26
Lug
2013

Il sindaco Doria prova a cambiare musica al Carlo Felice

Linkiesta le ha definite “i colabrodo della cultura italiana”, si tratta delle 14 fondazioni liriche italiane. Non che il resto del settore culturale faccia registrare performance brillanti, però alcune istituzioni culturali sono molto più in vista e in difficoltà di altre. A monopolizzare le pagine dei giornali sono infatti le disavventure gestionali e finanziarie di istituzioni come il Maggio Musicale Fiorentino o il Parco archeologico di Pompei. A queste va aggiunto ora anche il Carlo Felice di Genova.
Proprio oggi è comparsa la notizia che per una cinquantina di dipendenti della Fondazione si prefigura il licenziamento. La situazione si può dire che sia precipitata in queste ultime giornate. Dopo una trattativa, l’accordo fra sindacati e amministrazione della Fondazione prevedeva ammortizzatori sociali e contratti di solidarietà per ridare fiato all’ente. Una minoranza dei dipendenti ha però scelto di rimandare a settembre il referendum su tale accordo. La risposta del sindaco Doria è stata pronta e decisa: per una cinquantina di dipendenti verrà presto attivata la procedura di mobilità.
Si tratta di una misura assai drastica, se si pensa che l’organico dei dipendenti è costituito da circa 275 dipendenti. Ma la situazione finanziaria della Fondazione richiede proprio tali misure urgenti, e una amministrazione che sia in grado di attuarle. Lo stato a cui si è giunti oggi, ed è il caso di molte fondazioni liriche, si è determinato proprio dall’incapacità di contenere i costi, cresciuti per non essere stati in grado di fronteggiare a dovere le rivendicazioni sindacali (integrativi aziendali, indennità, ecc.).
L’autonomia di cui godono, da più di quindici anni, le fondazioni liriche non è stata accompagnata da una piena responsabilizzazione del management. Risposte chiare e determinate come quella del sindaco Doria dovrebbero essere la norma per istituzioni che, o riescono a trovare un equilibrio finanziario, oppure devono chiudere i battenti. Il rischio concreto di licenziamenti e di chiusure tout court è un deterrente per evitare che la gestione di un ente sprofondi nell’efficienza e nella necessità di ripianare i buchi di bilancio con frequenti assegni staccati dal Comune o dallo Stato.
Non è una caso allora che, come riporta il Secolo XIX, dopo la scelta di Doria già ieri sera una novantina di dipendenti del Carlo Felice abbiano firmato una petizione “spontanea” per far sì che il referendum sull’accordo si tenga entro la fine di luglio. Il sindaco – in qualità di presidente del consiglio di amministrazione che guida la Fondazione – ha semplicemente agito secondo le logiche di un buon amministratore.
Forse è troppo tardi per rimettere in sesto istituzioni culturali che da anni navigano in cattive acque a causa di gestioni scriteriate, sicuramente per invertire la rotta bisogna passare per licenziamenti o per la chiusura di alcune Fondazioni. Quest’ultimo caso non vieta che se ne possano ricostituire altre più snelle e con una struttura economicamente sostenibile.

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4 Responses

  1. Francesco_P

    Marco Doria è un sindaco di sinistra, molto a sinistra (area SEL), ma i numeri sono così brutti che è costretto a licenziare.
    Il problema sono solo le uscite od anche le entrate? Cosa fanno gli Enti culturali(?) per incrementare le entrate se non chiedere sovvenzioni pubbliche? Come gestiscono la propria immagine, il livello di preparazione, ecc., per attirare pubblico, promuovere tournée o mostre all’estero? Lirica, teatro, arti figurative e monumenti: la malattia è sempre la stessa, cioè l’abbandono per mentalità burocratico-statalista-fancazzista (l’ultimo termine non è elegante, ma ci vuole proprio). Ci sono anche alcuni (pochi in verità) privati pronti ad accollarsi delle spese relative alla cultura con il fine di promuovere i propri marchi (vedi Della Valle Colosseo), ma stanno trovando ostacoli enormi se non addirittura insormontabili. Per chiudere con una battuta, Unni e Visigoti non son nulla rispetto ai burocrati ed al personale con la testa piena di balle sindacali!

  2. ALESSIO DI MICHELE

    Quando leggo di sindacalisti che prima negoziano un accordo, poi lo sottopongono a referendum, mi viene voglia di citare loro le parole del col. Kurtz (M. Brando) in “Apocalypse now”, quando, avendo da subito capito che il cap. Willard (Charlie Sheene) è venuto per ucciderlo, gli si rivolge dicendo: “[non sei un soldato] Tu pensi di essere un cavaliere venuto a vendicare i torti, ma sei solo il garzone del macellaio venuto a riscuotere i conti in sospeso”.

    Ecco, sindacalisti siffatti sono solo garzoni.

  3. giuseppe

    In Italia ci sono troppe Orchestre Stabili. Devono essere ridimensionate. Oltre a ciò, il personale è molto ben pagato. E questo è possibile solo se c’è un pubblico disposto a pagare il dovuto per ascoltare musica. E se è disposto a pagare, è disposto anche a fare qualche chilometro in più. Poche orchestre, ma di livello. Teatri pieni, non semivuoti.

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