Il rischio giapponese a cui ci espongono BCE e banche centrali
di Silvano Fait (IHC)
Purtroppo non abbiamo avuto ancora il piacere di vedere fare a Trichet uno spot televisivo al ritmo di “La mia banca è differente! Banca Centrale Europea: la Banca con “B” maiuscola”. Mai pubblicità sarebbe stata maggiormente azzeccata. Come noto, la Banca Centrale è il monopolista autorizzato ex lege alla produzione di moneta. Il suo compito istituzionale è preservare la stabilità dei prezzi dei beni al consumo. I driver sono: il target di inflazione programmata pari al 2% e l’espansione della base monetaria determinata in un 4,5% annuale. Nella pratica la (teorica) k-rule è diventata una D&D Rule (Dungeons & Dragons’ rule) ovvero: lancia quattro dadi da sei, incrementa la base monetaria della percentuale corrispondente e poi compra tutti gli asset di dubbio valore sul mercato fino all’occorrenza. Anche la prima idea, quella di un perseguimento di un tasso di incremento dei prezzi dei beni di consumo costante è un po’ perniciosa: per un approfondimento il tal senso può essere opportuna una lettura di “The Sphere of Economic Calculation” (Human Action, cap. XII di Ludwig von Mises) come pure di questo “antico” pezzo di IHC, in quanto una discussione in tal senso richiederebbe uno spazio così ampio da esulare dagli scopi del presente articolo. Torniamo adesso invece al monopolio di emissione riservato alla Banca Centrale. Questo costituisce indubbiamente il principale asset (occulto) all’interno del bilancio della ECB – lo stesso dicasi per i bilanci di Fed, BoE, BoJ, etc. Per un periodo di tempo “t” può essere espresso dalla seguente formula:
I = (it – i Mt) / (1 + it) Mt-1
Dove “I ” rappresenta il valore attuale netto (NPV) degli interessi risparmiati dalla Banca Centrale in forza del monopolio di emissione sulla base monetaria, “i ” il tasso di mercato che la stessa dovrebbe pagare in assenza di tale monopolio, “i Mt” il tasso di effettiva remunerazione e “Mt-1” la base monetaria all’inizio del periodo preso in considerazione. Attualmente i Mt è la media ponderata tra l’1% pagato sulle riserve obbligatorie, lo 0,25% sulle riserve in eccesso e l’ammontare delle banconote remunerate a zero, ovviamente.
Willem Buiter, Chief Economist di Citigroup, nel Global Economic Outlook and Strategy del 21 luglio ha elaborato delle stime circa l’ammontare del valore attuale di “I” combinando alcuni scenari tra di loro. Assumendo un costo nullo di emissione della moneta ed ipotizzando che la Banca Centrale voglia tenere fede al proprio impegno di un incremento nominale dei prezzi al consumo del 2% su base annua, la “deep pocket” (la tasca profonda) di Trichet oscillerebbe da 1.985mlrd a 6.864mlrd di euro. In ogni caso decisamente superiore ai 78mlrd di patrimonio netto che ufficialmente figurano a bilancio nell’Eurosistema, quale perdita massima assorbibile dall’istituto di emissione.
Per svuotare una tasca profonda ci vuole una mano profonda, ma attualmente il lavoro è semplificato dal fatto che di mani ce ne sono due: quella a disposizione della Banca Centrale e quella a disposizione del Tesoro (in senso lato), ovvero le agenzie fiscali dei vari paesi dell’eurozona. Nonostante i programmi di austerity dichiarati, i Governi hanno un interesse oggettivo ad estrarre parte di questa rendita monopolistica della Banca Centrale (sul legame finanziario diretto tra Tesoro e Banca Centrale si veda anche qui). Il metodo è tutto sommato semplice: scaricare su di essa il mantenimento della stabilità del sistema finanziario, fatto che a sua volta implica un sostegno diretto o indiretto al collocamento e/o alla negoziazione dei titoli sovrani (se non altro a condizioni meno onerose di quelle che verrebbero richieste in un mercato libero e competitivo). In ultima istanza l’ECB è e sarà costretta ad ogni occorrenza ad espandere la base monetaria e ad accettare collaterali di pessima qualità, anche oltre le intenzioni dichiarate. Non è in discussione quindi se la politica monetaria resterà o meno inflativa, ma semplicemente in che modi e in quali termini.
