Il rimedio alla crisi? Seguire la scienza economica – di Gerardo Coco
Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Gerardo Coco.
Dati recenti dell’OCSE mostrano rallentamenti della crescita economica per tutti i 33 paesi aderenti. In particolare, le previsioni percentuali di crescita del PIL dei Paesi occidentali per il 2012 sono nell’ordine dell’uno virgola: previsioni, ottimisticamente, recessive. La realtà è che la crescita in questi paesi è negativa perché i pil non misurano l’incremento reale di prodotto ma la spesa e questa è gonfiata dall’inflazione.La diminuzione dei pil significherà aumento di disoccupazione. Anche i tassi di interesse reali sono “in rosso” il che significa che gli investitori che tengono i propri risparmi in forma liquida o parcheggiati in titoli di stato o nel mercato monetario stanno tutti perdendo soldi. Una situazione sempre più incerta e volatile blocca gli investimenti industriali. L’assenza di sviluppo e quindi di reddito significa che il servizio del debito non potrà essere pagato. In questo contesto sarà sempre più difficile per i governi ottenere dal mercato nuovi prestiti.. I governi si troveranno tra l’alternativa del default o dell’inflazionismo che non è altro che un default perseguito con altri mezzi. Perseverando nelle misure macroeconomiche, fiscali e monetarie che ai fini dello sviluppo economico non valgono un iota, i governi hanno abbracciato con cocciuta e pericolosa ottusità la teoria dell’impoverimento progressivo.
Per i governi l’economia ha sempre significato, non un sistema di produzione e di scambio per allocare risorse scarse, ma semplicemente “spesa” , soprattutto spesa statale.
A questo fine, prima hanno pensato a drenare risorse dalla collettività tramite tassazione e successivamente, non bastando questa, hanno applicato all’economia intera una gigantesca leva finanziaria. La leva è il rapporto tra debito e capitale e poiché il divisore tende allo zero, il dividendo tende all’infinito. La progressione esponenziale del debito misura il grado di distruzione dell’economia. .
Nell’opinione popolare la spesa statale originata dal debito pubblico ha la stessa natura di quella originata dal capitale cioè dal risparmio. Ma la prima rappresenta inflazione pura e dissolve come un acido il secondo. Quando la società non è più capace di creare capitale decade immediatamente.
Per scampare ad una catastrofe economica certa c’è solo un rimedio: tagliare drasticamente la spesa pubblica e azzerare le tasse su redditi e capitali e sostituirle con una tassa sui consumi. Lo sviluppo che ne conseguirebbe sarebbe sensazionale e annullerebbe il debito in pochi anni. Un sogno? No, una realtà e la storia passata e recente lo dimostra.
Tornare a David Ricardo
L’economista inglese Alfred Marshall (1842 –1924) affermò che se per assurdo andasse distrutta la ricchezza materiale del mondo, ma rimanessero invece vive le idee in base alla quali essa fu formata, si potrebbe rapidamente ricostruirla. Queste idee sono racchiuse nell’apparato analitico creato da Adam Smith e da David Ricardo più di duecento anni fa. Il primo, che impostò in un unico corpo organico i problemi che sono stati oggetto di tutta la riflessione scientifica successiva, sostenne che la libertà di mercato era la premessa per la piena utilizzazione delle forze produttive e per il loro ulteriore sviluppo perché l’intervento dei governi, raramente efficace, è quasi sempre dannoso. Ricardo, rielaborando e perfezionando le analisi di Smith mostrò come, nella distribuzione del prodotto sociale, il ruolo del capitale fosse condizionante per l’aumento di prosperità generale.
“Il capitale – scrive Ricardo – è quella parte della ricchezza di un paese che viene impiegata a scopo di produzione futura e può aumentare allo stesso modo della ricchezza” (Principles of Political Economy and Taxation). Per chiarire: la parte che viene prodotta e che non va ad aumentare il consumo finale è investimento e poiché anche l’investimento, ossia il capitale, fa parte di ciò che il sistema economico complessivamente produce, tutto ciò che promuove l’espansione del sistema, promuove anche l’accumulazione di capitale. E’ l’ammontare del capitale a determinare la capacità dell’economia di produrre beni e servizi e di impiegare lavoro ed è il rapporto tra capitale e lavoro ad aumentare la produttività.
