Il merito del mestolo
La televisione è lo specchio di un Paese, e anche la nostra restituisce un’immagine tutto sommato fedele della cultura nazionale. Da questo punto di vista, la tv in Italia di segnali incoraggianti ne offre pochi. Qualche eccezione, lodevole, c’è. Una di queste è MasterChef.
Il programma di Sky è uno dei pochissimi che è assieme schiettamente meritocratico, ferocemente competitivo, e biecamente conservatore. Ruota attorno a un pregiudizio di marca reazionaria: che, nella vita, “qualcosa” (nel senso: qualcosa di tangibile) bisogna pur saper fare.
I tre “giudici” della tenzone – Bruno Barbieri, Joe Bastianich e e Carlo Cracco – non sono stati eletti da nessuno. Sono autorità cui i partecipanti si sottomettono di buon grado, riconoscendo loro quella superiorità nell’arte culinaria cui essi stessi anelano.
Masterchef si basa sulla possibilità che un grande chef di domani oggi possa fare il telefonista in un call center: ma riconosce che si tratta di un’eventualità piuttosto remota. Gli impresari televisivi hanno montato un palcoscenico che consente a tutti, anche ai cuochi più improbabili, di avere una chance: ma non garantiscono dell’esito. La gloria deve essere conquistata sul campo, giocando secondo regole liberamente accettate e per questo inappellabili.
Si parte in tanti, ma “ne resterà solo uno”. La selezione è feroce eppure, a parte qualche occasionale momento di commozione, è riconosciuta come giusta e opportuna. Perché se si persegue l’eccellenza, è pacifico che non tutti ce la facciano.
Ma s’intravede, nello show di Sky, un’altra delle caratteristiche più tipiche della competizioni. Tutti sono impegnati nella medesima attività: cucinare, che dopotutto è un’incombenza vecchia quanto il mondo. E tuttavia per ciascuno l’ambizione massima è dimostrare di saperlo fare alla sua maniera: è aggiungere qualcosa, è mostrare la sua individualità. Questo non è in antitesi con un processo di apprendimento che procede su due binari: s’impara dai maestri, s’impara fra allievi. Al contrario, ne rappresenta l’esito più potente. Imparare a fare per dimostrare chi siamo.
Nella materialità del cibo, il telespettatore italiano sembra aver ritrovato il gusto di entusiasmarsi per una gara competitiva, la correttezza nel non contestare il verdetto dell’arbitro, il piacere di apprendere qualcosa dalla scatola parlante – foss’anche come si sbuccia una patata, che dopotutto non è affatto poco.
Non è il ritorno dell’odiosa televisione pedagogica, una lezione mascherata. E’ un pezzo della nazione che si guarda allo specchio. E quello che vede, non è male per niente.
Eh si direttore, quelle competizioni sono forse più interessanti di tante gare sportive!
Buone feste e Buon 2013 !
Al da Parma
A bel esempio, invece di collaborare stimoliamo la competizione che, se introdotta nella vita quotidiana, il termine cambia e diventa prevaricazione. La competizione è nata assieme agli uomini primitivi ed è rimasta in natura, successivamente si è SVILUPPATO l’homo sapiens che ha prediletto come forma superiore la COLLABORAZIONE vivendo in comunità spalmandone i compiti su di essa.
Purtroppo (per me) sono democratico, quindi non comprendo perché chi voglia continuare a vivere come un selvaggio, per non dire da bestia, non se ne stia nel suo mondo ideologizzato, spacciando per nuovo quello che puzza maledettamente di vecchio che non vuol morire mai.
Per me trattasi di ennesimo programma modaiolo da social tv. Se non segui xfactor sei out. Ora sdoganiamo anche i messaggi positivi di Masterchef dove alla fine si gioca col cibo e magari lo si butta. Tanto di la c’e’ la prova del cuoco di su linea blu/verde basta che se magna se no il telecomando fa zapping. Che tristezza, rivaluto Mengacci almeno era comico e non finto serioso come questi chef (che dovrebbero stare in cucina)
Buon Anno
Andrea
Ma poi quella roba che i concorrenti cucinano, i giudici se la devono mangiare tutta? E magari devono mangiare quello che il “vincitore” cucina per un mese di fila – guai ai giudici se assaggiano altro?
Non è una domanda oziosa, ma un problema serio. Adesso va di moda la “meritocrazia” ma il merito viene valutato in modo estrinseco vedi il recente “concorsone” nella scuola dove non viene neanche preso in consideriazione come il candidato docente si comporti in classe, se sa “fare stare attenti” gli allivevi, se capisce se stanno capendo (problema non facile ma essenziale) e così via.
Tantissime valutazioni di “merito” che vengono fatte esulano totalmente dall’unico giudice in grado di dare un giuduzio serio, cioè chi deve effettivamente usare del prodotto/servizio che il giudicando propone.
Quindi questa metafora della “meritocrazia” svincolata dall’utenza è un sintomo in più del declino sovietico su cui la serva italia sta scivolando.
(In URSS ho visto fabbriche decotte con i ritratti sul portone principale degli eroi del lavoro di quell’anno!!)
Sono d’accordo!
bellissimo Masterchef, spettacolare il lancio del piatto di Bastianich
dici : “Perché se si persegue l’eccellenza, è PACIFICO che non tutti ce la facciano”.