Il veicolo speciale (SPV), che dovrebbe prendere vita entro qualche mese, e la concertazione di linee di credito bilaterali tra Governi dell’eurozona sono un evento senza precedenti dalla creazione dell’euro ad ora. Come già sottolineato l’ SPV può rivelarsi del tutto inutile a fermare la speculazione: in assenza di credibili politiche di risanamento di bilancio questo diventa un peg contro cui giocare per ottenere free lunch fino all’esaurimento delle risorse finanziarie ivi conferitevi. Senza poi considerare il fatto che i processi di negoziazione intracomunitari raramente seguono la velocità con cui si evolvono le crisi di carattere finanziario e pertanto richiedono (prima, durante e dopo) la fattiva e proattiva assistenza della ECB. È necessario sottolineare come i prestiti intergovernativi stiano al libero mercato dei capitali come il miele sta al diabetico. Non riflettono le preferenze intertemporali degli attori, i tassi e le modalità concessione non rispecchiano alcun costo opportunità riferibile a dei liberi agenti economici, le rinegoziazioni avvengono sotto l’egida della politica. Se la veste formale è pur sempre quella di obbligazioni creditizie, nella sostanza sono uno strumento di carattere egemonico con cui creare e gestire vincoli di sovranità tra Governi, istituzioni intergovernative o sovranazionali. Non sono uno strumento del mercato. Sono uno strumento del nazionalismo economico ed il “patriottismo monetario” è senza ombra di dubbio un elemento di sfaldamento, non di integrazione commerciale tra Paesi.
Nel grande gioco a mantenere lo status quo rimane aperto il problema della sottocapitalizzazione degli istituti di credito. Le leve su cui agire ovviamente sono due: l’attivo ed il passivo. L’emergere dei malinvestimenti della fase espansionista (2003 – 2008, anche se allargando la discussione ci sarebbe da riflettere sulle scelte di politica monetaria degli ultimi vent’anni) ha bloccato l’espansione creditizia, o quantomeno l’ha diretta verso il comparto statale – allocazione questa che non richiede particolari accantonamenti di capitale. Una contrazione prolungata e poco discriminata degli impieghi al settore privato genererebbe un fenomeno di selezione avversa: i soggetti in grado di rientrare sarebbero quelli più solvibili mentre gli altri crediti diventerebbero manifestamente deteriorati o inesigibili (i.e. apparirebbero per quello che già sono). Ciò comporterebbe l’insolvenza degli istituti che più hanno finanziato progetti non sostenibili, come ad esempio le casse di risparmio spagnole. In un’economia di mercato non vi sarebbe niente di anomalo in tutto questo: la pulizia delle inefficienze e la riallocazione delle risorse sono processi salutari. Nel caso attuale invece, è proprio ciò che si cerca sistematicamente di evitare. Sull’asset side delle banche si è intervenuti (i) a livello normativo con il passaggio dal mark to market al mark to fantasy, per favorire l’occultamento delle perdite e (ii) a livello finanziario con quello che ormai giustamente possiamo definire un “quali-quantitative flooding“. Per quanto riguarda il capitale di vigilanza in una prima fase molti paesi hanno proceduto ad interventi sia di nazionalizzazione che di ricapitalizzazione (in gran parte pubblici, più modestamente privati). Questo tuttavia ha semplicemente tamponato la situazione e favorito fenomeni di evergreening. È utile ricordare che un evergreening attuato su scala sistemica, oltre a rallentare la riallocazione del risparmio verso i settori profittevoli dell’economia, rende più difficoltoso sia l’accesso al credito che la realizzazione di nuovi progetti potenzialmente redditizi e maggiormente richiesti dai consumatori: risorse e capitali continuano a permanere dove non dovrebbero, anziché cambiare la propria allocazione in maniera conforme al mutato scenario economico.
