Il virus del pensiero unico
La chiamano già la ‘’variante britannica’’ e sembra che già abbia attraversato la Manica. Così il Continente non è più isolato, come dicono i meteorologi inglesi quando la nebbia avvolge il Canale.
Anche di fronte a questa recente mutazione gli scienziati si mostrano già in grado di pronunciarsi sul corso del virus come se fosse stato il tema della loro tesi di dottorato. Infatti, il Direttore Generale della Prevenzione del Ministero della Salute, Gianni Rezza ha già inquadrato il problema: «La variante di Sars-CoV2 che sta circolando in questo momento a Londra e nel sud est dell’Inghilterra – ha dichiarato – presenta delle mutazioni sulla proteina di superficie del virus, la cosiddetta Spike. Nonostante s’ipotizzi che queste mutazioni possano aumentare la trasmissibilità del virus, non sembrano alterare né l’aggressività clinica né la risposta ai vaccini».
‘’C’è solo un po’ di nebbia che annuncia il sole. Andiamo avanti tranquillamente’’: ordina, nella ballata di Francesco De Gregori, il comandante del Titanic poco prima del naufragio. In sostanza la linea non cambia: chiudiamo ancora di più tutto quanto possibile (se la mitigazione della curva è stata inadeguata ed inferiore alle aspettative, è perché abbiamo chiuso troppo poco) in attesa che ‘’arrivino i nostri’’, i vaccini, a liberarci del e dal covid-19.
Sia chiaro: guai a sottrarsi alla vaccinazione, ammesso e non concesso che da noi si riesca a reggere l’impegno organizzativo. Ma la ‘’variante inglese’’ dovrebbe indurre una riconsiderazione della strategia fino ad ora seguita. Non dovrebbe costituire un evento inatteso la mutazione del virus. Lungi da me pontificare in una materia che non conosco (anche se mi sentirei autorizzato a farlo dal momento che i virologi danno i medesimi consigli di mia nonna – ‘’Giuliano, sta in casa che è freddo’’ – ex bracciante agricola con licenza elementare), ma – da puntuale utilizzatore da decenni del vaccino antinfluenzale – ricordo di aver sentito dire più volte che, nell’anno in corso, era mutato il ceppo di quello precedente.
È normale che il virus, prima o poi, muti. Ciò significa che non esiste – come hanno cercato di farci credere – che la pandemia possa essere sconfitta in una grande battaglia campale a suon di vaccini, ma che è entrato a far parte del nostro vivere quotidiano, insieme a tante altre patologie più o meno gravi; e che oltre che alla prevenzione (azzarderei anche un ‘’prima’’) bisogna attrezzarsi alla cura: con farmaci, terapie e strutture adeguate. Sarà una battaglia lunga che non possiamo combattere rinchiusi a domicilio e sparando a casaccio contro dei ‘’capri espiatori’’.
L’ossessione per il passeggio festivo è odiosa e pretestuosa. Siamo arrivati all’assurdo che sono all’esame del Parlamento due provvedimenti: uno che stanzia 5 miliardi (il 10% di 50 miliardi) per agevolare i consumi nelle festività purché gli acquisti si facciano nei negozi a km 0 (vade retro Amazon); un altro che limita la mobilità delle persone e le criminalizza se si azzardano ad andare in giro mascherati e distanziati e si mettono, rigorosamente, in coda davanti alle vetrine.
A pensarci bene la strategia della mitigazione è fallita clamorosamente: sia sul versante sanitario, che su quello economico e della finanza pubblica. La scansione «chiusure in cambio di ristori» non può durare all’infinito, soprattutto quando si colpiscono settori che non presentano nessuna evidenza scientifica di diffondere il contagio (si pensi alla scuola) ed attività economiche (come gli esercizi pubblici, la ristorazione e in generale i servizi privati), che si salvano lavorando ( e non con i bonus per i titolari) e chiedono soltanto di poterlo fare in sicurezza, sulla base di regole definite.
Paradossalmente viene da pensare che avesse ragione Boris Johnson quando sosteneva che l’unica prospettiva di salvezza risiedeva nel raggiungimento di una «immunità di gregge». Il che non significava rassegnarsi al destino cinico e baro e lasciare, passivi ed impotenti, che ‘’l’angelo della morte’’ ci privasse dei nostri parenti anziani. Sarebbe stata tuttavia un’analisi più corretta che avrebbe suggerito una strategia di contenimento diversa, più articolata e di più lungo periodo, senza la pretesa di liquidare in pochi mesi una pandemia sconosciuta.
Per scongiurare i decessi abbiamo sacrificato la normalità del vivere civile, l’economia e il lavoro: abbiamo avuto i morti, il crollo produttivo, la disoccupazione, lo sfascio delle finanze pubbliche. E quel che è più grave, ci hanno insegnato a vedere nel nostro prossimo un pericolo per la salute e la vita.
La guerra al virus si può chiudere solo con un armistizio, ma occorrono tempi lunghi, mezzi straordinari (la variante inglese convincerà i governi a sottoscrivere il Mes?), capacità di sopportazione. Soprattutto è indispensabile una comunicazione che sappia orientare l’opinione pubblica, approfondendo meglio le origini e la letalità del virus, anche in rapporto alle altre cause di decesso e alla diffusione di patologie più gravi.
La semplificazione della notizia sta creando dei veri e propri disastri. Ormai è diffusa la convinzione che si muoia solo di covid-19. Se qualcuno si prende la briga di scomodare le statistiche e fare un bilancio delle cause di decesso, magari affacciando una breve spiegazione sul significato di ‘’sindemia’’ (ovvero un malato terminale di cancro muore per questo motivo, anche se nelle sue ultime ore di vita contrae il contagio) deve aspettarsi di essere zittito perché non si adegua ad un ‘’pensiero unico’’ che somiglia sempre più ad una sharia.