Il ritorno di Gianfranco Miglio: tra 150mo e crisi di sistema
La lettura del Corriere della Sera, stamattina, offriva un curioso succedersi di fatti e commenti. Mentre molte delle prime pagine erano ovviamente dedicate al progressivo sgretolarsi del welfare State nazionale (sfiancato da decenni di democrazia in deficit, per usare l’immagine di Buchanan e Wagner) e anche dal rianimarsi di uno spirito “anti-politico” prigioniero dell’illusione che basti ridurre i privilegi della casta parlamentare per evitare il fallimento del sistema redistributivo, le pagine sempre un po’ più atemporali consacrate ai temi culturali focalizzavano l’attenzione su quello che, senza dubbio, verrà ricordato come il maggior scienziato politico di secondo Novecento: Gianfranco Miglio.
Dopo il decennio abbondante di silenzio che ha fatto seguito alla morte, si torna insomma a parlare dello studioso comasco, soprattutto grazie alla determinazione con cui Alessandro Vitale – che di Miglio è stato l’ultimo allievo – ha bussato alla porta di molti per far sì che la trascrizione delle sue straordinarie lezioni universitarie degli anni Settanta e Ottanta fossero raccolte in volume. E così il 25 agosto sarà finalmente in libreria (edita dal Mulino e intitolata Lezioni di politica) un’opera in due tomi, curata da Davide G. Bianchi e dal medesimo Vitale, in cui sono riunite lezioni che, a distanza di anni, non hanno perso per nulla il vigore originario e anzi mostrano quanto fosse visionaria la prospettiva teorica adottata da questo studioso.
Per chi ha avuto la fortuna di sentire la voce di Miglio risuonare nelle aule dell’università Cattolica di Milano la pubblicazione di queste pagine permette di rivivere un’esperienza particolare. Ma non si pensi che questa del Mulino sia un’operazione di tipo nostalgico. Al contrario, i testi migliani contengono elementi in qualche modo esplosivi anche perché, come ha rilevato Carlo Galli sul Corriere, nella teoria di questo autore lo Stato “è il grande nemico da combattere”, dato che egli “intende superare la distinzione tra la sfera pubblica e quella privata per organizzare la convivenza mediante un patto tra interessi corporati”.
Questo spiega come in Miglio (e particolarmente negli ultimi anni) la critica della modernità statuale lo abbia portato a valorizzare il federalismo: poiché la sua idea è che una politica legittima e destinata a durare implichi rapporti pattizi, liberamente scelti, e quindi una società di uomini responsabili e affrancati dai miti della religione civile e del repubblicanesimo.
Questo aiuta anche a comprendere perché si sia dovuto tanto aspettare per questa riscoperta di Miglio. E il motivo sta nel fatto che la sua è un’eredità imbarazzante per molti: quasi per tutti. Miglio è un autore scomodo per tanti cattolici, perché sebbene egli abbia sempre operato negli ambienti di largo Gemelli – dove fu anche preside della facoltà di Scienze Politiche – è sempre stato distante dal moralismo di quei cristiani portati a confondere la libera fraternità volontaria e la solidarietà di Stato imposta da politici e burocrati. Proprio perché strutturalmente “conservatore” (come hanno rilevato Lorenzo Ornaghi e Pierangelo Schiera nel loro intervento sul Corriere), egli tendeva a mostrarsi assai scettico di fronte alla retorica socialdemocratica che nel corso del Novecento ha pervaso il mondo cattolico e ha snaturato una tradizione culturale lunga due millenni.
Ma anche chi ha voluto vedere in lui un “reazionario” – sebbene di genio – si trova oggi un poco a disagio dinanzi all’eredità migliana. Diversamente da un autore come Carl Schmitt, ad esempio, Miglio appare assai poco utilizzabile dagli statalisti di destra e di sinistra, perché in lui il realismo politico si è progressivamente convertito in una critica radicale della modernità che ha finito per contestare il vero totem degli intellettuali del nostro tempo: il potere pubblico. Mentre post-fascisti e post-comunisti possono amabilmente duettare in convegni consacrati al problema della tecnica in Heidegger o alla crisi del sentimento comunitario, l’aspra critica dello Stato e del parassitismo organizzato che sono al centro della riflessione migliana fa sì che questo autore sparigli le carte e obblighi ad abbandonare i minuetti di quel gioco accademico che tende a mantenere le cose sempre identiche a se stesse.
