Il petrolio e la speculazione pubblica
L’Agenzia internazionale per l’energia ha autorizzato il rilascio di 60 milioni di barili di petrolio (prevalentemente di buona qualità) per controbilanciare l’interruzione della produzione libica. Questa decisione ha scatenato un interessante dibattito tra favorevoli e contrari ma, soprattutto, dà lo spunto per tornare a parlare di petrolio, speculazione, scaronate e tremontate. Ma andiamo con ordine.
Le riserve strategiche sono, per definizione, uno strumento da maneggiare con cautela: dalla loro creazione negli anni Settanta, le riserve strategiche americane sono state utilizzate solo 17 volte, sempre in occasione di eventi eccezionali. Prima di oggi, solo in due occasioni è stato deciso un rilascio coordinato da parte delle maggiori economie mondiali. Date le condizioni del mercato – tendenzialmente lungo, ma tale da risentire della rivolta in Libia sia per le sue implicazioni dirette, sia per le conseguenze possibili – è giustificata la scelta di impiegarle per mitigare i prezzi alla vigilia della driving season 2011?
Sul New York Post, Nicole Gelinas spiega perché non è una buona idea. Da un lato, in questo modo si impedisce al mercato di fare il suo mestiere (cioè prezzare le commodity). Dall’altro, è un sussidio implicito alle banche americane e ai bilanci pubblici europei spaventati dal crack greco. Mantenere i prezzi petroliferi relativamente bassi, infatti, serve a dare un poco di respiro all’economia e dunque rimandare le decisioni più drastiche. In breve,
We need to burn up some of that bad debt, and let lenders suffer the free-market consequences of their bad decisions. A brief oil gusher may confuse markets for a while, but Western economies won’t leave the doldrums till our leaders face reality.
Gelinas sembra esprimere un pensiero condiviso da molti nel settore, tanto che Sam Fletcher, sul prestigioso Oil & Gas Journal, paragona la decisione di Barack Obama e degli altri leader mondiali al secondo round di “quantitative easing” – l’arma di distruzione di massa di cui le banche centrali hanno fatto uso e abuso negli ultimi anni di cui si è spesso occupato Oscar Giannino qui su Chicago-blog.
La pensano diversamente Jerry Taylor e Peter Van Doren (autori, in passato, di un bellissimo studio in cui spiegano perché le reserve strategiche andassero abolite – e su questo siamo perfettamente d’accordo). Nella sostanza, in un articolo su Forbes Taylor e Van Doren difende la mossa in termini pragmatici: come dimostra l’escalation dei prezzi siamo in presenza di una emergenza dal lato dell’offerta. Le riserve strategiche servono appunto in questo tipo di evenienza: sarebbe meglio se non ci fossero (perché i loro costi nel lungo termine non giustificano i benefici nelle poche occasioni in cui servono), ma, visto che ci sono, tanto vale usarle. In verità la loro tesi è più radicale: in pratica suggerisce di svuotare le risere ora che i prezzi sono alti (col duplice risultato di far affluire risorse preziose nelle casse pubbliche e calmierare i prezzi) senza riempirle più.
So what should we do with this massive reserve of crude oil if its original mission is pointless? Well, we can mindlessly hoard crude oil at the taxpayer’s expense or start selling it off while the selling is good. We opt for the latter.
Intellettualmente si tratta di una posizione onesta e corretta, ma politicamente mi pare ingenua. Infatti, credo che sia al di fuori delle opzioni possibili. La scelta vera è se usare le riserve strategiche (per poi ricostituirle passata la buriana) oppure non usarle. Io sono per la seconda opzione, essenzialmente perché il mercato sa fare una sola cosa (e serve appunto per quella): misurare la scarsità presente e prevedere la scarsità futura. Ogni intervento pubblico per annacquare il suo giudizio si giustifica solo con risultati di breve termine, ma non fa altro che amplificare i problemi di lungo termine. Nel caso specifico, una temporanea riduzione dei prezzi incentiva il sovra-consumo di petrolio e pone le premesse per un disastro più grande nel caso in cui il problema libico dovesse durare più del previsto o trasmettersi ad altri paesi produttori più importanti.
