Il riordino delle competenze in materia di valutazione ambientale nel ddl stabilità, una proposta illegittima, oltre che sbagliata
Subisce un primo arresto la proposta del Governo di riordino delle competenze in materia di valutazioni ambientali. Il primo stop viene dalla Commissione Bilancio della Camera, che ha sollevato dubbi sulla legittimità delle disposizioni contenute in materia nel disegno di legge di stabilità.
Il Regolamento della Camera, infatti, prevede che la commissione verifichi il rispetto dei criteri fissati dalla legge 196/09 in relazione ai contenuti tipici della legge di stabilità. Questa, ai sensi della legge sulla contabilità pubblica, non può contenere disposizioni di tipo ordinamentale.
Le norme in materia di riordino delle competenze in materia di valutazioni ambientali sembrano in effetti riconducibili a quest’ultima categoria, in quanto prevedono:
1) l’accorpamento della commissione preposta a livello statale alle valutazioni di impatto ambientale e alla valutazione ambientale strategica e della commissione competente a livello statale in materia di Autorizzazione integrata ambientale;
2) la riduzione del numero dei commissari da 73 (somma dei membri che oggi formano i due organi collegiali) a 50;
3) l’attribuzione all’Ispra dei compiti di controllo sul rispetto delle prescrizioni contenute nei provvedimenti adottati a seguito delle valutazioni ambientali.
L’effetto sulla finanza pubblica è minimo. Per altro, le attività delle due commissioni sono finanziate attraverso il versamento degli oneri istruttori, pari allo 0,5 per mille del valore dei progetti su cui svolge l’istruttoria, da parte degli operatori che presentano l’istanza.
Di qui l’obiezione secondo la quale le disposizioni contenute nel disegno di legge di stabilità hanno carattere ordinamentale e sono pertanto estranee ai contenuti che deve avere la nuova legge finanziaria. Vale però la pena entrare nel merito della proposta del Governo, giacché questa, già in un primo tempo contemplata in una bozza di disegno di legge semplificazione, è stata all’ultimo, forse inopinatamente, traslata sullo schema di disegno di legge di stabilità e potrebbe ora migrare nuovamente, se il parere della commissione bilancio venisse confermato, nel decreto legge crescita 2.0 su cui l’esecutivo sta ancora lavorando.
Per quanto l’accorpamento delle due commissioni possa rispondere alla necessità di un maggior coordinamento tra le procedure di valutazione di impatto ambientale e dell’autorizzazione integrata ambientale, la riduzione dei loro componenti senza una contestuale semplificazione dei procedimenti che istruiscono non tiene conto di alcuni aspetti.
La Commissione VIA-VAS ha il compito di verificare gli impatti sull’ambiente di 21 tipologie di progetti, dalle modifiche alle raffinerie di petrolio greggio ai parcheggi interrati, dagli interporti finalizzati al trasporto merci agli impianti per la fabbricazione di fertilizzanti. A dispetto del termine di conclusione del procedimento indicato dal decreto legislativo 152/06, pari a 150 giorni, i decreti VIA a AIA, vista la quantità e la complessità dei progetti al vaglio della commissione, vengono tipicamente rilasciati con svariati mesi di ritardo.
Gli ultimi 10 provvedimenti VIA emessi sono stati rilasciati in media dopo 42 mesi dalla presentazione dell’istanza, contro i circa 5 mesi stabiliti dalla legge.
La Commissione IPPC è competente al rilascio delle autorizzazioni integrate ambientali relative a 35 tipologie progettuali. I ritardi son ancor più gravi per quanto riguarda le AIA, rilasciate, con riferimento alle ultime 10 autorizzazioni emesse, a 54 mesi dal deposito della domanda.
