Il Mercato, le Imprese e la “Rete” – di Antonello Rubino
Riceviamo da Antonello Rubino e volentieri pubblichiamo questo articolo comparso oggi su “Il quotidiano della Basilicata”.
Se per i filosofi la madre di tutte le questioni risiede nell’interrogativo “Perché c’è qualcosa invece che nulla?”, l’equivalente meno trascendentale per gli economisti diventa : “Perché esistono le imprese? E perché sono qualcosa di altro dal mercato?” (esistendo, anzi, “nonostante” il mercato)
Così l’autorevole “The Economist” – in un articolo dello scorso mese di dicembre- sintetizzava la lezione del centenario Ronald Coase, tra i padri dell’analisi economica del diritto e premio nobel per l’economia nel 1991 proprio in forza dei suoi studi su natura dell’impresa e funzionamento dei cosiddetti “costi di transazione”.
Se il modo più efficiente per procurarsi beni e servizi fosse davvero il mercato (ma “market” nell’accezione coasiana indica la formazione del sistema dei prezzi mediante il mercato, quindi identifica un’istituzione economica più che un mero luogo di scambio), perché dovrebbe esistere l’impresa? (anche in questo caso, “firm” – coasianamente – è identificabile nel modello di direzione gerarchica che il concetto d’impresa sottende ed entro il quale prevale tipicamente il rapporto di dipendenza). Un altro economista, Robertson – qualche anno prima di Coase- aveva reso con un’efficace metafora questo “apparente paradosso”: le imprese “sono isole di potere cosciente in un oceano di cooperazione incosciente, come grumi di burro che si coagulano in un secchio di latte”.
Insomma, esisterebbe un’innegabile aporìa tra “impresa” e “mercato”: l’esistenza di uno dei due elementi dovrebbe, sul piano teorico, escludere la compresenza dell’altro. Ma…nella realtà tutto ciò non avviene ed anzi uno dei contributi fondamentali di Coase è proprio nell’aver individuato – con l’incidenza dei “costi transattivi” (quei costi di “funzionamento” del mercato come la raccolta e condivisione delle informazioni da parte degli operatori)- l’indice in grado di influenzare la “preferenza” tra diversi sistemi di allocazione ottimale di risorse: il mercato, l’impresa, l’intervento pubblico.
Abbiamo,volutamente, banalizzato un po’ le cose – ma senza operare distorsioni di pensiero significative – proprio per esaltare la “novità” rappresentata dall’organizzazione in “rete” della filiera produttiva rispetto alle canoniche formule investigate (sin dagli anni ‘30: Coase pubblica nel 1937 – non ancora trentenne – “The nature of the firm”): “Mercato e Gerarchie”, secondo la sintesi di Oliver Williamson, altro economista e premio Nobel. Il cosiddetto “contratto di rete” rappresenta la figura contrattuale mediante la quale – sulla base di un programma comune e di una stabile collaborazione – più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere la propria capacità innovativa e la competitività, conservando, quali partecipanti, la piena indipendenza giuridica ; nasce in Italia con un decreto legge del febbraio 2009 , poi convertito con modifiche in legge nell’aprile successivo.
Non si tratta di un’ “istituzione”, non gode formalmente di personalità giuridica (pur conferendo nella sostanza una soggettività giuridica al soggetto collettivo che ne scaturisce), ma è appunto un “contratto” che nasce con scrittura privata autenticata o con atto pubblico, ha un patrimonio-analogo al fondo consortile- ed individua un organo comune tra le parti con poteri di gestione e di rappresentanza.
Non siamo in un rapporto di mercato autentico con la totale estraneità tra cliente e fornitore nello scambio di prodotti e servizi, ma neppure ricadiamo nella formula gerarchica di un rapporto di dipendenza e di totale controllo come nella grande impresa organizzata. Né mercato, né gerarchia insomma; è stato anzi scritto a tal proposito: il compendio di “tutto ciò che non è mercato e tutto ciò che non è gerarchia; un mercato imperfetto e una gerarchia che decentra le decisioni”.
