Il Popolo Referendario in Cammino. Di M. Verda
Riceviamo da Matteo Verda e volentieri pubblichiamo.
Passato il clamore dei festeggiamenti (serviva un pretesto?) per la vittoria referendaria, si può provare a fare qualche ragionamento un po’ più a freddo.
Prima un caveat: non ho molta simpatia per il referendum in quanto tale, nemesi della rappresentanza politica e strumento di tirannia di maggioranze spesso casuali. Al limite può funzionare su questioni etiche (divorzio sì o no, per capirci) ma ho dei seri dubbi che sia un mezzo efficace per disciplinare questioni complesse, fosse solo perché un sì o un no difficilmente sono una risposta esaustiva, qualunque materia si voglia regolare. Ma tant’è: il referendum è previsto dalla Costituzione (che saggiamente inserisce il quorum) e quindi bisogna farci i conti.
Venendo alla più recente esperienza, ci sono pochi dubbi sul fatto che il voto referendario sia stato innanzitutto un voto politico: un segnale bello forte alla maggioranza, casomai le amministrative non lo fossero state abbastanza. Quasi un preavviso di sfratto. Fin qui, normale dinamica democratica. Ma come ha giustamente rilevato Luca Ricolfi, c’è di più. Il risultato dei referenda è stato salutato da una salva di commenti trionfali sulla rinascita democratica del popolo italiano. A generare tanto entusiasmo sarebbe l’inizio di una nuova stagione, una rivoluzione, il risveglio di un popolo in cammino (ma «senza un percorso definito», parola di Roberto Saviano qui e qui). Ma è davvero così? Nutro qualche dubbio.
La nuova stagione avrebbe caratteristiche opposte alla precedente: un’opinione pubblica matura e razionale, un dibattito pubblico ricco e articolato, scelte strategiche condivise. In pratica, il contrario della campagna referendaria, basata su slogan urlati da una sola parte (l’altra c’era?), questioni deliberatamente manipolate, scelte ideologiche e non dibattute. A ben vedere, non molto diversa dall’epoca oscura finalmente conclusasi (?).
Il dato sulla percentuale dei sì fa riflettere: lasciando da parte il quesito sul legittimo impedimento, gli altri tre erano tecnici e piuttosto diversi tra loro. Eppure la percentuale dei sì è stata bulgara (95%) e, ancora peggio, omogenea. Difficile pensare che si tratti di una magica convergenza di convinzioni diverse: più probabile che si sia trattato di un voto «di pancia», senza collegamento effettivo con il contenuto. Insomma, niente di più distante dall’opinione pubblica democratica e informata salutata con enfasi da tanti commentatori.
Cosa lascia presagire il voto? La vulgata parla di una società finalmente consapevole e partecipe: mi permetterei di dissentire. I plebisciti ideologici sono l’opposto delle scelte condivise e dei compromessi che servono a fare politiche efficaci, che durino più di una legislatura e non cadano vittima delle ideologie vincitrici al turno successivo. Il voto dei referenda e le condizioni in cui è maturato lasciano presagire una continua instabilità delle politiche proprio in quei settori (l’energia, le infrastrutture, le attività produttive) in cui più disperatamente c’è bisogno di investimenti, con il risultato di tenere alla larga troppi capitali privati.
A pensar male, si potrebbe quasi dire che per alcuni il risultato sia molto positivo: se i privati non investono, l’intervento pubblico diventa la ricetta salvifica. Ideale per guidare il popolo in cammino verso le sorti magnifiche e progressive dello statalismo.
di Matteo Verda
Tutto molto interessante e anche condivisibile, se non fosse che come si dice dalle mie parti “i numeri sono numeri ed i pidocchi sono pidocchi”. Lo Stato come ben sappiamo non ha denari da utilizzare come ai “bei vecchi tempi” :
– 1 Il contatore del debito pubblico si avvicina sempre di più alla cifra di 2 TeraEuro e non sembra per il momento intenzionato a scendere.