Comprensibili le preoccupazioni degli operatori che temono di dover continuare a pagare significative somme per lo svolgimento di istruttorie i cui tempi rischiano di allungarsi ulteriormente e indefinitamente, se il numero dei commissari subisse un’ulteriore riduzione (già negli anni passati, i membri della sola commissione VIA-VAS sono passati da 60 a 50), senza che sia sciolto il nodo della semplificazione. Semplificazione che può essere perseguita riducendo l’ambito di applicazione delle norme in materia di valutazioni ambientale laddove la normativa europea lo consenta, ovvero mediante una riduzione degli enti chiamati a rilasciare un atto di assenso in seno alla valutazione ambientale.
Un ultimo punto riguarda i compiti di controllo sul rispetto delle prescrizioni, che il testo del Governo vorrebbe affidare all’Ispra. In questo caso, si assisterebbe ad una frammentazione del quadro delle competenze in controtendenza rispetto al principio di razionalizzazione e agli obiettivi di miglior coordinamento delle attività esercitate a tutela dell’ambiente. Si avrebbe, infatti, l’attribuzione ad una seconda autorità di vigilare sulla corretta applicazione dei provvedimenti ambientali. Una nuova autorità che dovrebbe studiare di nuovo le carte e che non potrà mai avere piena contezza delle ragioni, emerse in sede istruttoria, che hanno giustificato la formulazione della prescrizione, né delle eventuali linee di azione condivise tra l’autorità competente in materia di valutazione e l’operatore per soddisfare le esigenze rappresentate dall’amministrazione. Il rischio è quello di dar luogo a modalità di verifica dell’ottemperanza incoerenti con i criteri che hanno ispirato la redazione della medesima prescrizione e dunque il deteriorarsi della certezza del diritto per l’operatore.
un unico commento: ma chi volete che venga ad investire in italia se solo per un valutazione ambientale ci vogliono 4 anni di attesa……
l’italia è un paese finito, e più ancora del ritardo nell’autorizzazione pesa il fatto che di queste autorizzazioni si parla come fossero ovvie e dovute, del tutto naturali e universali, dimenticando completamente di contemperare, sia pur minimamente, anche le esigenze e i diritti della libertà di intraprendere e la NECESSITA di produrre ricchezza se non si vuole divenire un paradiso ambientale buono solo per farci le vacanze……..
mah!
a questo punto io SPERO che questo paese fallisca e che tutto questo venga analizzato, studiato e insegnato perchè non si ripeta mai più
Non ci posso credere! Stavo girando tra le pagine del sito del Ministero dell’Ambiente e ho scoperto che nella sezione dedicata al Fotovoltaico gli importi sono espressi in LIRE!!!! E tra l’altro con dati vecchi di 10 anni, ma siamo ritornati al veccio conio??? o Ci stanno provando???
Provare per credere http://www.minambiente.it/home_it/menu.html?mp=/menu/menu_attivita/&m=argomenti.html|Fonti_rinnovabili.html|Fotovoltaico.html|Costi__Vantaggi__e_Mercato.html
Non solo non arrivano.
Scappano, giustamente, a gambe levate.
Capito niente.
Visti i risultati mi sembra che tutte queste commiossioni servano solo per fare confusione e alimentare l’incertezza.
Io stabilirei un principio: se devi fare qualcosa lo chiedi al comune che avrà un certo lasso di tempo a disposizione, secondo il principio del slienzio/assenso, per rispondere dopo aver fatto tutte le verifiche del caso. Sindaco, assessori e funzionari saranno responsabili direttamente delle risposte che daranno o non daranno, fino in fondo sia penalmente che civilmente, in solido.
Ma non ha più nemmeno senso interrogarsi sul perchè si facciano alcune scelte.
Evidentemente il governo, non potendo mutare sostanzialmente la composizione delle precedenti commissioni, prova ad affiancare altra struttura a lui fedele, forse più efficiente, forse meno.
Molto probabilmente alcuni casi hanno rivelato delle falle nel compatto, sinora, simulare ed edulcorare dati e statistiche ministeriali.