La tassazione sul capitale mina questo processo perché trasferisce il capitale dalle mani di chi produce nelle mani di chi consuma.
Ricardo scrive:
“Nonostante l’enorme spesa del governo inglese negli ultimi venti anni è praticamente certo che l’aumentata produzione da parte della popolazione l’abbia più che compensata. Non soltanto il capitale non è stato intaccato, ma esso è grandemente aumentato e il reddito annuale della popolazione, anche detratte le imposte, è ora probabilmente maggiore che in qualsiasi altro periodo della storia inglese… È tuttavia certo che, senza l’imposizione questo aumento di capitale sarebbe stato molto maggiore. Non vi sono imposte che non tendano a diminuire la capacità di accumulazione. Tutte le imposte ricadono o sul capitale o sul reddito. Se intaccano il capitale riducono in proporzione il fondo la cui entità determina l’entità dell’industria produttiva; se ricadono sul reddito diminuiscono l’accumulazione o costringono i contribuenti a risparmiare l’ammontare dell’imposta e a diminuire in misura corrispondente il loro precedente consumo. ..I governi dovrebbero non imporre mai tributi che gravino inevitabilmente sul capitale perché così facendo essi intaccano i fondi destinati alla sussistenza dei lavoratori e diminuiscono la produzione futura del paese”. (Ibid)
Per Ricardo la riduzione di capitale ad opera della tassazione cambia il rapporto tra capitale e lavoro, ne abbassa la produttività marginale e quindi riduce il salario reale. Un sistema fiscale volto a salvaguardare il reale interesse dei lavoratori dovrebbe tassare solo la parte di reddito che viene consumata e non quella che viene risparmiata od investita perché è questa parte a creare lo sviluppo e l’occupazione.
Grazie alla dottrina di Ricardo l’Inghilterra divenne la più grande potenza industriale.
L’economista contemporaneo Arthur Laffer, (consigliere di Ronald Reagan cui si deve la famosa “curva Laffer” che mette in relazione l’aliquota di imposta con il gettito fiscale e per la quale esiste un livello del prelievo fiscale oltre il quale l’attività economica non è più conveniente e il gettito si azzera), scrisse che le ragioni principali per cui le economie declinano sono due: una tassazione esagerata e l’instabilità monetaria e sono questi due elementi che spiegano l’ascesa ed il crollo delle nazioni. Laffer si ispirava a Ricardo per entrambi gli aspetti. Ricardo, infatti, in uno dei suoi famosi pamphlet monetari (The High Price of Bullion, a Proof of the Depreciation of Bank Notes) scrisse che le politiche monetarie espansive e gli abbassamenti dei tassi di interesse avrebbe portato i paesi alla rovina. E ce ne siamo accorti. Ma le politiche monetarie espansive sono proprio la conseguenza della elevata tassazione la quale riducendo capitale e produttività porta alla recessione cioè alla contrazione dell’economia. Allora si cerca di combatterla con stimoli monetari che secondo i geniali economisti contemporanei, dovrebbero fare le veci del capitale; a sua volta il pompaggio di liquidità, creando inflazione, mina la stabilità valutaria.
È da settant’anni che si fanno queste politiche aspettandosi risultati diversi. Ci fu tuttavia l’intermezzo degli anni 80, gli anni di Reagan di Volker e della Thatcher, gli anni dei tagli fiscali, della stabilizzazione delle valute e della ripresa economica, anche se purtroppo negli USA non furono gli anni di riduzione della spesa pubblica.
Ma è la storia del Giappone dopo la seconda guerra mondiale a rappresentare un caso di scuola del paradigma ricardiano.
A partire da 1945 i politici giapponesi capirono che per ricostruire velocemente la loro economia distrutta dal conflitto, dovevano minimizzare le tasse su investimenti e capitali. Praticamente ogni anno e fino al 1970 ridussero l’imposizione fiscale. I guadagni in conto capitale, profitti, plusvalenze, interessi e rendite furono praticamente esentati. Quando fu loro chiesto come fosse possibile “finanziare” questi tagli, risposero che proprio i tagli avrebbero permesso all’economia di crescere abbastanza per originare nel futuro maggiori entrate fiscali per rinnovare il paese. I giapponesi compresero chiaramente che tutto il capitale esentato dalle tasse sarebbe stato automaticamente reinvestito nell’economia. La domanda di lavoro e l’occupazione aumentarono anno dopo anno. Assistiti da maggior capitale i lavoratori migliorano la produttività e ottennero salari crescenti.
