Il punto sulla Spagna – La riforma del lavoro di Zapatero
È arrivata questa settimana la riforma spagnola del mercato del lavoro. Celestino Corbacho, ministro del lavoro e tutto il governo Zapatero hanno approvato in solitudine un cambiamento necessario. Senza dubbio vi era bisogno di una riforma, perché come “certificato” anche dal World Economic Forum, la Spagna ha un mercato del lavoro estremamente complicato. La posizione nel ranking mondiale stilato dal WEF registra che il Paese iberico si trova al 130esimo posto su 139 Stati in classifica per quanto riguarda la flessibilità del mercato del lavoro. Questo dato potrebbe sorprendere, poiché in Spagna circa il 95 per cento dei nuovi contratti è a tempo determinato. Ma vi sono altri elementi che rendono la Spagna anti-competitiva in questo campo e che hanno portato il Paese ad avere un tasso di disoccupazione superiore al 20 per cento. Anche nelle regioni più ricche, quali la Catalogna o la Regione di Madrid si registrano tassi di disoccupazione superiori al 15/16 per cento. Un’anomalia europea.In primo luogo vi sono il costo molto elevato del licenziamento e la disparità dell’indennizzo di licenziamento tra contratti determinati e indeterminati. Questo argomento è al centro della riforma di Zapatero ed è un elemento che ha creato molta discussione.
Gli imprenditori ritengono che le innovazioni della nuova legge siano insufficienti, così come il partito d’opposizione il Partito Popolare, mentre i sindacati l’hanno giudicato contrario agli interessi dei lavoratori. Per questa ragione il 29 settembre è stato convocato uno sciopero generale da parte dei principali sindacati in un Paese nel quale gli scioperi non sono molto frequenti (come in Italia e Francia).
L’indennizzo per il licenziamento è stato abbassato a 33 giorni lavorativi per anno lavorato nei contratti a tempo indeterminato dai 45 giorni precedenti. Nei contratti a tempo determinato l’indennizzo è stato elevato a 12 giorni per anno lavorato. È stata introdotta inoltre la possibilità, per le aziende in difficoltá economica, di ridurre tale indennizzo a 20 giorni per anno lavorato anche nel caso di contratti a tempo indeterminato. Tale procedura dovrà tuttavia passare da un giudice e molti sono i dubbi sulla reale applicazione.
In questo campo la riforma fa un passo in avanti verso una maggiore flessibilità, anche se rimane una forte dualità tra contratti a tempo determinato e indeterminato.
La flessibilitá del mercato del lavoro spagnolo tuttavia ha altri punti deboli. In primo luogo continua ad esserci una contrattazione collettiva e la riforma non tratta minimamente questo punto. In Italia è stata introdotta la possibilità di stipulare contratti di secondo livello, mentre in Germania il 40 per cento dei contratti di lavoro non segue nessun contratto di lavoro collettivo.
Il sussidio di disoccupazione è un altro punto debole che non è affrontato nella riforma del Partito Socialista al Governo. Questo continua ad essere molto elevato. Inoltre non si sono introdotte clausole molto restrittive per rifiutare altri posti di lavoro da parte del disoccupato. Molti di questi “senza lavoro” preferiscono rimanere nel “paro” e ricevere per tre anni un sussidio molto elevato. La legge che prevede un aiuto di 426 euro al mese per i disoccupati di lunga durata è stata rinnovata un’altra volta, in un Paese nel quale il salario minimo è di poco superiore ai 600 euro.
Vi è un abuso del sussidio di disoccupazione, mentre il salario minimo, che introduce una rigidità del mercato del lavoro, non è mai stato al centro dell’attenzione del Governo.
La riforma è un piccolo passo in avanti, ma si comprende perché è stata criticata da tutte le parti sociali. Quella approvata è una riforma in solitario che difficilmente permetterà una discesa rapida della disoccupazione.
La Spagna continua ad avere un mercato del lavoro poco flessibile e vi sarebbe stato bisogno di una riforma più coraggiosa per scendere rapidamente a tassi di disoccupazione europei.
Lungi da me di tessere le lodi della nostra classe politica e governante, ma a dimostrazione che spesso il detto “l’erba del vicino è sempre più verde” sia di una folgorante veridicità, vorrei aggiungere alla sempre eccellente analisi del Dott. Giuricin, che un altro settore dove il governo spagnolo continua a inanellare errori (anche piuttosto grossolani) è quello del trasporto aereo, nel quale si è tentato di apportare modifiche strutturali abbassandone i costi generali a favore della collettività e, allo stesso tempo, promuovendo un sostegno economico per rilanciare le aziende facendo affrontare loro la crisi nel migliore dei modi.
Ebbene, la riforma del controllo del traffico aereo da parte del Ministerio de Fomento (primo azionista di AENA), col suo “coraggioso” ministro Blanco, ha prodotto dei disastri che, per carità di Patria, questa estate non sono sfociati in emergenze d’ordine pubblico ma che, comunque, ha portato a un durissimo scontro sindacale.
Allo stesso tempo, il tanto agognato sostegno economico che il governo aveva promesso alle compagnie aeree, non si è concretizzato in qualcosa di tangibile per le casse delle principali quattro aerolinee del Paese.
@Giulio Manunta
Ringrazio il Dott. Manunta per il commento.
Mi permetto di aggiungere che la situazione spagnola nel trasporto aereo è problematica.
Continua ad esserci una compagnia, quale Spanair, che vive grazie ai contributi della classe politica catalana e fa concorrenza sia ai vettori tradizionali che alle compagnie low cost.
AENA, societá pubblica controllata dal Ministerio del Fomento, ha una politica molto centralizzata di tutti gli aeroporti spagnoli e forse non è un caso, che gli unici due grandi aeroporti europei in perdita, siano Madrid e Barcelona.
I piccoli aeroporti pubblici sovvenzionano i passeggeri low cost.
Sarebbe necessario un cambio di marcia in tutto il settore del trasporto aereo spagnolo.