Il prezzo della lettura
Hanno ragione i sostenitori della legge Levi che il prezzo medio dei libri in Italia è calato. Non sappiamo se per effetto di questa legge che limita gli sconti sul prezzo di copertina o se per altre cause. Non potremo mai saperlo, ma solo ipotizzarlo insieme ad altre, plausibili ragioni. Quel che però sappiamo, è che si legge meno. Dall’anno di entrata in vigore della legge che, limitando le possibilità di sconto dei libri, doveva rendere un servizio alla lettura, i lettori in Italia sono diminuiti dal 49 al 43%, e gli acquirenti dal 44 al 37% (AIE, Rapporto sullo stato dell’editoria 2014).
Si legge meno, quindi, anche qualora i prezzi fossero davvero diminuiti, e anche qualora questo effetto fosse dovuto alla limitazione agli sconti. L’obiettivo della legge, ossia «contribuire allo sviluppo del settore librario, al sostegno della creatività letteraria, alla promozione del libro e della lettura, alla diffusione della cultura» (art. 1), non è stato quindi, come era prevedibile, raggiunto.
D’altro canto, come l’Istituto Bruno Leoni ha sempre sostenuto, come è possibile credere che il divieto di praticare sconti sopra una data percentuale o di fare campagne promozionali per più di un mese sia una maniera di facilitare le infinite possibilità di incontro tra libro e lettore? Vero è caso mai il contrario. Il settore editoriale, compresa la distribuzione dei libri, è indubbiamente un settore delicato, e non solo per la peculiarità del bene prodotto, ma anche perché soffre di un serio collo di bottiglia che rende difficile mettere fisicamente in mostra tutta la produzione del momento. A queste difficoltà, in parte strutturali in parte tipiche di un settore caratterizzato da una forte integrazione verticale, almeno in Italia, il commercio elettronico ha fornito una straordinaria alternativa. In una infinita serie di librerie on line, oggi si possono trovare tutti i libri del mondo, compresi quelli fuori catalogo nei mercati di seconda mano. Proprio lì, le aspettative dei lettori hanno potuto trovare nell’inventiva del venditore – non solo librerie on line ma le stesse case editrici – la loro soddisfazione, sia nei servizi correlati alla consegna del libro sia in una scontistica vantaggiosa.
Una minaccia, questa, per le librerie tradizionali e la media distribuzione più che, evidentemente, per i lettori.
E infatti questi giorni, dimenticata forse la finalità espressa dall’art. 1 della legge, il suo artefice ha dichiarato che essa rende possibile ad editori e librai di competere sul mercato.
La limitazione agli sconti sui libri aveva ed ha, infatti, uno scopo settoriale ben preciso: evitare l’espansione di forme alternative di commercio editoriale, in particolare quello on line, nella convinzione che proteggere le forme classiche di commercio avrebbe aiutato non tanto la lettura, quanto la sopravvivenza di editori e librai di medie-piccole dimensioni, rispetto alla prepotenza dei grandi, on e off line.
Un obiettivo assai diverso da quello dichiarato, al quale ultimo si sarebbe dovuti arrivare per via indiretta, nel presupposto, tutto da dimostrare, che salvare la piccola libreria dagli sconti selvaggi praticati dalle grandi catene o dal commercio elettronico sia automaticamente un modo di promuovere e incentivare la lettura (dato smentito dai numeri di cui sopra).
Ma, oltre a questo, un obiettivo che parzialmente avrebbe comunque centrato il segno: la vita dei piccoli librai e dei piccoli editori è sicuramente difficile. Che, tuttavia, il divieto di sconti sopra una certa percentuale o i limiti alle campagne promozionali sia per essi un aiuto ad andare avanti è altrettanto difficile. Essi stessi soffrono di quei limiti, e ne soffrono quando non possono prolungare le campagne promozionali, quando non possono praticare sconti oltre soglia in uno dei momenti per loro più proficui, quali le fiere, o quando non possono praticare sconti oltre soglia nei loro portali web, ormai quasi sempre accompagnati dalla possibilità di acquisto diretto.
Anni fa, prima della legge Levi, nella mia città natale – una piccola provincia del centro Italia – davanti alla libreria storica aprì un franchisee della più grande catena editoriale e distributiva italiana. Dopo un primo momento di timori, la bottega è ancora lì, a fare concorrenza con titoli diversi, una diversa cultura del servizio al cliente, una diversa preparazione del personale.
Non tutte le botteghe hanno una storia a lieto fine. Chi frequentava la libreria Arion di Piazza Montecitorio lo sa bene. Ci sono questioni inerenti la lettura e le alternative al libro come mezzo di intrattenimento e apprendimento che superano ogni concorrenza di prezzo. Questo è solo uno dei tanti motivi per cui la legge Levi, come aveva già sottolineato l’Antitrust (AS988 – Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2013), non ha motivo di esistere. Ce ne sono altri, poi, per i quali ha motivo di essere abrogata, primo tra tutti quello che attiene all’ingerenza dello Stato nella individuazione dei prezzi. Ma basterebbe il primo motivo per accogliere con favore la proposta di abrogazione nella legge annuale sulla concorrenza.