Fu un’ascesa impressionante accompagnata da uno sviluppo tecnologico e sociale che fece del Giappone la seconda potenza mondiale e la più grande economia esportatrice con una valuta fortissima. Non si penalizzarono gli aspetti sociali, tutt’altro, nacque infatti il concetto sociale dell’impiego permanente nelle aziende (lifetime employment), cioè il posto di lavoro assicurato. Nel decennio 1960-1970 il PIL del Giappone quintuplicò. I leader dell’epoca avevano afferrato un principio empirico importante: l’incidenza fiscale non deve mai superare il 20% del PIL. E’ la cifra limite oltre la quale un paese entra nella zona a rischio. Perché? Perché i giapponesi capirono che è praticamente il settore privato ad essere responsabile dello sviluppo economico e non lo stato. Lo stato è il servitore della collettività che rappresenta, deve fornire servizi ed incoraggiare l’economia, non strangolarla.
Ma a partire dagli anni 80 il vento cambiò. L’incidenza fiscale sul PIL salì al 40% e cominciando a manifestarsi i segni recessivi e le nuove generazioni al potere abbandonarono il modello ricardiano per impalmare quello keynesiano di spesa pubblica, di stimoli monetari con tutto quel che segue: ipertrofia burocratica, bancocentrismo, lobbismo e una corruzione senza freni. Il destino del Giappone era segnato. Accumulò il debito interno più elevato del mondo ed entrò in una recessione permanente che dura da più di vent’anni.
Potremmo continuare a parlare del miracolo economico della Germania creato dal taglio delle tasse di Ludwig Erhard o del boom economico italiano iniziato nel 1948 (ma allora c’era un altro campione del libero mercato, Luigi Einaudi) a cui seguirono quindici anni di costante e sostenuto progresso economico ad un tasso del 6% ed una stupefacente esplosione di attività imprenditoriale.
Oppure di quello del decennio dal 1990 della Corea del Sud che grazie ai tagli fiscali triplicò il PIL in piena crisi asiatica o di quello di Hong Kong dove l’incidenza fiscale sui redditi e imprese non supera il 17%.
Se un paese vuole entrare in un’era di prosperità non ha che da seguire i principi della scienza economica, non quelli della macroeconomia che affida allo stato e alla banca centrale poteri illimitati riducendo chi produce e chi crea capitale al ruolo di servo che deve fare quello che vogliono i padroni.
Bello! ponderato e intelligente… ma mi ha suscitato delle perplessità.
Come si tassa il consumo? Dobbiamo tornare ai doganieri che perquisiscono le automobili sui confini?
Se consumo e lavoro sono due facce di una stessa medaglia, a concentrare le tasse sul consumo, non si rischiano effetti collaterali indesiderati?
penso si intenda detrarre i consumi dalla dichiarazione dei redditi in modo che le tasse pagate consumando e investendo non siano pagate di nuovo
o forse mi sbaglio?
Interessante, ma il progresso del Giappone del dopoguerra è anche dovuto al “modo” diverso di produrre. il kaizen, kanban, il just-in-time, lean, il modello toyota… vi sono biblioteche sul tema!!! Finchè le nostre aziende sono pensate a “io sono il padrone e comando, e se non ce la faccio più a comandare io, vendo…” potremmo avere tutte le politiche fiscali di questo mondo…
@ Claudio e Matteo
Premesso che quasi dappertutto il contribuente è tassato due volte su quello che risparmia ed una volta soltanto su quello che spende, le tasse sul risparmio (capitale) andrebbero eliminate. Infatti ciò che è risparmiato è speso, non per motivi di consumo ma per investimento. Quando si risparmia si rinuncia temporaneamente alla soddisfazione dei propri bisogni e all’uso della ricchezza accumulata e la si cede a chi la investe. La tassa sui consumi (sales tax) non colpisce l’investimento ma la spesa finale in beni e servizi ed è una tassa indiretta applicata in % sul prezzo di vendita dei prodotti. E’ un’imposta che si calcola una volta sola.
Negli US una volta esisteva solo questa tassa ed è per questo che si svilupparono rapidamente. La sale tax fu chiamata la tassa per lo sviluppo.