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SBAGLIATO: è PACIFICO se chi nn ce la fa ha cmq una rete pubblica che preserva livello accetabile di equità.. altrimenti società incattivisce e NN è PACIFICA (oltre che immorale).. siccome studiate conoscerete certamente statistiche che correlano criminalità/malattie e livello di discriminazione dei redditi (mediamente peggiori nei paesi anglosassoni) ed ricchi (che spesso nn sono più meritevoli: “it doesn’t matter what you know but who you know” dicono gli Americani.. qui da noi è pure peggio.. vedi dove lavorano marito e figlia di quella che parla dei choosy) o se la squagliano nei paradisi fiscali o si fanno i quartieri&club “esclusivi”.. state attenti a nn fare l’errore opposto dei comunisti.. entrambi gli eccessi statalismo/liberismo sono dannosi..
@Piero from Genova. Mi chiedo sempre perché, quando si parla di meritocrazia, scattano immediatamente riflessi difensivi, tanto forti da impedire il confronto con quanto effettivamente sostenuto.
Dice Mingardi: “se si persegue l’ECCELLENZA, è pacifico che non tutti ce la facciano”. Ho cambiato le maiuscole: il concetto di cui si parla è l’eccellenza, non una qualsiasi posizione nella scala tra il tutto e il niente.
Io sono una cuoca mediocre. Non raggiungerò mai l’eccellenza, per cui non partecipo a gare in cui sarei sconfitta in partenza. Però me la cavo a sufficienza per nutrire me stessa e magari anche qualcun’altro, senza aver bisogno di aiuto. Per cui mi accontento della mia mediocrità. Poi ci sono quelli che non sanno mettere assieme il pranzo con la cena (metaforicamente ma, di questi tempi, anche letteralmente…) ed allora una rete di sostegno sociale è necessaria e sacrosanta, e guai se non ci fosse.
Ecco, per me questo è il senso dello stato sociale. Nel quale non è detto che tutti debbano raggiungere l’eccellenza, anzi… la maggior parte di noi non la raggiungerà mai, ma può essere felice lo stesso, nella sua aurea mediocritas. E dove, chi non è in condizione di farcela da solo, deve essere sostenuto ed autato.
Ma l’eccellenza, è ovvio, è PACIFICO che la raggiugeranno solo in pochi.
@Manuela
perchè per es. le parole “ferocemente” e “biecamente reazionario” che usa.. unite a quelle di articoli dove si diceva che p bella la “libertà di vendersi il rene”.. o dove si dice che son bravi i manager della Thyssen (intercettati dicevano che “risparmiavano sulla sicurezza e che nn potecano fare il c.. a certi dipendenti xrchè erano sotto il cono della tv che li proteggeva”).. oppure altri dove si diceva che “è giusto che ci siano dei bei paradisi fiscali x ricchi <> così la competizione fiscale internazionale obbliga gli spendaccioni a nn alzar le tasse”… bè.. se questi estremi di cultura liberista, oltre che a svilire l’umanità di chi le sostiene, sono pure estremi pericolosi tanto quanto gli eccessi di statalismo (x nn parlar of course del comunismo)..
nel mio post sopra si è persa la parola : ricchi “evasori” (quelli in chiaro x me posson fare quel che vogliono)..
certo che i paradisi fiscali sono belli e gli inferni fiscali sono un orrore, le parole hanno sempre un senso
@aldorivalta
inferni fiscali causati da 1) eccesso spesa 2) evasione fiscale+corruzione
entrambi mettono mani nelle tasche minoranza cittadini onesti e laboriosi
Mi limito a commentare (raramente, del resto), ciò che leggo. E spesso leggo che si confonde la meritocrazia con il darwinismo sociale, soprattutto a sinistra, campo cui ritengo di appartenere: col risultato che si favoriscono i mediocri e si frustrano (o si mandano all’estero) i migliori.
Non commento altri articoli di Mingardi poiché non li ho letti, ma ho interpretato, magari sbagliando, le frasi sulla trasmissione di Sky (“biecamente conservatore”… “pregiudizio di marca reazionaria”…) come ironiche, e iperboliche, citazioni di un certo modo di pensare.
Detto questo, se l’unico angolo in cui questo paese ha relegato l’eccellenza e la meritocrazia è una stupida trasmissione tv in cui si parla di cucina, allora siamo messi ben male…
Ma secondo te, se la tua macchina non funziona cosa vuol dire? Forse che tutte le macchine sono fatte male oppure la tua è stata semplicemente assemblata male è l’indice di qualità e basso rispetto alla media? Prova ad applicare questo ragionamento anche allo stato, scopriresti che non è lo stato che non funziona ma questo tipo di stato che è assemblato con pezzi difettosi. Basta semplicemente cambiare i pezzi e vedrai che la macchina funzionerà benissimo ed assolverà ai quei compiti per cui tu la hai acquistata. A meno che tu non intenda tornare ad andare a cavallo, a quel punto si tratta di scelta di stile di vita che a quel punto non ha nulla a che vedere con l’asserire che il cavallo funziona meglio della macchina. Sai bisognerebbe chiedere anche al cavallo se è contento del suo nuovo ruolo!