18
Ago
2010

Il pianista Bahrami: “riapriamo i commerci con l’Iran!”

Ramin Bahrami è uno dei pianisti più importanti della sua generazione, ma è anche una personalità caratteristica di questo nostro tempo, segnato da intrecci e incroci. Nato a Teheran nel 1976, a otto anni è ammesso alla Hochschule für Musik di Francoforte, ma a causa della Rivoluzione khomeinista e della crisi economica che ne deriva è presto costretto a tornare in patria. Grazie all’interessamento di un console italiano, in seguito ottiene però la possibilità di venire a Milano, dove studia con Piero Rattalino e avvia una carriera che ne ha fatto, in pochi anni, uno tra i massimi interpreti di Johann Sebastian Bach.
Bahrami ha sottolineato a più riprese come Bach, l’autore che ama più di ogni altro, sia stato un tedesco capace di assorbire insegnamenti provenienti da ovunque, e qualche giorno fa egli ha preso la parola per chiedere alle grandi nazionali occidentali di sospendere gli embarghi contro l’Iran.

Il pianista non può essere sospettato di simpatie per il regime fondamentalista: specie se si considera che suo padre, che era un ingegnere, fu imprigionato dopo l’avvento al potere degli ayatollah e poi ucciso nel 1991. Egli però ritiene che impedire i commerci tra Teheran e l’Occidente danneggi le condizioni di vita della povera gente e allontani ogni possibilità di integrazione tra l’Iran e il resto del mondo. L’embargo non rappresenta una strategia dura, ma necessaria: è invece una politica illiberale che colpisce la popolazione civile iraniana, ostacola ogni forma di integrazione economica e culturale, rafforza i regimi al potere.

Lo si è già visto a Cuba, dove dopo anni e anni di un rigoroso embargo statunitense si continua a fare i conti con la “dinastia socialista” dei Castro, che se oggi inizia a perdere colpi è solo a causa dei disastri (di ogni genere) conseguenti al collettivismo imposto all’isola caraibica.

Detto questo non so se Bahrami abbia compreso quanto le libertà del commercio capitalistico siano strettamente intrecciate con la grande civiltà musicale che egli fa rivivere quando si mette dinanzi a una tastiera; e neppure se egli abbia chiaro come la libertà degli artisti sia inscindibile dal dinamismo di una società di mercato.

Ma il suo appello di questi giorni perché si riaprano le frontiere tra Iran e Occidente coglie un punto importante ed esprime una richiesta giusta. Andrebbe ascoltato.

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8 Responses

  1. alf

    Sorrido, pensando ai vari Shostakovich, Prokofiev, Richter, Berman, Oistrakh, Yudina e centinaia di altri musicisti di prim’ordine (altro che Bahrami…) che hanno fatto grande la nostra civiltà musicale vivendo e operando nel cuore dell’anticapitalismo. Sviatoslav Richter non suonava peggio perché la gran parte di ciò che gli fruttavano i concerti veniva sottratto dal Goskonzert… Diciamo pure che certe presunte correlazioni sono totalmente campate in aria.

    Nel merito dell’embargo sono invece ovviamente d’accordo.

  2. Carlo Lottieri

    @alf
    Io invece sorrido ogni volta che ricordo i terribili concerti di musica sovietica contemporanea che l’associazione Italia-Urss di Genova organizzava nel corso degli anni Ottanta: musiche accademiche e noiosissime, ingessate, che ripetevano fino alla noia gli stilemi del linguaggio più frusto. Un falso Romanticismo da compitini di armonia.
    E mi trattisto – invece – ogni volta che penso al triste destino che conobbero i grandi autori (Shostakovic, ad esempio) che finirono sotto il controllo poliziesco di Zdanov e dei suoi.
    Forse un po’ di mercato avrebbe giovato al clima culturale staliniano. O no?
    Ma forse ha ragione lei: quella tra libertà e arte, tra mercato e sviluppo creativo, è una correlazione campata per aria… E’ un caso che la Firenze dei Medici sia stata anche di Michengelo, o che la Venezia che ha inventato il commercio globale abbia prodotto i Gabrieli e Antonio Vivaldi. O che l’America del XX secolo ci abbia dato Faulkner e Hemingway…
    Sono tante casualità, però. E forse dovrebbero indurre a sospettare qualcosa.