Poi fu sostituita dalla tassa sui redditi. L’amministrazione Bush cercò di ripristinarla ma non ci riuscì. La tassa sui consumi ricompensa i risparmiatori e penalizza i consumatori ma ovviamente poiché si evita quella sui risparmi, i consumi non ne soffrono.
In alcuni stati come la Florida a parte le imprese (corporate tax) non esistono tasse sui redditi ma solo tasse sui consumi..
@ Roberto
Il modo diverso di produrre in Giappone si sviluppò negli anni 70 e questo fu dovuto alla rapida accumulazione di capitale avvenuta precedentemente.
Ciò che “le biblioteche sul tema” non dicono è che non esistono cambiamenti nella tecnologia senza cambiamenti nella configurazione di capitale.
Lo sviluppo di nuove tecnologie non avviene mai in un “vuoto” . La tecnologia è l’applicazione del fattore lavoro al fattore capitale e la creazione ed implementazione di una nuova idea è resa possibile unicamente attraverso una alterazione dello stock e della struttura del capitale.
In altre parole la tecnologia non può essere mai separata in astratto dai mezzi di produzione, cioè dal capitale.
Molto interessante e ringrazio l’autore. Il primo pensiero che mi viene è che fra quanto sta succedendo e l’eventualità che si avveri anche solo in parte ciò che è postato sopra deve succedere una terza cosa: che si svegli o cambi la rappresentanza della nostra classe dirigente…e su questo punto sono piuttosto pessimista.
Parole sante !
Spiegato così dovrebbe essere piuttosto chiaro come i nostri tecnici dovrebbero agire! cosa li spinge a non farlo? Quali motivazioni? Ci sono delle premesse che si devono attuare, ad esempio all’italia, per rendere operativo questo modello? Non vedo chi si potrebbe opporre! Oppure pecco di ingenuità?
Condivido il Suo articolo in ” assoluto “. In questo momento mi pare pero’ di non vedere proprio crescere l’inflazione. Il problema attuale direi che si possa identificare nella mancanza di liquidità del sistema in Europa, causata essenzialmente dalla totale incapacità tedesca a capire le logiche, giuste o sbagliate, del mondo finanziario attuale.
La risposta mi ha soddisfatto solo parzialmente, cercherò di argomentare meglio le mie perplessità.
Mi sembra che attraverso l’IVA lo Stato raccoglie un po’ più di 100 miliardi all’anno, a fronte di un fabbisogno totale di quasi 500. Probabilmente, se volessimo un IVA che copra l’intero fabbisogno, dovremmo aumentarla di quasi 5 volte.
Una sales-tax, a parità di aliquota, risulta meno remunerativa dell’IVA perché riguarda solo i consumatori finali (e non tutti gli attori della catena di produzione) mi chiedo dunque: che percentuale dovrebbe avere questa sales-tax?
A conti fatti ci dovremmo trovare in un paese dove si guadagna il doppio e dove i beni e i servizi costano il doppio. Evidentemente, per evitare che la gente faccia i propri acquisti fuori dall’Italia, andrebbero ripristinare le dogane vecchio stile.
Mi sembra comunque verosimile che un regime fiscale di questo tipo promuova risparmio e investimento, ma mi chiedo: da dove vengono drenate le risorse per i nuovi investimenti? Non è che si finisce per premiare un economia basata sulle esportazioni a scapito del mercato interno? Se noi ripristiniamo le dogane, gli altri accetteranno i prodotti italiani senza porre dei dazi?
Ringrazio sentitamente il signor Coco per aver chiarito una volta per tutte, sulla base di una analisi lucida e rigorosa, coma debba essere interpretata la crisi attuale: non secondo i canoni della macroeconomia ma applicando i principi della scienza economica classica, in particolare quelli del modello ricardiano spazzando via la diatriba tra (neo)keynesiani e antikeynesiani. Chapeux. Sì, sì…ma hic Rodhus, hic saltus. Infatti si apre ora la prospettiva che colloca al centro il ‘settore privato’ quale ‘responsabile dello sviluppo economico’. Dunque sul piano culturale, che è quello che più mi interessa, è l’individuo che pensa agisce intraprende liberamente a riacquistare il primato – oltre i personalismi!-, ma ciò nell’Occidente individualista pone la questione educativa in quanto negli ultimi decenni (post ’68) l’individuo ha perso metaforicamente l’anima. Del resto gli esempi storici addotti dall’Autore: il Giappone (1945-70), l’Italia (1948-63) e la Corea del Sud (anni ’90)ebbero come protagonisti i popoli con un’anima che voleva ricostruire dalle macerie materiali e/o ideologiche. Una conclusione: la ‘guerra’ all’euro dichiarata dalla retorica e dalla demagogia -non dalla speculazione, ma che tuttavia incide sulla viva carne di individui indifesi- sarebbe essenzialmente la forma, storicamente determinata, del tentativo di smantellare lo stato di diritto (diritti umani politici civili sociali), al di là dello stato del benessere, da parte della socialburocrazia e della clericalburocrazia dominanti nell’Europa continentale nel segno di una democrazia reale -in analogia al socialismo reale per dirla con Pannella- che ha sopraffatto lo spirito liberale (le caste dell’Italietta sono ben poca cosa!)
