Il mestiere del potere—di Alessandro Cocco
Se non sei al tavolo, sei sul menù.
Questo è il leit motiv del libro. E fa molto pensare, specie ad un lettore liberale, che viva questi tempi incerti con giustificabile senso di impotenza.
Ma il taccuino del lobbista, che non è una seduta di psicanalisi, parla d’altro, pertanto non indugiamo oltre…
Edito da Laterza, il libro di Alberto Cattaneo (Il mestiere del potere. Dal taccuino di un lobbista) è una lettura rapida e interessante, che ha il pregio di riuscire a raggiungere alcuni obiettivi differenti in maniera semplice, lineare e mai verbosa.
Primo: spiegare a tutti chi sia il lobbista, cosa faccia, come, quando, dove e perché. Chi volesse comprendere seriamente cosa faccia il lobbista, ne guadagnerebbe parecchio. I vari Remy Denton son dei gran bei tipi, vincenti e affascinanti, ma i lobbisti non sono personaggi di House of Cards, e questo Cattaneo lo spiega bene, mettendo il lettore ben in guardia dai lobbisti-rubrica o da quelli amici-della-gente-giusta e spiegando come si tratti invece di un lavoro fatto sì di relazioni, ma anche di studio e tecnica.
Secondo: fa riflettere sul potere, sulle sue dinamiche, sui suoi effetti e sui pregiudizi che ciascuno di noi ha sul potere, su quello posseduto e su quello “subìto”, sia che si tratti di un potere forte, come quello di Galeazzo Sforza, di Hitler, di Hailé Selassié, sia che si tratti di un potere debole, come quello dei nostri politici democratici, incerti sul da fare e spesso preoccupati solo del consenso.
Terzo: offre un ripensamento delle pratiche legislative con un approccio intelligente e “manageriale”, perfino scientifico – cosa che però immagino Cattaneo non ammetterebbe mai. Ovvero una tripartizione dell’azione del regolatore, azione che si articoli attraverso approvazione del provvedimento, monitoraggio degli effetti e dei risultati, eliminazione o conferma della policy adottata. Il metodo scientifico applicato agli affari politici, per farla breve. E sebbene la politica non sia tecnica e scienza, ma passione e ideologia, chi avesse a cuore i risultati più delle intenzioni dovrebbe prendere in considerazione la proposta.
Sul potere, il lobbista ci mette in guardia: forte o debole che sia, il potere ha sempre le sue anticamere, i suoi “consigliori”, i suoi “maestri dei sussurri”. Qualunque potente avrà, attorno a sé, persone che cercheranno di influenzare il potere stesso. Valeva per Galeazzo Sforza, vale oggi per il nostro PresdelCons. Come sottolinea Cattaneo, chiunque è un lobbista, chiunque cerca di intercedere presso “i potenti” di turno per ottenerne un beneficio. L’esempio del bambino che cerca di convincere i genitori per restare sveglio più a lungo è, da questo punto di vista, il più immediato. Se ciascuno è un lobbista, e ciascuno, quanto più è vicino al potere, può agire in maniera tale da influenzarlo, è bene non farsi illusioni che l’attività di lobbying sia solo quella dei Cattaneo e Zanetto, anzi. C’è un universo di “lobbisti non dichiarati” – e pertanto non trasparenti o deontologicamente professionali come sono (o dovrebbero essere) i veri lobbisti – che ogni ora cercano di influenzare le attività del potere. Le burocrazie e le amministrazioni dei ministeri sono da ritenersi una lobby – questa sì nel senso giornalistico del termine – davvero potente, poiché vivendo tutta la vita all’ombra, posseggono un grado di influenza non indifferente. Ciò significa che, paradossalmente rispetto alla vulgata, i lobbisti, che conosciamo e possiamo “tenere d’occhio” grazie alle molte pagine di giornale dedicate, sono gli unici che possono contrastare e riequilibrare lo strapotere di quell’aristocrazia di stato, i burocrati, che vorrebbero invece sottrarsi alla competizione – e qui c’è da chiedersi se sia la posizione ad allinearli alla logica anti-concorrenza o se, viceversa, sia lo spirito avverso alla concorrenza a spingerli a fare i burocrati – per poter dunque restare gli unici controllori di quell’anticamera del potere.
Per chi si occupa di comunicazione politica, questo libro fa infine riflettere su un tema importante e attuale: la politica di oggi, rivoluzionata dalla tecnologia, comunica in maniera incontenibile. La sua comunicazione inarrestabile, fatta di promesse, emozioni, narrazioni, finisce per scontrarsi coi lunghi tempi del processo legislativo, producendo così facili entusiasmi, seguiti da frustrazione e delusione nelle menti degli elettori. Questi si ritrovano infatti, nella migliore delle ipotesi, ad attendere – come ci ricorda Cattaneo – lunghissimo tempo prima di veder approvato il provvedimento in questione. Altre volte il provvedimento non vede neppure la luce. Tante altre, pur venendo approvato, il provvedimento viene stravolto dagli emendamenti che passano all’ultimo minuto/secondo.
Chi si occupa di comunicazione politica dovrebbe allora ragionare – come Cattaneo fa relativamente alla sua professione – sul senso della propria professione. I consulenti politici dovrebbero allora ritrovare un adeguato grado di realismo, un corretto distacco dalle scelte compulsive suggerite da un’indagine statistica, una minore attenzione al consenso-a-tutti-i-costi, specialmente una volta al governo. Impossibile non pensare alle posizioni di Margaret Thatcher, contro tutti i politici wets.