  3. Marcello

    Attendiamo tutti con ansia, la nuova politica estera di Obama…sperando che lui si renda conto di quanti danni possa fare ad un regime una lattina di coca-cola (vedi paesi ex blocco URSS)

  4. alf

    @Carlo Lottieri

    Ah, cosa può l’ideologia!.. Non mi metterò al suo livello adoperando come esempio i vari giovanniallevi delle economie di mercato: spero che nella sua visione del mondo i mediocri siano tali indipendentemente dal tipo di mercato in cui si trovano a operare e soprattutto senza che sia merito o colpa del tipo di mercato.

    Riguardo lo strawman del vivere meglio da liberi cittadini in uno stato democratico piuttosto che oppressi sotto dittatura, non serve un economista, basta un massimocatalano qualsiasi. Invece, se vuole dimostrare il suo punto, mi provi che Shostakovich avrebbe composto musica migliore se non fosse vissuto nell’angoscia (o in alternativa che Leopardi avrebbe scritto cose più profonde se non avesse avuto la gobba, ché siamo lì :).

    Infine, non vedo che nesso logico ci sia a citare esempi di grandi artisti che hanno vissuto in contesti liberali per dimostrare che in contesti illiberali invece non se ne producono. L’arte è fenomeno anarchico e la qualità della produzione artistica è indipendente dai vincoli e dalle opportunità che all’artista sono date.

    Suvvia, non c’è nulla di male nell’ammettere di aver detto una sciocchezza! 🙂

  5. Carlo Lottieri

    Sa…. a me invece appaiono ovvietà le seguenti: che c’è un solido nesso tra mercato ed economia florida (più cresce lo Stato, più decresce lo sviluppo), e che c’è un solido nesso tra un’economia libera/florida e lo sviluppo artistico (più si sviluppa l’economia, e più la civiltà nel suo insieme – anche artistica – ne guadagna).

    Il riferimento all’accademismo musicale zdanoviano, forse un po’ ermetico, intendeva segnalare che la grande musica sovietica è tutta – di fatto – ancora radicata nell’epoca “zarista”. Quando quelle radici vengono meno, quello che resta è un deserto. Restano solo i giovanniallegri in cirillico… anche perché il più grande tra i russi, Stravinskij (chissà perché…), se n’è andato altrove: verso lidi capitalisti.

    Mi sia anche consentito di distinguere tra chi fa schifezze liberamente, e chi invece lo fa perché esiste un Grande Fratello che stabilisce cosa è degenerato e cosa invece è “tedesco” e/o “materialista-dialettico”. Insomma: viva Giovanni Allegri, se posso comprarmelo oppure no!

    Poi, per ragioni ideologiche (perché tanto dista l’acqua dal ponte, come il ponte dall’acqua…), qualcuno può anche essere costretto a prendere le difese del contributo che le gobbe (o Stalin) hanno dato allo sviluppo dell’arte. Con la conseguenza che se moltiplicassimo i deformi, le sofferenze umane, i guLag e le angosce umane ci troveremmo circondati da un’ondata di Rinascimenti di ogni tipo. Tesi curiosa, certamente.

    Preferisco restare alla mia correlazione sopra esposta: la libertà economica favorisce la ricchezza, e la congiunzione di libertà e ricchezza aiutano lo sviluppo dell’arte. Ma in una società libera lei potrà continuare a ritenere che questa è una sciocchezza, e potrà perfino scriverlo su questo sito senza che nessuno si senta offeso.