Forse nessuno lo ha detto all’autore ma samo nle 2011 quasi 2012 e pensare di basare l’economia su studi privi di validi riscontri statistici e analisi matematiche è come voler basare i trasporti su carri e diligenze. A parte considerazioni ovvie sulla ingiustizia sociale di imposte sui consumi. Un Berlusconi mangia meno di un operaio ossia consuma meno di un operaio che così si troverebbe a pagare più di lui. Un Berlusconi consuma in siggarette (ammesso che fumi) tanto quanto un operaio e quindi pagherebbe quanto lui, Solo su alcuni consumi si potrebbe usare un minimo di giustizia. Senza contare che tassare i consumi significa aumentare i prezzi dei beni e contrarne l’uso e la produzione. Anche in economia duecento anni dis tudi non sono passati completamente invano.
Se fosse vero quanto qui scritto sul Giappone, oggi sotto l’attacco dei mercati finanziari dovrebbe essere il Giappone e non l’Europa, mi piacerebbe capire perche’non e’ cosi
Perchè i titoli del debito pubblico sono acquistati tutti dal popolo giapponese
Domanda ma la creazione della moneta, chi la fa? e come viene gestita?
Il suo scritto mi lascia perplesso non poco.
Il fatto che mi dice che applicare il sistema Keynesiano, negli anni 80, ha portato “danni e debiti”, mi fa pensare che la moneta emessa era gravata da debito, mentre noi sappiamo che una moneta dello stato se ben calibrata non porta ad alcun debito.
Articolo impeccabile che mostra in modo chiaro e semplice quanto una base teorica sana sopravviva a secoli (ormai) di esperienza viva. Con le opportune cautele si potrebbe fare un parallelo con le grandi teorie della fisica che, quand’anche superate, sopravvivono come casi particolari delle nuove, mentre le teorie alternative finiscono per essere contraddette dalla sperimentazione (basta far mente locale alla meccanica classica ed a quella relativistica).
Purtroppo in Italia l’ostacolo principale alla riduzione delle tasse sta nella struttura politico/sociale in cui una parte rilevante delle imprese e larghi strati della popolazione dipendono dalla spesa pubblica. L’ipertrofia del sistema burocratico statale a sua volta garantisce vita tranquilla a una pletora di impiegati. Inoltre esiste una mentalità diffusa per cui dovrebbe essere lo Stato a preoccuparsi del benessere dei cittadini. Anche gli stessi partiti politici, pure loro ipertrofici, preferiscono il raggiungimento di un facile consenso elettorale attraverso la promessa dello Stato capace di assistere e dare stabilità economica ai cittadini e cedono alla tentazione di usare la spesa pubblica per ingraziarsi imprenditori e corporazioni.
Lo shock del 2012 (quest’anno sono solo le avvisaglie) può fungere da catalizzatore per un cambiamento di mentalità. In gioco c’è il futuro industriale del Paese che potrebbe non reggere alla concorrenza del Far East in grado di sfornare prodotti di alto contenuto qualitativo e/o tecnologico e di offrire ai clienti soluzioni altamente flessibili.
Signor Coco buongiorno, non crede che sia venuto il momento di pensare ad un nuovo sistema di tassazione nazionale ed in un secondo tempo globale? E’ vero che il fabbisogno italiano annuo e’ di 800MLD di € ? Grazie per una risposta, cordiali saluti, Roningp.