Per Miglio, il federalismo poteva rappresentare una vera alternativa allo Stato: era la costituzione di un ordine basato su autonomia, concorrenza istituzionale, libertà locale, responsabilità, diritto di secessione. Era la riscoperta di quell’altra “metà del cielo”, per usare una tipica metafora migliana, in cui lo studioso lombardo collocava le istituzioni perdenti del mondo moderno: dalle Province Unite olandesi alla Lega Anseatica. Tutti ordini politici privi di un vero centro di potere e basati su accordi essenzialmente privatistici, che hanno indicato all’Europa una strada alternativa rispetto a quella dello Stato che quasi nessuno, però, ha voluto o saputo imboccare. (Forse l’unica eccezione è rappresentata dalla Svizzera.)
In ragione di questo suo radicalismo, Miglio è scomodo anche per chi oggi vorrebbe contrabbandare per federalismo una semplice revisione di quello Stato centralizzato, giacobino e prefettizio, che la Destra storica ha costruito all’indomani dell’unificazione italiana.
Questo spiega perché quello di Miglio sia un pensiero destinato a disturbare molti. E non a caso, dopo la sua morte, il silenzio è sceso come una pesante coltre sopra quelle riflessioni ancora oggi esplosive e più di altre meglio in grado di aiutarci a far fronte ai disastri del presente.
Oggi, comunque, Miglio sta tornando al centro della scna, proprio mentre nel 150mo anniversario dell’unità vengono al pettine tutti gli errori commessi in quei lunghi decenni durante i quali il professore ha vivisezionato vizi e paradossi della politica nostrana. Miglio ora è riscoperto a dispetto di tutto, ma in fondo non c’è da stupirsi. Alla fine, il destino del genio è quello d’imporsi.
il punto più bello di questo post è il momento in cui mi sono reso conto che non era sarcastico.
castellini
Miglio è sempre stato fantastico e comprerò il libro!
Dovrebbero farlo anche certi leghisti alla Roma ladrona dammi la poltrona!
Tuttavia chiedo una spiegazione a questa frase :
“In ragione di questo suo radicalismo, Miglio è scomodo anche per chi oggi vorrebbe contrabbandare per federalismo una semplice revisione di quello Stato centralizzato, giacobino e prefettizio, che la Destra storica ha costruito all’indomani dell’unificazione italiana.” La Destra storica non mi sembra abbia realizzato quello stato. Direi piuttosto che la destra attuale ( quella politicamente finiana per intenderci ed economicamente tremontiana) si serva di questo stato per prendere il potere!
Solo un chiarimento su questo punto!
Matteo Dellanoce
PS Io addirittura classificherei Miglio tra i cattolici liberali sulla scia del pensiero politico del beato Rosmini che andrebbe non solo riscoperto ma insegnato.
Onore a Gianfranco Miglio.
@Castellini
L’importante è svegliarsi ogni tanto dal sonno della ragione….
Bentornata l’attenzione sul pensiero di Gianfranco Miglio. Condivido il commento di Lottieri. Anch’io ho conosciuto e frequentato il professore, quando promossi il progetto costituzionale ‘Milano Città-Stato’, sul modello delle città-stato tedesche (il testo giace tra le carte della seconda bicamerale) e quando sulle pagine di ‘Federalismo e Società’ si discusse il problema del diritto di secessione. A tal proposito, rinvio alla presentazione di Miglio al libro ‘Secessione’ di Allen Buchanan(Mondadori, 1994, traduzione di Luigi Marco Bassani), di cui riporto un passo: “La presenza di un ben fondato ‘diritto di secessione’, nel corpo aggiornato del diritto pubblico e della morale politica generale, diventa -in altre parole- garanzia di stabilità e di non reversibilità di tutte le Costituzioni federali del nostro tempo. Il diritto alla ‘diversità’ e al ‘pluralismo’ nelle istituzioni (anche se costa sacrifici) non può più essere negato, senza innescare il ricorso al rimedio ultimo, cioè alla ‘secessione’.