Uno di questi è certamente all’ordine del giorno: tutta questa esagitazione sull’impatto ambientale proviene dal “caso ILVA” e dal disperato tentativo dell’oligarchia italiana, in buona parte al soldo di poteri stranieri per vizio storico e sconfitta nella seconda mondiale, di salvare le macchine illegali di cui il paese è pieno, in quanto i mezzi a disposizione negli anni, tra l’altro ottenuti grazie ai prestiti delle potenze cui siamo asserviti, appunto, sono stati utilizzati integralmente per il voto di scambio e quindi mai per costose e necessarie migliorie tecnologiche ed ambientali.
Col triplo risultato di aver generato masse di assistiti, obsolescenza industriale e degrado ambientale e sanitario.
Mi fa tenerezza Diego Menegon, quando prova a utilizzare categorie logiche quali “ordinamentale”, “legge di stabilità”…
Hanno infilato la norma là perchè facesse meno rumore possibile e perchè hanno urgenza maledetta… questo è tutto.
Chicago Blog, l’Italia non è l’America… vogliamo entrare nel merito della discussione, che è sempre lo stesso, oppure ancora dobbiamo simulare che un cesso è uno stabilimento termale solo perchè qualcuno ci ha messo il cartello “Baden Baden” al posto di “00”?
🙂
@alexzanda
Me lo auguro anch’io, in effetti. La situazione dell’Italia è unica, il primo paese teoricamente moderno (almeno come redditi, sinora) che torna precipitosamente indietro, senza saper più essere contadino.
Una catastrofe di cui si parlerà a lungo nella storia.
Qualcuno ha un’idea ben strana di come funzionino (meglio, NON funzionino) i Comuni. Ce lo vedo proprio il sindaco ortolano col geometra comunale a valutare il progetto di un’industria chimica. Grasse risate!
Commento impeccabile che va al cuore del problema. L’Italia è il Paese dell’assurdo suicida spacciato a volte per furbizia, altre per politica, altre ancora per legalità.
Comunque nonostante la marea di regolamenti ambientali, la povera Italia (da nord a sud) è uno dei Paesi occidentali dove permane uno dei più alti livello di inquinamento e dove permane più elevata l’esposizione delle costruzioni ai rischi idrogeologico e sismico (ed anche vulcanico in certe aree). E’ il Paese in cui si punisce l’intero settore della siderurgia di base anziché punire quelli che costruirono un quartiere a ridosso dell’acciaieria e delle raffinerie, costruite apposta fuori città.
@Roberto 33
Comune, Regione o Provincia, poco importa. Importano invece un tempo limite ed applicare il silenzio/assenso a tutti i troppi enti coinvolti. Di solito aspetti 4 anni quei provvedimenti.
C’è poi anche un altro aspetto.
L’autorizzazione integrata ambientale AIA valuta TUTTI gli aspetti ambientali.
Perlomeno così sia. L’AIA sostituisce TUTTE le autorizzazioni in materia ambientale.
L’ILVA l’AIA (statale) ce l’aveva. Il Giudice non deve rifare lui l’AIA.
Deve mettere in galera, in alternativa,
– l’ILVA se non ha rispettato le prescrizioni AIA
– i funzionari del ministero dell’Ambiente se non hanno valutato correttamente
e poi si fa rifare l’AIA.
Il principio della direttiva europea madre non è “si chiude ciò che non è al top” ma si valuta, caso per caso, qual’è la migliore tecnologia disponibile e, sulla bae del punto di partenza, qual’è il percorso di miglioramento fattibile. La “fattibilità” tiene conto anche delle esigenze economiche.
Ci sono dei riferimenti molto ben fatti, le BREF del JRC che sono le linee guida da rispettare.
Prima regola: ognuno faccia il suo mestiere. I giudici dovrebbero limitarsi ad applicare la legge.
@Paolo Landoni
Il problema non è la competenza tecnica ma la competenza procedurale. Se devo intraprendere un’iniziativa devo avere UN solo interlocutore che poi, sotto la PROPRIA responsabilità, attiverà la procedura idonea, coinvolgerà le competenze richieste e mi darà UNA risposta entro UN tempo limite.
Si deve poi considerare che fare l’ortolano non è facile e richiede competenze molto più elevate di quelle esplicitate da molti pubblici funzionari e dirigenti.