  6. alf

    @Carlo Lottieri

    Lottieri, mi viene a dire che la musica sovietica affonda le sue radici in quella del secolo precedente, “zarista”, cosa senz’altro vera, e non si accorge che nella Russia zarista le condizioni economiche erano intollerabili (se no perché fare 2 rivoluzioni nel giro di 15 anni?) e l’economia era di tipo feudale? Mi porta Stravinski ad esempio e non sa che Stravinski se ne andò dalla Russia zarista, non da quella comunista?.. Insomma, vedo grande confusione nelle sue argomentazioni. Inoltre, per inciso, chi è Giovanni ALLEGRI? Io parlavo di Giovanni ALLEVI, sedicente reincarnazione mozartiana e destinato a risollevare le sorti asfittiche della paludata musica colta mondiale. Non conoscerlo, da frequentatore di classica, e un po’ come -chessò- da economista non sapere chi è Giulio Tremonti (si tranquillizzi, la cattiveria non è al suo indirizzo).

    Torniamo a noi e circoscriviamo il luogo del contendere. Io contestavo questa sua affermazione:
    “Detto questo non so se Bahrami abbia compreso quanto le libertà del commercio capitalistico siano strettamente intrecciate con la grande civiltà musicale che egli fa rivivere quando si mette dinanzi a una tastiera;”

    In Unione Sovietica, per quanto sottoposta ad un controllo dirigistico (ma non sempre e non in modo eguale), la musica, e non solo quella classica (si faceva anche jazz!), era tenuta in grande considerazione. Questa è l’unica cosa veramente importante, non il TIPO di mercato, ma che ci sia UN mercato, cioè una domanda, cosa che può benissimo essere intermediata dalla Stato, piuttosto che formata dal libero aggregarsi di comportamenti individuali. La qualità artistica e, soprattutto, alla sua base, la capacità di riconoscere la qualità artistica non dipendono dal TIPO di mercato, ma da altri fattori, non necessariamente economici. Ai funerali di Stalin vennero chiamati a suonare fra gli altri Richter e la Nikolaeva, qui da noi oggi al Senato chiamano a suonare e dirigere Giovanni ALLEVI, vuole mettere?

    La grande tradizione musicale ottocentesca russa non si è spenta dopo la Rivoluzione d’Ottobre e, ad esempio, la grande scuola pianistica russa del XX secolo ha sfornato a ripetizione giganti della tastiera. E riguardo ai compositori d’oltre cortina, Schnittke, Shchedrin, Gubaidulina, Kapustin, e cito i primissimi che mi vengono in mente tralasciando quelli dei paesi satelliti, non li conosce (altro che deserto)?

  7. Carlo Lottieri

    Da parte mia la chiuderei così: la società zarista (quella che Lei chiama, marxianamente?, “feudalesimo”) mi pare complessivamente migliore della repubblica leniniano-staliniana dei soviet, e Stravinskij incomparabilmente più grande di Schnittke.

  8. ATTILIO SACCO

    Sono concettualmente favorevole a queste proposte e sono assolutamente contrario a embarghi e sanzioni perchè il rischio di ottenere l’effetto opposto è molto più alto–ma le intenzioni dell’embargo sono proprio quelle di danneggiare i ceti più poveri per destabilizzare il governo.Io sono uno di coloro i quali crede che l’esempio sia la chiave di volta,forse sbaglierò a pensar ciò ,ma il mondo libero, occidentale dunque ,che è maestro e alfiere di tutte le libertà,perchè attraverso essa si esplica la dignità di ogni esistenza libertà di vivere di pensare e anche di acquistare ,di vendere e produrre non credo possa affermarsi relativizzando per gli altri ciò che per noi è assoluto.Gli USA ,secondo me oggi in enorme difficoltà,devono valutare bene cosa si dice nelle periferie di Teheran! chi lo dice che quel popolo rafforzi le ostilità e dia consenso al fondamentalismo proprio incentivato da embarghi e sanzioni?Dobbiamo calarci anche nel contesto; è vero ,li la religione è più importante del pane ma se scatta l’odio verso il “nemico di dio” solamente nella misura in cui noi vediamo “l’asse del male”non so cosa potrà rimanere da sanzionare.Vedete ,sbaglierò,ma ho la sensazione che lì non siamo proprio amati e non credo che il popolo iraniano speri nella cacciata del dittatore ecco perchè,in tema,dico più la parola dialogo che la parola sanzione.

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