Il reddito minimo universale è una soluzione alla ricerca di un problema
Di Gonzalo Schwartz
Questo articolo è apparso originariamente su The Hill.
La paura dell’automazione e dell’intelligenza artificiale o IA ha suscitato innumerevoli dibattiti sul futuro del lavoro e sull’utilità degli esseri umani nell’epoca dei robot.
Molti temono la disoccupazione tecnologica, altri, invece, paventano in futuro la disuguaglianza dei redditi. Per affrontare il cupo futuro del mondo del lavoro, esponenti del mondo politico, del mondo tecnologico e persino aspiranti candidati presidenziali, come Andrew Yang, propugnano un reddito minimo universale per superare queste incertezze.
Anche se i decisori politici discutono l’idea di un reddito minimo universale, la questione è in realtà ancora aperta: recenti studi farebbero pensare che in futuro, se le condizioni economiche relativamente buone di oggi continueranno a persistere, il mercato del lavoro potrebbe addirittura espandersi.
Anziché concentrarsi sugli aspetti secondari del reddito minimo universale – il rischio di dipendenza, il costo, le modalità per renderlo effettivo o il fatto che il lavoro contribuisce a dare significato alla vita degli individui – si deve riconoscere che il bisogno di una riforma così ampia e radicale per il nostro sistema sia, in realtà, piuttosto debole.
Sebbene un’influente ricerca realizzata nel 2013 dall’Università di Oxford abbia concluso che circa il 47% dei posti di lavoro negli Stati Uniti nel 2010 e il 35% nel Regno Unito fossero ad “alto rischio” di automatizzazione nei successivi 20 anni, uno studio più recente dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) colloca questa cifra a circa il 10% per gli Stati Uniti e al 12% per il Regno Unito.
Inoltre, un recente studio sul futuro del lavoro del World Economic Forum prevede che i robot sottrarranno 75 milioni di posti di lavoro a livello mondiale entro il 2022, ma ne creeranno 133 milioni di nuovi. Si tratta di un risultato netto positivo. Nel complesso, questi numeri non sono affatto preoccupanti; ma un numero crescente di ricercatori, che abbraccia l’intero spettro politico, si sta interessando all’idea di un reddito minimo universale.
Poiché gran parte dell’automazione e della “disruption” che motivano le discussioni sul futuro del lavoro proviene da Silicon Valley, gli imprenditori californiani hanno spesso cercato di ipotizzare soluzioni preventive. Uno degli ultimi esperimenti di reddito minimo universale è quello attuato da Y Combinator, l’acceleratore di start-up della Silicon Valley.
Y Combinator ha dichiarato che il proprio programma pilota sul reddito minimo universale, con un costo di circa 60 milioni di dollari, avrà inizio nel 2019. I soggetti dell’esperimento riceveranno 1.000 dollari al mese per un massimo di cinque anni.
Per giustificare il programma Y Combinator ha dichiarato: “Negli Stati Uniti, la povertà estrema è aumentata drammaticamente, la classe media si sta rimpicciolendo e l’occupazione e i redditi sono diventati più instabili e imprevedibili”.
Fortunatamente, nessuno dei dati conferma queste tristi asserzioni. Nell’ultimo rapporto pubblicato dal Census Bureau, la povertà ha continuato a diminuire per il terzo anno consecutivo, inoltre c’è stata una crescita dei salari, modesta ma positiva e la disuguaglianza non è statisticamente diversa nel 2017 rispetto al 2016.
Per quanto riguarda la classe media, l’economista Mark Perry riferisce che si sta riducendo perché un maggior numero di persone vive meglio di prima. In definitiva, numerosi nuclei familiari della classe media stanno entrando nei ranghi delle classi più abbienti, rendendo quindi più esigua la vecchia classe di appartenenza.
Con un tasso di disoccupazione pari al 3,7% e la recente creazione 7 milioni di posti di lavoro, secondo il Bureau of Labor Statistics, la necessità di sperimentare cambiamenti così drammatici nella rete di sicurezza sociale come il reddito minimo universale sembra esagerata.
Inoltre, un recente articolo di Bloomberg, basato su uno studio del Conference Board, descrive anche una penuria di lavoratori per molte industrie.
Non tutti gli imprenditori della Silicon Valley temono che il futuro del lavoro venga messo a repentaglio dall’intelligenza artificiale e alcuni, anzi, accolgono con favore lo sviluppo di questo settore, anche se le voci di questi individui non sono altrettanto forti di quelle dei sostenitori del reddito minimo universale. In una rubrica per la rivista Wired Joe Lonsdale, il fondatore di Palantir, ha delineato vari settori in cui i nuovi tipi di lavoro sono e continueranno a essere creati.
Lonsdale scommette sulle potenzialità di aziende come Palantir, che sfrutta il potere dell’intelligenza artificiale per risolvere problemi complessi utilizzando i big data in una varietà di settori – migliorando la produttività e modificando la natura delle mansioni dei lavoratori, piuttosto che eliminando il loro posto.
Gran parte della discussione relativa al reddito minimo universale e al futuro del lavoro è stata innescata dalle preoccupazioni per il futuro della mobilità sociale e per l’aumento delle disparità di reddito.
Tuttavia, i motivi per cui la crescita della mobilità sociale negli Stati Uniti potrebbe essere inferiore alle aspettative, esaminati da ricercatori quali Raj Chetty e Scott Winship, è quasi certamente dovuto a fattori che non richiedono un drastico cambiamento nel welfare americano e in alcune politiche economiche.
Di sicuro, un fattore è il declino della partecipazione alla forza lavoro dei maschi. Si tratta di un problema complesso contraddistinto da molteplici cause, ma tra queste vi sono probabilmente l’eccessivo ricorso ai sussidi di invalidità, la polarizzazione di posti di lavoro tra “alti” e “bassi”, con la conseguenza che il “lavoratore medio” è meno richiesto e il divario di competenze (competenze trasversali incluse), sottolineato da persone come Mike Rowe, che crea attriti nel mercato del lavoro.
Altri motivi includono il forte calo del dinamismo imprenditoriale negli Stati Uniti dagli anni ’70. Meno start-up vengono costituite a causa di una varietà di fattori, come il numero eccessivo di attività che richiede il conseguimento di una licenza, limitando così le opportunità di lavoro. Il prevalere dei requisiti di licenza è correlato a livelli inferiori di mobilità sociale e a livelli più elevati di disuguaglianza di reddito.
Un altro fattore consiste nelle leggi locali di pianificazione urbanistica, che riducono l’offerta di case alla portata dei lavoratori a basso reddito, o ancora gli elevati tassi di incarcerazione. Entrambi fenomeni influenzano le opportunità di mobilità sociale in ascesa ed estromettono molti individui, in particolare maschi, dalla forza lavoro.
La risoluzione di questi problemi, spesso a livello statale e locale, contribuirà a produrre un’economia più dinamica e sana, eliminando le barriere che attualmente impediscono alle persone di aumentare il proprio reddito.
Anche se può sembrare banale rispetto a proposte più radicali, affrontare questi problemi aumenterebbe la nostra capacità di far fronte al futuro dell’automazione e dell’IA e probabilmente aumenterebbe la mobilità verso l’alto, riducendo al tempo stesso le disuguaglianze.
Accogliere l’innovazione e ricordare che si tratta della maggiore risorsa dell’ingegno umano dovrebbe essere il principio cardine di ogni discussione sul futuro del lavoro.