Proprio alla regione Basilicata è ascrivibile (auspice il tenace impegno della Confindustria lucana) il primo “contratto di rete” del Mezzogiorno (denominato ”Rete Log – Lucano Oil and Gas”) e la prima iniziativa di questo tipo, a livello nazionale, per il settore petrolifero: 33 aziende impegnate nelle attività estrattive, circa 1.800 dipendenti ed un fatturato complessivo, nel 2009, di 190 milioni di euro. Vi sono almeno due buone ragioni per salutare questa circostanza con una buona dose di ottimismo.
In primo luogo, in un contratto di rete ciascuna delle parti si impegna-al di là della “tradizionale” acquisizione di sistemi tecnologici o di macchinari- ad effettuare investimenti in standard di comunicazione (marchi, linguaggi formali, strutturazione di network), requisiti logistici (formalizzazione di aspetti quali la gestione degli ordini, i vettori e modalità di valorizzazione degli assets), sistemi di “garanzia” (certificazioni, rating complessivi di filiera, contrattualistica, codifica delle esperienze svolte).
Di più: il rischio ed il fabbisogno finanziario connesso a tali investimenti viene equamente distribuito tra i sottoscrittori. Ed è proprio su questi elementi che oggi si determinano vantaggi competitivi ed opzioni di affermazione nel mercato ormai globalizzato.
In secondo luogo, la nascita delle reti (e della “rete lucana” in particolare) reclama una funzione e richiama un ruolo per molti versi inedito ed impegnativo da parte del “pubblico” e degli intermediari finanziari. Il contratto consente infatti di accogliere, tra i soggetti aderenti, non solo le imprese, ma anche enti pubblici, istituti bancari, gestori di infrastrutture. È questo uno snodo fondamentale, oggi declinabile alla filiera lucana del petrolio, ma domani parimenti replicabile in altri settori e aree produttive della regione: una progettualità organizzata ed un “governo” della rete,la qualità e la natura delle relazioni che in essa s’alimentano (formule contrattuali e giuridiche, struttura decisionale complessiva ed ambiti di autonomia dei singoli nodi), la stessa pianificazione degli investimenti specifici (quelli cognitivi, in formazione e in competenze specialistiche) attengono ad un livello di coinvolgimento “alto” di questi “meta-organizzatori” della rete, impegnati a fianco delle imprese nel perseguimento del comune traguardo dello sviluppo economico del territorio.
L’associazione di categoria degli imprenditori ha in Basilicata ben compreso la natura innovativa insita nell’avvento di questa novella formula aggregativa, discriminando entro un “Patto di Sistema” ruoli e caratteristiche di partecipazione alla rete da parte di “aziende leader” – nel caso della “Rete Log” lucana identificabili nelle multinazionali titolari delle concessioni minerarie in regione- e loro partner strategici, “governi territoriali”, università e sistema creditizio, senza peraltro oscurare il senso pieno del proprio contributo (al quale potrebbe peraltro ben essere associato un avanzamento delle relazioni industriali con le forze sindacali , accogliendo, proprio in questo particolare contesto, l’introduzione di strumenti di concertazione innovativi- ad esempio con la declinazione d’un “contratto di sito”- o di rappresentanza dei lavoratori : si pensi all’individuazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza dell’intero “sito produttivo”).
E con analoga lungimiranza si è adoperata la Camera di Commercio di Potenza- mediante un Bando di promozione di reti di impresa meritoriamente cofinanziato dalla Regione Basilicata- primo Ente camerale in Italia ad aver creduto nel contratto di rete e ad aver formulato un’azione di sostegno specifica con un fondo disponibile pari a 150.000 euro.
Si possono fare tutte le reti che si vogliono. Quando il costo del personale ,maestranze chiamatelo come volete e’ di 1 a 10 ,con la Cina , non c’e’ storia. Le reti servono solo a dormirci sopra. Auguri.