Il “modello svedese” tra mito e realtà
Quante volte vi è capitato di sentir dire che “in Svezia pagano più tasse di noi, ma hanno molti più servizi”? Quest’affermazione è evidentemente semplicistica, così come le repliche che puntualmente seguono. Ma come funziona davvero, questo “modello svedese”? È davvero basato sul ruolo centrale del settore pubblico? La verità è che è molto diverso da come appare. E forse, per questo, ancora più interessante. Un libro molto chiaro sull’argomento è “Private choice in the public sector: the new swedish welfare model”, di Karin Svanborg-Sjövall (Timbro, 2012).
Un anno importante per comprendere le particolarità del modello svedese è stato il 1976. Il governo era stato presieduto per i sette anni precedenti da Olof Palme, leggendario primo ministro socialdemocratico alle cui riforme si deve la fama del welfare state. Eppure già in quello stesso anno Friedrich Hayek -non proprio uno statalista- scriveva che “La Svezia è organizzata molto meno socialisticamente della Gran Bretagna o dell’Austria, benché sia comunemente vista come molto più socialista”. E in quello stesso anno la coalizione liberal-conservatrice, dopo aver vinto le elezioni, istituiva una commissione con lo scopo di studiare strategie per lo snellimento, la decentralizzazione e la deregolamentazione dell’apparato statale.
Tra queste idee accese un notevole dibattito, e risultò paradigmatica negli anni a venire, quella di aprire il settore dell’istruzione ai privati. Scuole e asili nido, infatti, erano sempre stati gestiti dallo Stato, e la scelta della scuola affidata al Comune di appartenenza. Nel 1982 il Partito Conservatore presentò al Riksdag (il Parlamento svedese) una mozione a tutela della “libertà delle famiglie di scegliere l’asilo e la scuola dove mandare i propri figli”. Nei mesi successivi interviste e sondaggi rilevarono l’insoddisfazione di genitori e insegnanti, oltre al risparmio di soldi pubblici che avrebbe sortito una riforma del sistema. E alla fine del 1983, una S.r.l. -la Pysslingen- aprì il primo asilo nido privato, puntando a razionalizzare le risorse in modo da mantenere costi ridotti pur offrendo servizi più mirati alle famiglie. Il caso suscitò tanto scalpore che il governo (nuovamente capeggiato da Olof Palme) emanò nel 1985 una legge ad hoc (la Lex Pysslingen) per vietare il conferimento di denaro pubblico agli asili privati.
La Lex Pysslingen restò in vigore fino al 1992, quando l’allora ministro Per Unckel riformò l’istruzione introducendo il sistema tuttora vigente, basato sul sistema dei voucher ideato da Milton Friedman. Con questo sistema i Comuni versano all’istituto che lo studente decide di frequentare un voucher d’importo pari al costo medio di una scuola pubblica del Comune stesso. Le scuole non possono prevedere costi aggiuntivi, né scegliere gli studenti da accogliere: entra chi s’iscrive prima.
Prima della riforma gli allievi di scuole private erano meno dell’1% del totale; oggi sono il 30%. Le scuole private devono seguire, nella determinazione dei programmi e dei metodi educativi, alcuni criteri, ma godono di un’ampia libertà di scelta. Il costo medio annuo per studente nel 2011 è stato, per le scuole pubbliche, di 10.900 euro per le elementari e 11.340 euro per le superiori; per le scuole private rispettivamente di 9.860 e 10.240 euro. Il sistema, così costruito, ha creato concorrenza non solo nella razionalizzazione delle spese ma anche, e soprattutto, nel livello dell’istruzione. E non è certo una novità che quella svedese sia una delle migliori al mondo, come confermano numerose statistiche (questo un recente esempio fra i tanti).
Anche chi opponeva pregiudizi e ideologie al fatto che a gestire l’istruzione fossero società a scopo di lucro ha dovuto ricredersi. Gli stessi socialdemocratici, che vent’anni fa paventavano una correlazione automatica tra profitto e minore qualità dell’istruzione, richiedono oggi solamente l’allineamento di tutte le scuole a determinati standard qualitativi. Il che, peraltro, non sembra essere affatto un problema. Nei test nazionali del 2010, per esempio, 47 delle 50 scuole peggio classificate erano pubbliche. Per quanto riguarda il profitto, questo non è e non può essere lo scopo su cui si regge il sistema educativo di un paese. Ma è uno stimolo all’innovazione e all’efficienza.
