asenza di documenti contabili attendibili, era stimata in 2,5 mld – e i danni al conto economico di gestione dell’azienda – anche qui è una stima forzosamente conservativa, rispetto al’assenza di bilanci commissariali dal 2012 – purtroppo si conferma l’ordine di grandezza verso i 20 miliardi che vi proponevo…
Deve essere meglio di una scopata, rovinare un’industria con 4 scarabocchi.
Cari miei, Montesquieu e’ superato. Tutto qui.
Saluti.
Dall’IRI alla CdP…direi niente di nuovo sotto il sole. Il danno ambientale di decenni di ILVA già esiste…nessuno lo ha fermato prima…e nessuno lo ha fatto adesso….e nessuno lo farà veramente domani; il danno, cioè l’inquinamento ambiantale e tute le conseguenze a lungo e lunghissimo termine che porta con se, è qualcosa che si muove..come il nostro pianeta… Fermare l’ILVA ha solo dato la mazzata finale al territorio di Taranto e un bello scossone al PIL nazionale..altro che 80 euri… L’unico modo di risanare l’ambiente era mantenere l’ILVA operativa, lasciarla in mano ai legittimi proprietari e costringerli ad applicare VERAMENTE e non per finta le leggi che già ci sono in materia di tutela ambientale e sicurezza sul lavoro per i prossimi venti anni…e non farne di straordinarie…Ma si sa… tra imprenditori “ambientalisti” interessati pero al “verde” dei miliardi della futura “finta bonifica di Stato”, magistrati carrieristi come ballerine col culo al vento in prima fila e politici assatanati anche loro di carriera e soldi…alla fine a chi poteva importare dell’industria dell’acciaio…una roba troppo complicata…difficile…molto piu facile arraffare i soldi e far carriera con un bel appalto publico….”una scopata sicura”..per dirla come il Sig. Gianfranco. Alleluia..