Rileggere Miglio può dare un senso al rifiuto dello sconfortante carnevale della celebrazione dei 150 anni.
Come non ricordare il sarcasmo con cui gli intelletualoidi di pseudosinistra esercitavano la loro leggendaria pavidità politica sul pensiero di Miglio, un pò troppo alto per le loro basse rotte e un pò troppo riformatore per il loro reazionario progressismo.
La realtà sta imponendo le idee di Miglio come l’unica via di uscita ai fallimenti unitari italiani, nonostante elmi di Scipio e sventolii tricolore da prime time.
E nonostante, lo dico con rammarico, il negazionismo sostanziale di quella sinistra ottusa e conservatrice che purtroppo ha prevalso e prevale su quella alla “Ricolfi” per intenderci, che non ha paura dei numeri e si confronta con la realtà e non con i suoi limiti politici.
La Lega di oggi dovrebbe rileggersi Miglio, Frédéric Bastiat e pure von Hayek quando arriverà il momento di capire dove ha sbagliato.
la fortuna di Gianfranco Miglio è che non dovrà aspettare 60 anni per una prima traduzione in Italiano.
La Lega è ormai un partito come gli altri, la spinta propulsiva di un partito che nasce dal basso per dare risposte concrete alla gente comune si è esaurita.
Ormai all’interno del partito le poltrone, la politica come mestiere e gli interessi personali sono preponderanti.
Il risultato è che la Lega pian piano si sta scollando dalla realtà come già hanno fatto gli atri partiti maggiori e ben presto vivrà, se non è già così, nella sua bolla.
@ Matteo Dellanoce
La Destra storica ha avuto taluni meriti, senza dubbio, ma in linea di massima ha ritenuto che l’unità fosse da anteporre alla libertà, la ragione della forza (l’esercito) alla forza della ragione (la libera adesione). La conseguenza è stata che ha adottato per l’Italia un modello istituzionale prefettizio e centralizzato. L’ipotesi di Minghetti (per non parlare delle tesi “americane” di Carlo Cattaneo) è stata scartata, e questo ha prodotto una cattiva unificazione che – nei diversi periodi storici – ha danneggiato questa o quella parte del Paese. Il Sud ha patito soprattutto le terribili conseguenze del protezionismo voluto per aiutare la nascente industria del Nord, e questo è abbastanza ironico, dato che un vecchio argomento unitarista (fin dai tempi di Pellegrino Rossi e del dibattito costituzionale svizzero) era proprio che bisogna unificare per abbattere le barriere “interne”. Non ci si rese conto che si ponevano le premesse per barriere doganali “esterne” (con la Francia, la Germania ecc.) ancora più alte e ancora più dannose. Il Nord, soprattutto negli ultimi sessant’anni, ha subito le conseguenze della redistribuzione, legata al welfare.
Detto questo, alla luce della destra odierna capisco bene ogni nostalgia per la Destra storica…
Grazie!
Matteo Dellanoce
La Lega è piena di problemi e difficoltà interne, come tutti i movimenti che cambiano la mentalità , è soggetta a logorio e naturalmente i suoi ormai decennali protagonisti, essendo persone, sono naturalmente portate ad cristallizzare le loro posizioni. Ma il suo messaggio è passato e il tempo convincerà presto anche i più scettici che la riforma federale, ancorchè in ritardo, è l’unica possibile soluzione per responsabilizzare il sud sulle sue lacune sociali e il nord sui propri vuoti politici.
Questione di tempo e il portafogli si incaricherà di suonare la sveglia anche ai patrioti più appassionati.
