2
Dic
2010

Il “Contro-Rapporto Monti” dell’IBL: per un’Europa più integrata dal mercato e più aperta al mondo

Qualche mese fa, su invito di José Barroso, l’ex commissario europeo Mario Monti ha redatto un rapporto intitolato A new strategy for the single market at the service of Europe’s economy and society , con l’obiettivo di indicare talune linee fondamentali di sviluppo per l’Europa di oggi e di domani.

Il rapporto contiene talune proposte ragionevoli e in particolare auspica una crescita del mercato interno, che faccia saltare le molte e talvolta assai alte barriere che impediscono una piena integrazione tra i vari Paesi dell’Europa a 27 e le loro distinte economie. Ma, al tempo stesso, il testo redatto da Monti contiene argomenti e proposte assai discutibili. In particolare, esso formula una netta difesa di vecchi vizi statalisti europei (specie in tema di welfare) e per giunta esprime una esplicita avversione per la concorrenza istituzionale: soprattutto in materia fiscale.

Per questo motivo l’Istituto Bruno Leoni ha pensato di predisporre una sua interpretazione del “rapporto Monti”, affidando a un gruppo di lavoro internazionale il compito di commentare – capitolo dopo capitolo – tutte le tesi contenute nel testo predisposto dall’economista italiano. Questo lavoro a più mani si intitola Il “Rapporto Monti”: una lettura critica (qui in italiano e qui in inglese) e ha potuto avvalersi del contributo di vari studiosi, italiani e no: Filippo Cavazzoni, Luigi Ceffalo, Luca Fava, Pierre Garello, Carlo Lottieri, Diego Menegon, Alberto Mingardi, Lucia Quaglino, Dalibor Rohac, Josef Sima e Carlo Stagnaro.

Il testo è stato presentato a Bruxelles oggi, 2 dicembre, nel corso di un seminario cui ha partecipato lo stesso Monti. L’obiettivo è stato quello di evidenziare i limiti delle proposte avanzate dall’ex commissario, non sempre coerenti con una visione autenticamente di mercato, sottolineando come la logica dirigista di molte tesi del Rapporto  ostacoli – al di là delle dichiarazioni e delle intenzioni – lo sviluppo di un’economia europea davvero dinamica, integrata e concorrenziale.

I temi essenziali della critica sviluppata dal “contro-rapporto” targato IBL emergono con chiarezza in questo passo, tratto dall’introduzione:

Dietro la riflessione di Monti si vede la proposta di un “grande scambio”: per costruire il mercato interno, gli Stati membri devono dotarsi di sistemi di welfare state sufficienti ad ammortizzare la transizione e sostenere il consenso; perché questo sia possibile, occorre perseguire un grande disegno di armonizzazione fiscale, volto a colpire sia la “concorrenza fiscale” all’interno dell’Ue, sia – a maggior ragione – quella dei “paradisi fiscali”.

L’analisi dell’IBL punta insomma a raccogliere la sfida del “Rapporto Monti”, per valorizzarne gli aspetti positivi, ma anche e soprattutto per sottolineare come un vero mercato non possa essere “unico” (e cioè ristretto alla piccola Europa), non possa basarsi su una tassazione e su una regolamentazione asfissianti (tratti caratteristici del modello welfarista “renano”) e non possa in alcun modo avvantaggiarsi da un’armonizzazione fiscale costruita dall’alto, che riduca quella pressione competitiva che finora ha impedito ai governi europei di espandere in maniera illimitata le loro pretese.

Se infatti le aliquote marginali delle imposte dirette sono significativamente calate un po’ ovunque (dopo che negli anni Settanta erano giunte a livelli altissimi, e non soltanto in Svezia), questo è stato dovuto non tanto a un cambiamento di orientamenti culturali (che pure in parte si è verificato), ma è stato soprattutto conseguente allo sforzo di quei ministri dell’Economia dei vari Paesi europei che hanno fatto il possibile per non perdere tutti i propri contribuenti più importanti. Quando i capitali si muovono e si trasferiscono altrove, che senso ha, infatti, tenere aliquote molto alte, se esse sono ormai prive di una base imponibile? Meglio portare a casa il 45% di 50 che il 90% di 5.