Il che ci porta alla discussione più ampia sulla speculazione. In passato (e su un altro blog) ho spiegato perché la speculazione (cioè, in sostanza, l’effetto dei mercati finanziari sui prezzi del petrolio) fa più bene che male. Molti non la pensano così. Il bello è che la soluzione da loro proposta è, generalmente, più speculazione ancora – da parte pubblica, però. Va in questa direzione una proposta (se preferite, un ballon d’essai) lanciato tempo fa dall’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, che ha riscosso il plauso, tra gli altri, di Giulio “la speculazione è ancora a piede libero” Tremonti. Ecco l’idea di Scaroni:
La proposta di Eni prevede “la creazione di un’agenzia internazionale per il petrolio che rappresenti sia i produttori che i consumatori. Manca oggi – ha spiegato Scaroni – un watchdog di tutto il settore petrolifero mondiale” e in seguito a questa assenza “mancano gli strumenti per descrivere il mercato e fare previsioni su di esso. Bisogna che il mondo si doti di uno strumento rappresentativo di tutti”. Eni inoltre propone di “mutuare dal mondo elettrico il capacity payment”, per cui “si remunera chi investe evitando che la capacita’ di riserva si azzeri”. Scaroni ha poi aggiunto che e’ necessario prevedere “un fondo che remuneri i Paesi produttori quando i prezzi del petrolio scendono troppo”. Infine, nella proposta di Eni, figura un “coordinamento mondiale delle scorte di petrolio e dei prodotti finiti”.
Per capirne la natura, bisogna dare una definizione di speculazione. Come ha ricordato Mario Seminerio a suo tempo, la speculazione (in senso generale) significa semplicemente comprare a poco, accumulare, e vendere a tanto. Normalmente questo consente allo “speculatore” di fare un sacco di soldi (e lo mette a rischio di perderne altrettanti) ma ha effetti limitati sul mercato. Solo in condizioni particolari un singolo soggetto ha la forza di influenzare l’andamento dei prezzi: in quel caso si dice che il mercato è stato “messo nell’angolo”. In breve, la ricetta di Scaroni e di quelli che la pensano come lui per combattere la speculazione è creare la grande madre di tutti i fondi speculativi. Cioè costituire un fondo, gestito dalla comunità internazionale, capace di muovere così tanto petrolio da far salire i prezzi quando sono “troppo bassi” e farli scendere quando sono “troppo alti”. La domanda a cui né Scaroni né altri possono rispondere è cosa significa “troppo alti” e “troppo bassi”. E anche se queste espressioni potessero avere un significato (diverso da quello che gli dà il mercato, cioè dal prezzo che osserviamo quotidianamente) non si capisce perché questo dovrebbe interessare agli attori pubblici: i quali perseguono obiettivi più prosaici quali favorire gli amici, vincere le elezioni, eccetera.
In conclusione, è davvero paradossale che l’unica alternativa alle “locuste” sia una super-locusta comandata dai politici. Una locusta di cui abbiamo un saggio in questi giorni, attraverso l’intervento coordinato dei governi per inondare il mercato di una quantità di greggio pari a quella che sarebbe stata prodotta dalla Libia. (Peraltro, come documenta Massimo Nicolazzi c’è anche un aspetto perverso: proprio perché il ricorso alle riserve strategiche ha i crismi dell’eccezionalità, c’è il rischio che esso scateni il panico, se gli operatori del mercato si convincono che tale decisione deriva da informazioni in mano ai governi, di cui il mercato non è a conoscenza, che fanno temere sviluppi più negativi del previsto). Il problema, comunque, è che l’interruzione della produzione libica non è un avvenimento marziano, ma una vicenda terrena: è uno di quei rischi che il mercato sa, può e deve gestire. Va bene intaccare le riserve strategiche se questa è l’ultima volta. Ma se non lo è – e non lo è – allora lasciamole stare. A ciascuno il suo mestiere. Il mestiere dei politici non è fissare il prezzo del petrolio.