@Gerardo Coco
Non mi riferivo alla tecnologia, che veramente a bisogno di capitale e parte dagli anni 70, ma alla “metodologia” che in Giappone iniziò negli anni 50, a partire proprio dalla “scarsità” di capitale, di spazio etc…
Il “lean”, il ciclo di Demning (americano che propose le sue teorie in Giappone)… necessitano grande motivazione e coinvolgimento di tutti gli “attori” in tutti i particolari seppur minimi. Per questo la situazione è grave, oggi in Italia!
Non diamo suggerimenti inopportuni alla cosi grande(e ricca?!?) famiglia della p.a.,gli venisse in mente di tassare pure il consumo,cosi diventa ancora più grande(e ricca!?!).
UN’occhiata alla definizione di iva al sistema anglosassone io la darei….
p.s.
Signor Coco è sempre un piacere leggerla
E’ oltre i 700 mld pari al 43% del PIL e 11,5 mila procap.
Ci vorrebbe una vera rivoluzione fiscale ma con la politica che citroviamo se lo scordi
Signor Coco buonasera, la ringrazio per la risposta, forse se pensassero al potere che ne derivererebbe ci potrebbe essere una possibilita’, dato che, il potere, potrebbe essere l’unica molla per mettere in moto una vera rivoluzione fiscale, grazie, cordiali saluti, Roningp.
la Scienza economica non è una Scienza Esatta ma Sociale (a dir la verità pure la Fisica è piena di Teorie continuamente confutate stile MetaFisica)..
il boom 80′ ’90 fu semplicemente drogato ed ha rimandato di 20 anni problemi..
in democrazia CHI negli anni ’80 avrebbe mai avuto il coraggio di dire alla gente che “naturalmente” (cioè alla Riccardo) non si cresce più ? da lì partirono Base Monetaria e Debiti Pubblici Europa ed Debiti Privati Usa..
basta veder da noi che negli ultimi 3 anni Silvio ha nascosto sino all’ultimo rendendo più dolorosa nel 2012 (ad oggi siamo agli Aperitivi) la cura da cavallo..
le 3 MACRO cause del Declino Occidente si sarebbero potute gestire un pò meglio :
invecchiamento= costo wellfare evitando sotrure tipo baby pensionati/fali invalidi/crruzione di massa ed evasione di massa
gestire con più gradualità apertura globalizzazione con cc su costi senza diritti
una parte dell’incremento del debito è dovuta ad aumento discriminazioni redditi slegate da produttività/merito = fine ceto medio che così consuma a debito x far girare la SOVRA-capacità produttiva che è Eccesso di Risparmio in Investimenti Inutili Non Innovativi (il tasso saturazione impianti è calato in Usa del 5% ogni 10 anni negli ultimi 30 anni cioè del 15%).. se quel Extra-Risparmio Inutile alla Produzione Classica (l’esercito di Capannono da sempre Vuoti) lo avessero dato ai Consumi (invece che ai Top Class&Rendite&Extra-Profitti) avrebbero consumato con meno debiti.. cioè con meno squilibri..
Signor Coco, ricordo un suo articolo sulla moneta a debito, mi chiedevo quindi se non è possibile prendere in considerazione l’alternativa di stampare moneta senza emettere obbligazioni? (la prego non mi parli di iperinflazione ecc…)
Cordiali saluti buone feste
@lionello ruggieri
1.Proprio perchè ormai siamo nel 2011 dovrebbe sapere che decenni di analisi matematiche, statistiche ed econometriche non sono state capaci di prvedere innumenerovoli crisi. Anche quando i trasporti avvenivano su diligenza i principi econonomci fondamentali della domanda e offerta, rendimenti decrescenti, ecc. erano sempre validi.
2.Quanto alla ingiustizia sociale per cui un impreditore spende per il consumo quanto un operaio o impiegato, dimendica che l’imprenditore, dandoli lavoro li mette in condizione di consumare. A meno che non sia lo stato a darli lavoro. Ma da dove prenderebbe i soldi?
3. I prezzi non aumenterebero come lei afferma, perchè producendo di più diminuirebbero e se la diminuzione fosse compensata dall’aumento delle tasse sui consumi, meno tasse sul reddito aumenterbbero la capacità di spesa.
Se lei, invece di fare battute avesse letto attentamente l’articolo, avrebbe capito che, contrariamnte a quello che dice, 200 anni di economia sono passati invano.