Su questo specifico punto sviluppa una riflessione molto sofisticata un altro lavoro discusso oggi a Bruxelles, anche’esso promosso dall?IBL, e cioè il saggio Tax Competition: A Curse or A Blessing? (qui in inglese, ma qui c’è una sintesi in italiano) di Dalibor Rohac, un giovane e brillante economista slovacco che oggi è un ricercatore del Legatum Institute e che qualche anno fa fu pure a Sestri Levante quale relatore di Mises Seminar organizzato dall’IBL. Avvalendosi della teoria dei giochi, nel suo studio Rohac mostra come un’armonizzazione calata dall’alto blocchi ogni processo di apprendimento e soprattutto ostacoli quel dinamismo degli attori che – sul medio e lungo termine – favorisce l’abbassamento delle aliquote e, in questo modo, aiuta a realizzare una migliore integrazione delle economie.

Un’Europa fiscalmente armonizzata, insomma, è destinata a diventare un vero inferno fiscale. Più di quanto non lo sia già oggi.

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2 Responses

  1. Giuseppe

    Riguardo alla flat tax ho dei seri dubbi; ormai è noto a tutti, che una flat tax finirebbe per far pagare più tasse ai redditi medio bassi (85% dei cittadini) , a meno che non si vogliano generare dei deficit pubblici imponenti (ad esempio dal dopoguerra al 2008 gli unici due periodi in cui il deficit degli Stati Uniti è cresciuto è stato sotto le presidenze Reagan e Bush jr.). Inoltre è vero che alcuni paesi dell’Est Europa sono cresciuti molto con la flat tax, ma -ad esempio- la Slovenia non ne ha avuto bisogno. Inoltre quando si parte da una situazione così disastrata anche modesti incrementi in termini assoluti possono dar luogo ad un’importante crescita in termini relativi.
    C’è un misunderstanding molto grave nelle persone: molti credono che se guadagni 20$ vieni tassato al 20% e se guadagni 100$ vieni tassato al 40%. In realtà dobbiamo considerare che l’aliquota marginale è progressiva e quindi se guadagno 100$ verrò tassato al 20% per i miei primi 40$, 30% per i successivi 30$ e 40% per i restanti 30$, ottenendo così un aliquota media del 26%.
    Inoltre siamo sicuri che un’aliquota costante stimoli gli investimenti. Questi dipendono anche dalle aspettative sulla domanda, se noi riduciamo il reddito disponibile della maggior parte della popolazione la domanda si contrarrà e quindi anche gli investimenti non avranno ragione di aumentare.
    Sinceramente questi sistemi funzionano per paesi piccoli molto depressi, negli Stati Uniti-ad esempio- hanno causato(insieme ad altri fattori) due recessioni.
    Lo studio cita anche la curva di Laffer che, non mi stancherò mai di dire, non ha nessun riscontro empirico nella storia dell’economia mondiale. L’unica evidenza numerica che mi è capitata sott’occhio potrebbe essere questa (http://www.cbpp.org/archiveSite/7-12-05bud.pdf) anche se si fa un raffronto con una previsione del 1999 che si basava su previsioni molto discutibili.
    Inoltre come afferma lo stesso autore, il problema da lui impostato non corrisponde alla realtà. Non si tratta di massimizzare il gettito fiscale. Va bene essere antistatalisti (spesso lo sono anche io) ma non ho mai sentito un governante dire che il suo obiettivo sia quello di aumentare al massimo la raccoltà fiscale !!
    Il problema dovrebbe essere posto diversamente : dovremmo massimizzare il livello del GDP sotto il vincolo del gettito fiscale, funzione dell’aliquota.
    Riguardo ai Paradisi Fiscali se si impone un limite massimo di tassazione potrà sempre succedere che vi siano luoghi dove l’aliquota risulti più bassa e quindi si generino allocazioni non ottimizzanti. Forse sarebbe meglio imporre un range di 5-10 punti entro il quale gli Stati possono decidere di collocarsi, riducendo in gran parte le inefficienze allocative.
    Riguardo alle obiezioni allo Stato come “welfare maximizing-agents” mi sembrano in parte corrette, ma troppo estremizzate. Non penso che il gettito fiscale aggiuntivo vada a finire completamente nelle tasche dei manigoldi governanti.
    Come al solito si va a finire sempre sul concetto FILOSOFICO se sia giusto far pagare più tasse ai più ricchi. A livello morale non ritengo che sia più o meno giusto, non mi sono mai occupato del tema; tuttavia a livello economico risulta più efficiente, quindi toccherà metter mano al portafoglio…

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