Capisco il punto di vista espresso nell’articolo e appoggio sempre ogni iniziativa tesa a liberare energie economiche,sociali,imprenditoriali contro i monopoli che bloccano il dinamismo di una società e la costringono alla stagnazione per mancanza di confronto e di concorrenza.
Ma ritengo anche che un principio ispiratore non debba essere elevato a dogma,pena lo scivolamento nell’ideologia.
Nel caso della filiera del libro il risultato di una liberalizzazione totale degli sconti porterebbe non a un aumento dell’offerta,ma a una sua diminuzione e concentrazione in cartelli.
Mi si potrebbe replicare che lo stesso succede,ad esempio,nel settore alimentare,dove le grandi superfici fanno morire il negozietto di quartiere.
Ma in teoria il verduraio o il macellaio di quartiere possono variare la qualità e la provenienza dei loro prodotti,almeno fino a che questo sarà possibile.
Le esperienze di vendite di prodotti a chilometri zero sono un esempio,così come la proposta di marchi più artigianali e locali.
Nei libri questo accade solo apparentemente,pagando però il prezzo di circoscrivere in modo rigido la propria offerta.
La libreria specializzata di quartiere non può concretamente vivere,mentre il pizzicagnolo di qualità teoricamente uno spazio di sopravvivenza ce l’ha.
La libreria di quartiere ha il suo reale vantaggio nella prossimità al cliente,il quale può guardare e sfogliare dei libri senza per forza allontanarsi dalla sua zona o senza rivolgersi alle librerie on line che non consentono di maneggiare un volume,di toccarne la carta,di guardare se la pagina è illeggibile perché troppo patinata o i caratteri a stampa troppo piccoli per i propri occhi.
Perciò non può specializzarsi nell’offerta senza rendere inutile la sua funzione,né può competere in qualità sul singolo prodotto,perché un libro appena pubblicato è uguale per tutti,non è che ce n’è uno prodotto dal contadino e l’altro dalla Nestlé.
Il ragionamento naturalmente si potrebbe sviluppare più a fondo,parlando di traduzioni e di edizioni diverse,ma in ogni caso giocare sulla qualità nell’offerta del singolo prodotto non è possibile per la rigidità della produzione editoriale stessa.
E’ vero che le librerie di quartiere o anche le librerie indipendenti del centro chiudono non solo per la concorrenza delle grandi catene e delle librerie on line,ma soprattutto per i vertiginosi aumenti degli affitti,problema comune a tanti altri esercizi commerciali,che infatti stanno trasformando le nostre città europee in una parata di negozi grandi firme tutti uguali.
Aggiungere a questo anche il problema di una guerra degli sconti non mi pare che porti a buoni risultati:alla fine sono i risultati che contano. E vivere in città impoverite di di offerte e di occasioni,omologate e bloccate dentro la gabbia dei grandi marchi non mi sembra assolutamente un miglioramento della nostra qualità della vita.
Anche il liberismo deve essere valutato per i risultati che produce:quando sono socialmente ed economicamente liberatori di energie compresse,che ben venga una politica schiettamente liberista.
Quando sull’altare del liberismo,accettato a prescindere come principio astratto,vado a impoverire e isterilire un tessuto reticolare di offerte diversificate per qualità e dimensioni,ecco che il liberismo da catalizzatore di libertà si trasforma in strumento di oppressione dell’iniziativa individuale e della ricchezza della sua espressione.
Nel caso delle librerie starei molto attento a non contribuire a dare il colpo di grazia definitivo alla pluralità dell’offerta,che è manifestazione viva di libertà e di ricchezza sociale.
Non dimentichiamo i libri in formato elettronico: non so se il fenomeno sia circoscritto alla mia cerchia di amicizie, ma da quando ci sono gli e-reader io, i mei amici e parenti leggiamo più di prima, non meno.
solo uno che detesta si diffonda il sapere o per lo meno la lettura poteva concepire una siffatta legge, che rende di fatto più difficile accedere al bene libro in quanto gli sconti praticabili sono limitati per legge!! chi avesse voluto favorire la diffusione del libro avrebbe concepito una legge contraria, sopratutto dopo che lo stesso libro nel passaggio da £ a € costa il doppio!!!
per rendersene conto basta confrontare lo stesso titolo ed editore ante 2002 e poco dopo per verificarlo sperimentalmente.
ignorare questo fatto, qualora si voglia comprendere il fenomeno del calo dei lettori è impossibile; il mondo dei dipendenti ha subito la conversione 1000= 1e nel suo potere d’acquisto.
evviva quindi qualsiasi cosa, come il formato elettronico, che ci riporti ai valori ante inflazione da euro.
Ps: quando ho evidenziato questo ragionamento ad un dipendente feltrinelli, si opposto d’istinto, salvo poi tacere quando gli ho chiesto se gli avevano raddoppiato lo stipendio………… in quanto l’euro ha dimezzato il nostro potere d’acquisto.
Io penso che un editore abbia il diritto di imporre un prezzo di vendita. Per quale motivo deve vedersi il prezzo da lui imposto ridotto a piacimento da un qualsiasi operatore commerciale? O anche aumentato, se nel caso.