@claudio
Rilegga bene l’articolo. Se ad es.il Pil si quintuplia, quintuplica anche il reddito ed è da qui che provengono le risorse per investimenti. E beni e servizi non costerebbero il doppio ma per l’aumentata produzione scenderebbero.
@Orazio
Ma la creazione di moneta chi la fa e come viene gestita?
Vada a leggere su questo blog:
http://www.chicago-blog.it/2011/11/03/il-denaro-a-nudo-di-gerardo-coco/
Capirà tutto. E’ uno dei migliori articoli che abbia mai letto.
@elena
@elena
Certo che si potrebbe. Basta che il Tesoro dello Stato dia ordine alla Zecca di stampare denaro. Naturalmente in Italia è impossibile perchè il denaro è prodotto in esclusiva dalla Banca Centrale Europea.
Buone feste anche a Lei
Ottimo articolo! Da economista, credo che riflessioni tipo queste non si possono tralasciare e vanno considerate, anche se impopolari. Poi, si può anche non essere daccordo. Ma è oggettivo (come riportano i suoi esempi) che ci sono casi storici in cui le sue tesi hanno avuto riscontro.
La solutione parziale sarebbe quella dell’uscita della Geania e Grecia (il migliore e il peggiore) dall’euro. Il Marco dovrà rivalutare, le nostre esportazioni torneranno competitive e la situazione si stabilizzerà
@Gerardo Coco
Cosa ne pensa dell’idea di abolire del tutto la tassazione sul reddito?Se non sbaglio in USA da qualche tempo si sta ventilando una proposta di questo tipo (la cosidetta fair-tax).
@Massimo74
La fair tax (la tassa equa) è la tassa sui consumi che è stata proposta per eliminare le tasse federali. Essa, appunto come scriveva Ricardo, avrebbe un effetto positivo sui risparmi ed investimenti e sulla accumulazione di capitale.
Nell’articolo mi interessava sopratutto sottolineare uno dei principi a base dello sviluppo. Per approfondire tutte le conseguenze, pregi e difetti di questa ipotesi impositiva è necessario un altro articolo, più tecnico, che penso di scrivere a breve.
Saluti
Caro Coco, premetto che l’argomento è interessante ed andrebbe approfondito. Spiegare alcune dinamniche economiche con poche righe è pressochè impossibile e forse genera pure grande confusione nei lettori.
Di fondo purtroppo, bisogna sempre tener presente, i tempi in cui viviamo ed il momento attuale. E’ certo che il sistema economico globale è migliorabile, da questo punto fermo, dove tutti ritengo siano concordi dobbiamo partire.
Il primo tema di grande rilevanza sta nel post (che io non ho letto ma cmq immagino i contenuti) che ha citato Elena, è naturale che se il mercato e le economie mondiali cambiassero le regole, con cittadini non più debitori nei confronti dello stato, come secondo me sarebbe corretto, ci troveremo a vivere altre realtà.
Un modello del genere non può essere creato da un solo stato, servirebbe una condivisione e sicuramente i tempi non sono maturi, visto che poi, la maggioranza della popolazione, non sa neanche di cosa stiamo parlando.
La soluzione attuale, prendendo in considerazione il modello globale esistente, è solo una, sempre secondo il mio modesto parere, regolamentare l’intero sistema economico, condividendo con gli altri paesi due o tre regolette.
Prendiamo la tobin tax, in un mercato finanziario stravolto da ricchezze basate sul nulla, con derivati, cds, sistemi ombra, mercati secondari ecc. mettera una tassa su ogni movimento sarebbe cosa buona e giusta.
Un provvedimento del genere avrebbe valore esclusivamente se condiviso da tutti i mercati, in caso contrario darebbe troppi vantaggia chi non accetta.
Allo stesso tempo non possono esistere nel 2011 quasi 2012 mercati finanziari che sfuggono ad ogni controllo, è assolutamente pazzesco, ogni transazione dovrebbe avere delle regole, ed è chiaro che di questa deregulation se ne approfittano, i mostri sacri del capitale, lecito ed illecito.
Per concluder caro Coco, concordo che i cittadini dovrebbero essere più partecipi e comprendere meglio il mondo in cui vivono, ed il suo articolo, molto interessante segue questa direzione, in pratica bisogna seminare per raccogliere fra un po di anni, nel frattempo sarebbe auspicabile spingere i paesi in cui viviamo a regolamentare il mercato globale.