Sono concettualmente d’accordo con la tesi esposta, e cioè che non debbano essere i politici a decidere ed influenzare il prezzo del petrolio. Non condivido, però, la soluzione proposta, di lasciare stare le riserve e non attuare, in pratica, nessuna variazione a quello che oggi il mercato decide. E spiego perché: il fatto è che già oggi la polita decide il prezzo del petrolio. Sono i politici dell’OPEC a stabilirlo, poiché loro hanno in mano, la quasi totalità, della produzione. Riescono, cioè, a muovere la leva dell’offerta in base alla loro “insidacabile” decisione di quanto guadagnare; si veda, ad esempio, la decisione dell’OPEC di qualche giorno fa di negare all’Arabia Saudita la possibilità di produrre più barili.
A questo punto bisogna scegliere, a mio avviso, se permettere ai politici dei paesi consumatori di adottare misure che consentano la protezione del loro potere d’acquisto energetico. L’unico strumento che lo consente, ad oggi, credo sia proprio l’utilizzo delle riserve.
L’idea prospettata da Scaroni, invece, mi lascia abbastanza perplesso, proprio perché non credo che ci sia alcuna possibilità di mettere tutti, paesi produttori e paesi consumatori, d’accordo su un prezzo che non si ne “troppo alto” ne “troppo basso”.
Salve,
a proposito di speculazione pubblica, vi racconto il mercato della CO2 dell’ultima decina di giorni! I permessi di emissione EUAs hanno perso fino a 4,5 EUR/tonn sui 16,00 EUR iniziali per un decremento vicino al 30percento in una decina di sessioni di mercato. Speculazione pubblica perchè il panico pare essersi diffuso da una versione della Energy Efficiency Directive inaspetatta, dalla autorizzazione alla BEI di vendere a mercato 300milioni di permessi (circa 10 mesi di cap complessivo UE nella seconda fase) per rastrellare risorse da destinare a un fondo a sostegno tecnologie rinnovabili, dal rifiuto secco della Polonia ad alzare l’asticella della riduzione di emissioni al 25pc entro il 2020, dal disaccordo tra UE e USA sull’inclusione del settore aeronautico nel sistema ETS e infine dalla paura della crisi greca e del double-dip.
Il risultato perverso è evidente: la BEI collocherà sul mercato i propri permessi a valori decurtati del 25pc, nel breve termine gli impianti dalla maggiore intensità carbonica saranno più convenienti dell’alternativa meno impattante sull’ambiente, ecc.
è curioso (o spaventoso) che il volano a questo panico sia stata una serie di dichiarazioni della Commissione UE e Consiglio UE che contraddice l’importanza fino ad oggi assegnata al sistema ETS. Quindi, fatemi riassumere, si chiede agli investitori di intraprendere nuove iniziative sulla base degli incentivi forniti da un prodotto finanziario chiamato EUA il cui valore subisce in modo sensibile le indecisioni politiche comunitarie…
Intanto si potrebbe rendere più trasparente il prezzo del petrolio
( autorità garante della concorrenza) obbligando ad esporre , prima del prezzo in dollari a barile, lo stesso in centesimi di euro al litro, depurandolo quindi dalle fluttuazioni del cambio e dando più risalto all’euro come valuta di riferimento.
Suggerirei poi di considerare con più attenzione da parte dei mezzi di informazione principali ( finora solo radio 24 ne ha parlato abbastanza diffusamente) le ricerche di Rossi e Focardi dell’Università di Bologna sulle reazioni nucleari a bassa energia che fin dal 2012 consentiranno di produrre energia termica a 1/10 del costo attuale. Ritengo che queste nuove tecnologie (che anche la NASA ha ritenuto molto promettenti) rivoluzioneranno il panorama geopolitico a breve, e renderanno il prezzo del petrolio una variabile secondaria. Questa scoperta, e le altre che seguiranno sulla strada aperta a Bologna ma già negli anni 50 preconizzata dal grandissimo giapponese Arata, avrà un’importanza sconvolgente, ed invito tutti i lettori di questo blog a documentarsi e a tenere viva l’attenzione sul tema Gian luigi Capriz Bologna
“andrebbero” abolite, non andassero… per il resto articolo assolutamente interessante.