Parlare della lega nei commenti di un articolo su Gianfranco Miglio è un po’ come parlare dei cinesi che giocano a ping pong sotto un articolo su Pete Sampras…
La Lega non c’entra nulla con Miglio, ne ha solo sfruttato l’intelligenza il più possibile per guadagnare consensi poi buttarlo alle ortiche.assieme alle sue idee.
Se Miglio dovesse leggere il “federalismo” fatto dalla lega, passerebbe di nuovoa miglior vita per il raccapriccio, mi sa.
Coraggio, un pò di onestà. La Lega ha fatto conoscere Miglio al grande pubblico che altrimenti lo scambierebbe ancora oggi per un cereale.
Ne è poi uscito per evidenti discrasie qualitative con Bossi che voleva rifilargli i suoi pistolotti analitici. Se la Lega è distante da Miglio, come sono gli altri partiti?
Insomma, un pò di decenza intellettuale.
La Lega ha fatto del federalismo uno strumento per trasformare le regioni in tanti staterelli con i vari potentati locali. Ed è questo che ha separato Miglio da Bossi: Miglio è per un federalismo valoriale ed economicamente liberale ( non statalista ne liberista) Bossi è per un federalismo statalista. Basta vedere il dietro front sulle Province o su come combattono ( e non lo fanno) le battaglie per fare autentiche liberalizzazioni: sanità , trasporto pubblico, municipalizzate, acqua, scuola ….
L’intelletto è decente se è coerente e spostare il tema dalla questione critica alla Lega per mettere all’indice gli altri non è coerente!
Matteo Dellanoce
Vabbé, cosa vuole che le dica, riconosco tutti i limiti e i difetti del leghismo, del movimento federalista padano e di tutti i borghezi che vuole ma se lei si sente più “coerente” fidandosi della propulsione riformatrice di D’Alema, Casini e Fini, le faccio i miei migliori auguri.
Che Miglio sia un “forte” pensatore è fuori discussione. E, anche per il probabile esauirimento dei suoi saggi editi dalla Giuffrè, benissimo faq il Mulio a pubblicare le sue lezioni. Un punto, però, va tenuto fremo: Miglio rifiuta a Priori il liberalismo e il liberismo (che non è il competere di interessi corporati). Basta saperlo.
Egregio Francesco,
Miglio pur essendo radicale non tollera nessun ismo!
La sua autentica forza di pensatore politico sta in questo. Altrimenti mai avrebbe proposto la secessione come possibilità!
Liberale è diverso da liberismo o liberalismo. Pone qualcosa prima della libertà! La persona nella sua inviolabilità!
Matteo Dellanoce
Signo Matteo, tutto vero. Ma Miglio, per le scelte “dure” parlava della disponibilità “di farsi bucare la pancia”. Insomma, pensare alla secessione senza mettere in conto la possibilità di guerra civile, visto che si tratta di “beni non disponibili”, non è realpolitik. Chissà, forse è su questo che, alla fine ruppe con la Lega. La grandezza di Miglio è di averci ricordato la consustanzialità di violenza, meglio se latente, e politica. Poi, quando scriveva di “diritto di secessione” il localismo era un giochino comunque coperto militarmente (l’hardware dell’economia occidentale) dagli Usa. Piuttosto oggi, con gli States ed l’Europa germanica sempre più vicina al Cremlino, sarebe veramente interessante chiedergli se giocare alla Yugoslavia abbia senso. Come scienziato Miglio vive con noi. Non però il suo cuore politico, retrò, che, invece, voleva la fine di quella “separazione pubblico/privato” che, da Fergusson in poi, è il capitalismo di mercato. F. Morosini
Grazie!
Matteo
Quanta verità nelle parole di Carlo LOTTIERI.Sarà proprio la necessaria e urgente”riscoperta” di questa verità che obbligherà l’attuale parassitario sistema a scomparire,per fare posto a quel”sistema”che il PROFESSORE aveva profetizzato !