Gianluca
Tagliare la spesa pubblica nella misura richiesta dalle cifre in gioco,necessariamente comporta la riduzione dell’impiego di personale.Cioè bisogna licenziare.La riduzione con la mancata sostituzione di chi va in quiescenza mi pare di efficacia troppo protratta nel tempo.Obama potrebbe farlo.Noi credo di no.
Poi certo si potrebbero risparmiare soldi tagliando le elargizioni alle imprese,ed altro ancora.Però un effetto strutturale si potrebbe avere principalmente con la riduzione del monte stipendi.
@Gerardo Coco
Grazie per la risposta.Certamente la fair tax favorirebbe i risparmi e quindi gli investimenti.Inoltre permetterebbe di ridurre drasticamente la burocrazia a carico di cittadini e imprese (niente più dichiarazioni dei reddi,niente spese per il commercialista,ecc) e si finirebbe una volta per tutte con il clima da stato di polizia fiscale (non essendoci tassazione sul reddito non ci sarebbe bisogno di verificare lo stile di vita di un cittadino nè bisognerebbe controllare come quest’ultimo spende i propri soldi) che serve solo a far scappare gli investimenti.
Comunque aspetto con ansia il suo articolo in merito.Leggere le sue considerazioni su questi temi è sempre un piacere.
@Pierluca Meregalli
“Tagliare la spesa pubblica nella misura richiesta dalle cifre in gioco,necessariamente comporta la riduzione dell’impiego di personale.Cioè bisogna licenziare.”
Non necessariamente.Basta privatizzare i servizi.
Perfettamente d’accordo.
L’italia ha bisogno, non delle forbici, ma della falce per tagliare la spesa pubblica e ridurre le tasse, su imprese e lavoro.
Solo ora ho potuto leggere l’articolo ‘Il denaro a nudo’ di G.Coco grazie alla segnalazione da parte di Angela di ieri. Ho ripassato le quattro funzioni del denaro: 1)misura del valore -che non va confuso con il prezzo-; 2)mezzo di pagamento; 3)intermediario nello scambio; 4)deposito di ricchezza o riserva di valore. E’ dunque una nozione astratta e complessa. Ho appreso che c’è differenza sostanziale tra i sistemi monetari: l’uno aureo e l’altro vigente a far tempo dal 1971 quando il presidente americano Nixon decise la non convertibilità del dollaro in oro, ma entrambi i sistemi sono accomunati dal fatto incontrovertibile che gli uomini, almeno nella loro maggioranza, credono al denaro, malgrado la consapevolezza che chi possiede denaro -ricchezza/reddito- è destinato a perderlo a causa della tassazione dello stato o per l’inflazione generata dal sistema economico finanziario politico o per il furto della cassa e simili. Oggi, in un mondo disincantato, sono ormai evidenti alcuni aspetti:1)la moneta è un atto fiduciario e il valore del denaro dipende dal futuro (Mtthieu); 2)la famiglia moderna mononucleare con padre madre e figli è una mostruosità inedita nella storia (Illich); 3)lo stato-nazione, da un lato, è un Leviathano (Hobbes) e la tomba della libertà (Spinelli,Rossi,Colorni) e .dall’altro, è il debitore finale insolvente dell’economia (Coco); 4)la politica moderna si fonda su presunzione di verità e su anticipazioni, ossia obiettivi che stanno prima dell’azione(è il machiavellismo- non Machiavelli!- del fine che giustifica i mezzi); 5)i prezzi di Borsa incorporano le aspettative degli attori; 6)la banca centrale crea denaro garantendolo mediante passività o promesse di pagamento dei debiti (Coco). Tutto ciò è la forma espressiva dell’uomo moderno che è un essere che si progetta, si proietta, coltiva illusioni (Foscolo). Infine si consideri che il potere-la capacità di fare- è separato dalla politica-decidere ciò che si fa-, così come il territorio è separato dalla rappresentanza della realtà economica. Che fare in un clima di sfiducia generalizzata? Studiare, studiare, studiare avendo fiducia in se stessi al fine di capire la logica e i discorsi del potere (Bruno Leoni docet!)
@Mario45
Vorrei sottoporre l’articolo: “Crisi dell’Euro: siano ad una svolta?”
http://www.punto-economico.it/post/2012/01/31/Crisi-dell’Euro-siano-ad-una-svolta.aspx
come contributo alla discussione.