Articolo interessantissimo. Noto non pochi parallelismi tra l’idea di stablizzare il prezzo del pertrolio in maniera anti-speculativa ed il concetto di banca centrale che stabilizza la liquidità in maniere anti-ciclica. Entrambe attività pestilenziali. Anche senza arrivare alla scaronata dell’agenzia internazionale del petrolio, quello che esiste al momento è già qualcosa che funziona in modo analogo. Certo è vero, se ci si pensa un attimo, accumulare una risorsa quando il prezzo è (troppo) basso e poi scaricarla quando è (troppo) alto – significa fare esattamente quello che fanno i bravi speculatori privati. Con il vantaggio però del potere politico – e la maledizione delle motivazioni politiche, dietro il trading fatto con i soldi degli altri.
Per fortuna non è possibile produrre dal nulla barili di petrolio – contrariamente ai vari M1, M2, M3, ecc. E qui credo sia tutta la differenza. Queste riserve petrolifere da scaricare nei momenti di panico per deprimere il prezzo del greggio sono state comprate a prezzo di mercato all’inizio. Esistono concretamente e non possono essere moltiplicate a piacere. Per quanto questi interventi siano ovviamente distorsivi, possono però solo creare perturbazioni, magari violente, nel breve periodo. Voglio dire, c’è un limite fisico alla manipolazione e, contrariamente a quanto accade con le banche centrali, ogni compravendita è sotto gli occhi di tutti gli altri operatori, che sono liberi di imitare il pesce più grosso – o anche accordarsi per contrastare in massa la mano benevola dell’agenzia internazionale petrolifera.
Giusto per la cronaca e la storia, l’idea di un’organizzazione internazionale che intervenga sui mercati a fini di stabilizzazione dei prezzi delle materie prime non è di oggi, non è di ieri, ma è anzi ed autorevolmente di molto prima. John Maynard Keynes, “The policy of Government Storage of Foodstuffs and Raw Materials”, The Economic Journal, 48, n.191 (Settembre 1938).
Che in 73 anni non siano riusciti a farla (in realtà, su qualche commodity l’hanno pure fatta; ed è stata un totale fiasco) dovrebbe almeno costituire un indizio.
miracolo!! da mesi leggo i suoi articoli ed è la prima volta che sono d’accordo…
mi spiace caro Carlo ma sono costretto a darti almeno in parte ragione…
anche se so che ti dispiacerà.. perdonami x questo sgarbo..
la speculazione finanziaria internazionale (su commodity o stocks o bonds che dir si voglia) è talmente vasta e potente che è assolutamente incontrollabile da qualunque organismo politico neppure se di rango internazionale.. al massimo sarebbero nuove sedie ben remunerate x gli amici degli amici.. e qualche bel lussuoso convegno..
secondo la teoria liberista ortodossa la speculazione è utile x migliorare la liquidità del mercato e giungere ad un prezzo che rappresenti la miglior aspettativa possibile del valore futuro di un asset.. questo è vero se c’è una “normale” speculazione.. ma oggi siamo ormail all’eccesso al cubo.. alla creazione di bolle in serie..
oggi in realtà la speculazione serve x fare profitti da trading indipendentemente dai fondamentali.. ed i profitti da trading nn si fanno ricercando il giusto valore (l’equilibrio della mano invisibile).. ma producendo artificialmente forti oscillazioni in sù ed in giù dei prezzi .. spiegati ex post od ex ante con ragioni macroeconomiche o aziendali spesso strumentali..
nel lunghissimo periodo il prezzo oscilla effettivamente intorno a questo giusto valore… ma nel breve e nel medio (cioè anche x anni) lo portano a spasso dove più gli conviene…
ad aggravare il tutto c’è l’enorme liquidità che la Fed ha immesso nei mercati x evitare il Double Dip.. questa liquidità in Bolla è diventata il carburante con cui la speculazione fa oscillare i prezzi.. ed ora questo eccesso di liquidità finirà pure sui prezzi sia energetici che alimentari di chi neppure sa cosa vuol dire long short options cds collateral and so on…
in sintesi… l’eccesso di speculazione è dannoso .. ma la sovrastruttura nn serve..