Convengo con Lei (mi sono occupato professionalmente di VIA – VAS – AIA). A ciascuno il suo. Altrimenti non se ne viene fuori e il paese va in malora.
@Roberto 33
@ Mike
Ma ragazzi… ma l’avete visto il ministro Balduzzi, guardacaso pochi giorni dopo la redazione dell’AIA (e i dati si sapevano pubblicamente da mesi) andare a Taranto e sciorinare i dati che ha sciorinato?
Li avete sentiti i vari Ferrante e Clini dire invece che a Taranto si muore meno che altrove, nemmeno due settimane fa?
E come si conciliano queste due cose???
Ma avete capito o non avete capito che per anni sono state scritte leggi, firmati patti, ritirare costituzioni di parte civile e tutto è andato avanti in maniera immutata perchè i colletti bianchi tarantini e quelli nazionali banchettavano allegramente con la proprietà aziendale?
Ma avete afferrato che nessuno ha pertanto controllato, nessuno è intervenuto più di tanto e che per 50 anni c’è stato un “metodo Archinà” fondato sulla corruttibilità e l’ignoranza di una popolazione misera e arretrata, a tutti i livelli?
Ma l’avete visto il Cristo benedicente le ciminiere (!!!) che si trova musivamente infilato nell’abside della chiesa di “Gesù divinin lavoratore”, principale parrocchia dei Tamburi?
L’avete capito che ILVA ha fatto “dumping ambientale” da quando esiste e si è retta sulla possibilità di far quel che voleva ai danni della popolazione locale, tagliando costi che ogni altra acciaieria europea aveva dalla metà degli anni ’70?
E soprattutto non avete ancora compreso che l’AIA è un atto ministeriale rivolto a prevedere le caratteristiche ed i limiti delle produzioni più rischiose all’interno di un percorso industriale “fisiologico” e non “patologico”?
Lo sapete che c’è una Costituzione che tutela il diritto alla vita ed alla dignità umana?
Lo sapete che c’è una gerarchia delle fonti per cui tutta la produzione normativa è ad essa subordinata e che lo Stato di diritto si fonda sulla certezza del diritto, inclusa appunto la gerarchia?
Il percorso compiuto dalla magistratura di fronte alla possibilità (confermata poi dalle perizie endoprocessuali del 2011, dagli studi Sin Sentieri sino al 2003 e poi dai nuovi SIN sino al 2009) che dall’inquinamento derivi malattia e morte è ovviamente diverso e distinto dalle prescrizioni industriali dell’AIA. Mai peraltro rispettate, nemmeno quelle del 2011, già in costanza di procedimento penale e civile.
Ma il punto non è che siano rispettate o meno… il punto è che per Costituzione vi sono dei beni tutelati più di altri, che la legge ordinaria non ha il potere di declassare, figuriamoci i “regolamenti” amministrativi… paradossalmente nulla negherebbe al Parlamento di stabilire che il diritto alla vita è inferiore al diritto alla produzione ed al lavoro. Il che sarebbe l’unica soluzione a disposizione per chi vuole “terminare” il processo ed il sequestro.
Ma basterebbe al GIP o ad una delle parti proporre giudizio di anticostituzionalità in merito che la legge finirebbe cancellata …
Poichè è palese che quella produzione si fa con un inquinamento stile anni ’60 che miete vittime e malati. Punto.
Infine il piano umano… se voi vedeste cosa è accaduto qui, non vi sognereste di parlare in questi termini.
Ve lo dice uno che non è un ambientalista, ma conosce bene la questione.
Per aiutarvi, visto che siete certamente lontani…
http://www.corriere.it/inchieste/o-fabbrica-o-morte-destino-citta-che-vive-l-ilva/89dcdfb0-00e3-11e2-821a-b818e71d5e27.shtml
http://www.corriere.it/inchieste/a-taranto-vita-impossibile-veleni-ilva-/86ea73ec-07e8-11e2-9bec-802f4a925381.shtml
Saluti