Il paternalismo libertario
In effetti, il paternalismo libertario mancava. Ora ce l’abbiamo. Il 7 maggio uscirà anche in Italia il bestseller di Cass Sunstein e Richard Thaler (Nudge: Improving Decisions About Health, Wealth, and Happiness [negli USA] / Nudge. La spinta gentile – La nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su denaro, salute, felicità [in Italia]). Oggi, ce ne parla Vittorio Zucconi su la Repubblica. Il quale ci dice che si tratta solamente in apparenza di un ossimoro (sarà, ma se quello che ci ha insegnato la nostra professoressa di lettere ha un senso: siamo in presenza di un ossimoro, non apparente… reale). Premesso che non ho letto il libro, dalla rete se ne ricavano interessanti commenti, che aiutano a farsi un’idea sul volume. L’assunto di base è che l’uomo sbaglia (e questa non è una novità: siamo ignoranti e fallibili, su questo non ci piove). Come dice la scheda di presentazione del volume: “Siamo esseri umani, non calcolatori perfettamente razionali”. In altre parole, siamo degli Homer Simpson e non dei Mr. Spock. Per Sunstein e Thaler abbiamo allora bisogno di un “pungolo” (di un aiuto), che ci indirizzi verso la scelta giusta: “Per introdurre pratiche di buona cittadinanza, per aiutare le persone a scegliere il meglio per sé e per la società, occorre imparare a usare a fin di bene l’irrazionalità umana. I campi d’applicazione sono potenzialmente illimitati: dal sistema pensionistico allo smaltimento dei rifiuti, dalla lotta all’obesità al traffico, dalla donazione di organi ai mercati finanziari, non c’è praticamente settore della vita pubblica o privata che non possa trarre giovamento dal ‘paternalismo libertario’ proposto dai due intellettuali americani”. Sarà anche libertario, ma il timore di finire sotto il controllo paternalistico di élite è fondato. Non so se l’economia comportamentale implichi una qualche forma di paternalismo, di sicuro gli autori muovono da e si inseriscono in un simile approccio. Il contesto influisce sulle scelte degli individui, pertanto è possibile in un qualche modo determinare le loro azioni, nel bene e nel male. Per gli autori è importante quindi modificare l’ambiente in cui vengono prese tali scelte, manipolandolo si otterranno esiti differenti. L’aspetto paternalistico allora è evidente. Così pensando, si legittima un intervento che tenti di influenzare il comportamento delle persone per rendere le loro vite migliori, più sane e più longeve. La componente libertaria starebbe invece nel garantire alle persone più opzioni di scelta: si interviene sul contesto, ma si lasciano le persone libere di prendere le singole decisioni. Ma è veramente possibile non costringere le persone a compiere determinate azioni, ma solamente incoraggiarle a prendere decisioni che possono farle diventare persone migliori? Ovvio che, preliminarmente, si debba avere ben chiaro cosa rende le persone migliori. L’esempio più banale e abusato è quello legato all’obesità. Gli autori sembrerebbero dire: se l’obesità è un male dobbiamo limitarla, lasciando però le persone libere di rimpinzarsi quanto vogliono. Ma se non si interviene a valle, bisogna farlo a monte. Se l’obbligo non ricade sul consumatore forse ricadrà sul produttore o sull’esercente. Comunque, a questi dubbi potrà solamente rispondere la lettura del volume. Ad ogni modo, di una cosa sono sicuro: “paternalismo libertario” è e rimane un ossimoro.
In effetti, la tesi di fondo – già annunciata qualche anno fa in un paper leggibile su SSRN – è che si devono offrire occasioni agli individui per raggiungere autonomamente decisioni “buone”: nella prima versione si faceva l’esempio dell’adesione dei lavoratori a fondi pensione, che dovrebbe impostata secondo la regola opt-out, perché altrimenti nessuno o pochi aderirebbero. E’ evidente che in questo modo non solo s’intende ovviare alla scarsa informazione ed alla pigrizia degli individui, ma di fatto si propongono loro scelte predeterminate dall’élite illuminata: la formula è proprio un ossimoro.