In conclusione Europa e Stati Uniti, seppur con alcune significative divergenze circa la tempistica di rientro dalle politiche di spesa, guidati da Governi e Governatori centrali sembrano decisi ad imboccare una via occidentale alla giapponesizzazione delle proprie strutture finanziarie, produttive e sociali. Non è possibile prevederne gli esiti a priori. È possibile che le forze vive del capitalismo producano abbastanza risparmi e beni capitali da permettere un superamento della congiuntura “relativamente” poco doloroso, ma ciò non potrà non essere accompagnato da un riequilibrio dei pesi a livello geopolitico ed economico globale. Allo stesso tempo non è affatto da escludere l’ipotesi che la socializzazione delle perdite – attività che vede gli istituti di emissione impegnati da molti anni – provochi l’apparizione di imprevisti buchi neri (nella gestione del central banking) tali da portare all’ordine del giorno la necessità di ridiscutere l’intera architettura su cui si basa il sistema monetario attuale.
Fino ad oggi le Banche Centrali sono più o meno sempre riuscite a cartellizzare e coordinarsi in maniera tale da garantire la sopravvivenza del sistema (negli ultimi anni in particolare tramite operazioni di currency swap). Tuttavia si sta verificando una situazione in cui, nei Paesi occidentali, vi sono sempre meno margini – sia finanziari che politici – per ulteriori operazioni di supporto tramite l’indebitamento pubblico, mentre in quelli asiatici e in via di sviluppo le riserve accumulate finora potrebbero – essendo espresse prevalentemente in dollari, euro, yen, sterline e franchi svizzeri – accusare pesanti perdite in caso di significativi movimenti al ribasso nel mercato dei cambi di queste valute. Comunque vada, il “global central banking” proseguirà nel suo sentiero inflazionistico ed il suo destino è ad esso indissolubilmente legato.
Prima di tutto, grazie per la corretta non che indipendente informazione.
Più che un commento la mia vuole essere una domanda, riguardo la Giaponesizzazione del debito pubblico, non si deve comunque considerare che oggi ci sono delle varianti che negli anni ’90 non esistevano? Quali, le chiamo aree economiche di compensazione, come il BRIC , con potenziali demografici ben più consistenti di allora e di quanto lo siano le aree dove noi viviamo che è dove si è prodotto il debito. Non sò se mi sono spiegato, semmai il problema che dovremo affrontare in futuro non sarà la sostenibilità del DEBITO PUBBLICO OCCIDNTALE, bensì l’ecosostenibilità del pianeta terra ad un nuovo sviluppo economico dei paesi ( BRIC) salvatori del ns. debito.
In attesa dalla risposta di Silvano, io direi che i BRIC sono più i beneficiari che i salvatori del debito occidentale…
Intanto un grande grazie al Dott. Giannino, in quanto ero all’oscuro del SPV di prossima creazione nell’ambito dell’euroarea da parte della BCE. Ho avuto una specie di malessere ad arrivare in fondo del saggio. Praticamente se non ho capito male i debiti intergovernativi dei vari attori in questione saranno regolati e probabilmente (in base a nuove ed occulte regolamentazioni fra Tesoro, Stati, BCE) compensati attraverso il nuovo veicolo di stampo europeo.
Alto che a mercato! Si parlerà, attraverso i parlamenti, bene e si razzolerà male, attraverso il veicolo. Artefice la BCE ed esecutore ciascun Tesoro nazionale.
E poi si dice dove sia finita la moralità? Priorità assoluta è l’allargamento della massa monetaria.
E le agenzie di rating che lavoro faranno? Disoccupate?
E poi si dice che sono le banche e gli hedge diabolici nell’inventare strumenti…..strani.
Probabilmente la neonata spv con la dote che avrà potrà soddisfare la “cattiva e avida” speculazione che qualche sistemino lo inventerà per mungere anche lei “latte fresco”.
Intanto per non cadere nel già vecchiotto gioco dei currency swap che come giustamente il saggio evidenzia potrebbe non garantire la sopravvivenza del sistema e scatenare svalutazioni competitive se non dovesse reggere la sconsiderazione politica di spesa (questo lo aggiungo io), anche chi non fa parte dei giochi delle triangolazioni come la Malaysia si precipita a coniare la nuova moneta islamica in oro che protegge il possessore sia dall’inflazione che dalla deflazione.
Al di là di qualsiasi altra considerazione, mi sembra che il rischio sistemico è unicamente di matrice istituzionale. Altro che istituzioni al di sopra di ogni sospetto. La delinquenza dei coletti bianchi non conosce confini. E’ l’aria stessa che si respira