Le scuole private ricevono un importo pari alla media del costo di una scuola pubblica per ogni studente iscritto. Dunque, guadagnano in base al numero di studenti che riescono ad attirare. E come li attirano? Non certo con costi più bassi, che non possono offrire. Bensì, evidentemente, con un più alto tasso qualitativo. Una delle “società di scuole” più grandi del paese, la “Kunskapsskolan”, ha aperto il primo istituto nel 2000. Ma i profitti hanno iniziato a superare le perdite solo nel 2009. Cos’avrà fatto questa società in quei 9 anni? La risposta è semplice: cercato di attrarre più studenti, migliorando la qualità dei servizi offerti.
Quello dell’istruzione è solo uno dei molti campi in cui un nuovo patto pubblico/privato e un allentamento della tensione ideologica fra diverse bandiere politiche potrebbero aiutare l’Italia a migliorarsi. Prendendo esempio da paesi -come la Svezia- la cui “vena sociale” non possa essere messa in discussione.
“Anche chi opponeva pregiudizi e ideologie al fatto che a gestire l’istruzione fossero società a scopo di lucro”…sì, svedesi.
“Quello dell’istruzione è solo uno dei molti campi in cui un nuovo patto pubblico/privato e un allentamento della tensione ideologica fra diverse bandiere politiche potrebbero aiutare l’Italia a migliorarsi. Prendendo esempio da paesi -come la Svezia- la cui “vena sociale” non possa essere messa in discussione.”
Ecco appunto signor Mannheimer…in SVEZIA!!! patto pubblico/privato? quale privato scusi? quello che chiede aiuto a poste italiane (cioè al pubblico, a proposito in questo caso va bene il pubblico è?) per non far fallire l’azienda nostrana maldestramente gestita dalla commistione tutta italica pubblico/privato?
Lei sostiene grandi idee con le quali concordo pienamente ma nel nostro paese hanno una probabilità di riuscita pari a….ZERO!!!
Caro “Osservatore”, la ringrazio per il commento.
Forse mi sono spiegato male: il “patto pubblico/privato” che auspico non è certo quello dello Stato tentacolare degli affari correnti (vedi le dichiarazioni del ministro Lupi di poche ore fa), ma tutto il contrario. E’ proprio quello che, lungi dal voler salvare “l’asset” ad ogni costo (forte di una responsabilità nazionalista che in pochi, davvero, reclamano oramai) lasci che il mercato conduca le proprie valutazioni in autonomia.
Capisco la sua rabbia, ma non solo il mio articolo si occupa di questioni che nulla hanno a che vedere con Alitalia, bensì su tali questioni sono assolutamente d’accordo con lei.
Restando invece sul tema dell’istruzione, le consiglio un ebook che illustra una possibile applicazione di un modello simile in Italia: http://www.corriere.it/cultura/i-corsivi/forum-idee-per-la-crescita-liberiamo-la-scuola/.
Si, ma come la mettiamo con il programma di Fare che esplicitamente negava i voucher e la possibilità di scelta della scuola da parte dei genitori e voleva più fondi da parte dello Stato da destinare alla scuola “pubblica”.
Luca, dove posso trovare questa posizione di Fare?
Io sapevo che la posizione era l’esatto contrario: usiamo i voucher, non tagliamo i costi della scuola ma diamo l’equivalente del costo medio attuale alla scuola individuata dalla famiglia. In questo senso era “scuola pubblica”: che dà un servizio pubblico, non gestita da dipendenti pubblici
Ho perso qualcosa su queste posizioni?
Grazie dell’aiuto
E siamo alle solite: e noi le scuole private a chi le affederemmo eventuamente? A CL, ai Ligresti o ai “capitani coraggiosi” non appena si liberano di Alitalia?
Caro Aldo,
non credo che i Ligresti o i “capitani coraggiosi” abbiano interesse a investire in strutture scolastiche. CL, invece, lo fa già.
Ma il punto è un altro: io probabilmente non manderei mio figlio in una scuola gestita da Ligresti o da CL. Ma non priverei nessuno della possibilità di farlo.
Le scuole private in Svezia fanno schifo, sono senza biblioteche e risparmiano su tantissime cose, tra cui la pulizie ordinarie.
Ad maiora
La liberalizzazione non porta qualità. La Svezia non ha un futuro roseo e le cose salteranno fuori tra 10 anni.
Ma lei li legge i giornali svedesi?
Caro wif,
anche se involontariamente, ha centrato il punto: se una scuola fa schifo, un cittadino svedese è libero di sceglierne un’altra (privata o pubblica che sia) allo stesso identico costo. Questa è la grande differenza con il cittadino italiano cui, invece, è compressa qualunque libertà di scelta (se non a prezzi proibitivi).