– 2 Ricordate che l’europa ci guarda e che non possiamo permetterci di fare quello che vogliamo in scioltezza.
– 3 Casomai volessimo “provare” a fare quello che vogliamo in scioltezza, domani i tre moschettieri del rating (Fitch, S&P, Moodies) ci declasserebbero senza nemmeno pensarci.
Dunque andrà a finire come al solito: si inaspriranno le tasse, si faranno i soliti tagli un po qui e un po la e se non bastasse (cosa praticamente certa) si spremeranno anche le pietre per ricavare quattrini ed il “popolo” in cammino, si rassegnerà ancora una volta.
Lo statalismo è momentaneamente defunto.
La contraddizione degli il-liberali “gianniniani” è ben sintetizzato da questo articolo: l’individuo è pensante, e libero, quando è solo, e quindi vulnerabile. Quando diventa massa si trasforma da individuo in pecora ideologizzata in preda a pulsioni gregarie. Quelle stesse pulsioni che, però, hanno aperto scenari inaspettati e sorprendenti in nord africa come nel medio oriente, forse in tutto il mediterraneo e magari anche altrove. Meglio i referendum che i forconi, si potrebbe quindi obiettare, mi viene più facile, invece, chiedere conto alle lobby nostrane, che non sono certo rispettabili ed efficienti come negli states dove i lobbisti se toppano in modo così clamoroso vengono licenziate in tronco. Ma se quel 95% di sì, invece di essere frutto di voti di pancia, non siano una clamorosa testimonianza della totale incapacità dei nostrani lobbisti? Io ho votato 4 sì e non ho avuto problemi di pancia: da liberale!
@Diego Sabatinelli
Quindi il problema non è la razionalità dell’individuo quanto l’incapacità dei cani di turno – i lobbisti – di far girare il gregge nella direzione giusta?
Ironia a parte, nell’intimo delle mie presunte contraddizioni mi spingo fino a ritenere che non esistano masse, ma solo individui. Che poi possono fare le pecore: nella nostra società (con buona approssimazione) direi “liberamente”. Anche per questo dalle nostre parti i forconi sono passati di moda. Che però la razionalità dell’individuo singolo rispetto all’individuo in massa sia molto diversa, mi pare evidente. E altrettanto diverse sono le scelte che compie.
Presumendo che la sua assenza di mal di pancia derivi da una conoscenza nel merito dei quesiti referendari, continuo a nutrire serissimi dubbi sul fatto che buona parte del restante (95-lei)% dei votanti ne avesse chiara cognizione (neanche un punticino per cento di antinuclearisti in meno o in più? mi pare proprio strano!). Credo piuttosto che abbia votato sulla base di slogan ben confezionati, urlati da una parte sola, ma soprattutto sulla base di un malcontento diffuso nei confronti dell’attuale maggioranza.
Legittimissimo, da punto di vista del gioco democratico: ma non si chiami risveglio il passaggio da un torpore all’altro!
@Giuseppe D’Andrea
…ma risorge sempre, con tante nuove teste. Perché lo Stato-papà che elargisce mancette e si preoccupa di proteggere i propri sudditi in modo disinteressato continua ad essere ideologicamente sexy.
Certo, la cassa è vuota e le mancette non si sa più bene con cosa darle, ma a tenere in piedi il mito è la convinzione che prima o poi possano arrivare (quanti giovani sognano il posticino pubblico più per l’inamovibilità che per un qualche spirito di servizio?). E mentre il mito sta in piedi, i dividendi politici si incassano eccome!
Per non parlare dell’altro aspetto: anche in assenza di fondi da elargire, lo spauracchio del privato che vuole fare profitti sulla pelle dei poveri sudditi funziona ancora molto bene, a quanto pare! E poi poco conta che in concreto non si possano fare moltissimo: già fermare le liberalizzazioni (per non parlare delle privatizzazioni) non è un risultato da poco.