15
Dic
2012

Il Gosplan della sanità

L’ultimo regolamento sui nuovi standard ospedalieri previsto dalla spending review sa di vecchio. Nel testo si definiscono i nuovi standard per posti letto ospedaliero, in un’ottica di pianificazione centralizzata a scapito della libertà di scelta del paziente. A una prima occhiata, il provvedimento parrebbe ragionevole: non si parla forse da anni di razionalizzare la rete ospedaliera?

C’è razionalizzazione e razionalizzazione. Il regolamento stabilisce per ogni ospedale uno standard di 3,7 posti letto per 1.000 abitanti e tasso di ospedalizzazione del 160 per 1.000 abitanti, tenendo conto della mobilità attiva e passiva. I tagli saranno relativamente (da principio) inferiori nelle regioni che attirano più pazienti, ma non si tratta di un meccanismo premiale per quanti abbiano saputo offrire cure di qualità che attirano pazienti da altre Regioni.

L’offerta crea la domanda: le riduzioni nell’offerta di posti letto causeranno infatti una minore libertà di scelta dei pazienti che, se anche fossero scontenti del servizio loro offerto, non potrebbero andare a farsi curare dove ritengono che il servizio sia migliore perché potrebbero non trovare un posto letto disponibile. Questo non in virtù del fatto che un certo ospedale ha meno sistemazioni disponibili perché la domanda è minore, ma perché a priori è stato così stabilito. Col righello ed il compasso da Roma, anziché lasciando che domanda ed offerta si incontrino.

I pianificatori sembrano pensare che la qualità delle cure sia omogenea in tutte le strutture e in tutto il Paese. La questione sarebbe perciò meramente “tecnica”: leviamo posti letto per fare efficienza.

Sfortunatamente, come ben sappiamo e come testimoniano almeno in parte le migrazioni da Regione a Regione, non è così. La razionalizzazione che tutti vorremmo è quella nella quale a chi offre qualità è data la possibilità di offrirne di più, e a chi fornisce cattive prestazioni è tolta la possibilità di fornirle. L’impostazione del Ministero va nella direzione opposta.

Si finirà per costringere un numero crescente di pazienti a curarsi dove c’è una sistemazione disponibile, e non devo desiderano o preferiscono, facendo così crescere la domanda sanitaria di alcune strutture per merito del numero di posti letto messo a disposizione e non per le proprie prestazioni.

L’esito è una minor libertà di scelta per i cittadini, che implica a sua volta una (ancora) minore competizione tra strutture sanitarie e tra sistemi sanitari regionali e, dunque, anche minori incentivi a migliorare le proprie performance. Non solo: determinerà la sopravvivenza prima e la crescita poi di ospedali in qualche misura pericolosi per i malati, avvantaggiando proprio quelle regioni che finora hanno offerto un servizio di qualità inferiore e determinando quindi uno scadimento piuttosto che un miglioramento del servizio nel complesso.

Non è pianificando la riduzione del numero di posti letto ex ante che si riducono i costi e si migliora la performance del sistema. La libertà di scelta del paziente è uno degli elementi più positivi del nostro sistema sanitario nazionale: riconosce un diritto del malato, consente un minimo di competizione fra strutture. Fare economie riducendo la (già modesta) concorrenza e castrando la (già fiacca) libertà consegna i pazienti italiani al triste destino dei capponi di Renzo.

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7 Responses

  1. giuseppe 1

    Beh, da qualche parte bisognerà ben cominciare.
    Se non vogliamo andare avanto coi Calabresi che si fanno curare a Milano.
    E se non avranno tutta questa libertà di scelta, a un certo punto spero si prendano la libertà di rompergli il muso.

  2. Assolutamente d’accordo con quanto espresso nell’articolo.
    Di nuovo emerge la scarsità culturale dei nostri sovrani che ragionano con righello e regolo (compasso non si dovrebbe dire, non è politically correct, perchè si vorrebbe insinuare che sono massoni). Occorrerebbe invece pensare alla società come un sistema interconnesso.
    Paradossalmente invece di tanti avvocati e ragionieri, avremmo bisogno di biologi!

    Comunque (ovviamente scherzo!) lei con il suo articolo sta facendo del populismo, ma non si rende conto che ce lo chiede l’Europa??

  3. Mauro

    Magari un calabrese, invece di traferirsi in Lombardia per farsi curare decentemente, pretenderà di avere in Calabria un trattamento da lombardo.

  4. nicola

    Da operatore del settore (sono medico): chapeau per Lucia Quaglino!

    Del resto è fastidioso andare a rompere le scatole a chi ha governato la sanità (i.e. la Regione) di Lazio, Sicilia, Calabria, etc etc…meglio infastidire un pochino tutti (e a rimetterci davvero sono le sanità-Regioni migliori, dove comunque abbondano gli sprechi)…così si dà l’impressione di essere bravi, di essere finalmente quelli che mettono le cose a posto…facile e furbesco, no?

    come del resto: è fastidioso chiudere Ospedali assolutamente inutili e nocivi e allora non li si chiudono, è fastidioso far lavorare veramente i medici di medicina generale e allora li si mette tutti insieme nelle medicine di gruppo…(cosa cambierà?!!)…e vari altri esempi…

    I furbi (…), cari Professori, siete anche voi. Vi spacciate per liberalizzatori e uomini anti-sprechi quando invece siete esattamente come gli altri che vi hanno preceduto: piegate la schiena davanti ai difensori di anacronistici privilegi, invece di avere il coraggio di dimettervi dicendo che non vi lasciano (o non volete) fare le VERE RIFORME di cui hanno bisogno i cittadini.

    Grazie Lucia Quaglino.

  5. claudio di croce

    Anche gli ospedali – come la maggior parte degli enti pubblici – sono stati usati come serbatoio di voti e di corruzione sopratutto al sud ma non solo.. Credo che almeno il 30% degli ospedali – come d’altronde tutti gli enti pubblici e i loro dipendenti – siano inutili e quindi dannosi per la collettività. Un governo ” tecnico ” serio la prima cosa che doveva fare era quella di tagliare la spesa pubblica, sanità compresa Invece dopo la riforma delle pensioni MM non ha più fatto nulla , si è comportato come tutti i politici . Ha aumentato il furto fiscale , cioè la quantità di denaro a disposizione del mondo pubblico a cui appartiene e non ha farro altro. Basta pensare alla pagliacciata delle province . E poi ci sono italiani che lo apprezzano , non parlo solo della casta politico-burocratica a cui appartiene e che ha favorito in ogni modo. Parlo anche di italiani che sono rosi dall’invidia e dal rancore sociale e quindi ben contenti di vedere rubare soldi ai ” ricchi ” pensando che una parte del bottino finirà a loro.

  6. Andrea Dami

    Da medico che 9 anni fa si è licenziato, perdendo tutte le certezze e garanzie di un dipendente pubblico, pur di poter lavorare con “scienza e coscienza”, pur tra mille incertezze e onomiche, credo di poter dire che questo articolo ed i precedenti commenti toccano solo la punta dell’iceberg. Il problema e’ enormemente più grande e complesso ed andrebbe risolto a partire dalla riforma della facoltà di medicina dell’ordine dei medici e riportando la gestione sanitaria a livello nazionale, con primo obiettivo quello di ricostruire una omgenicita’ dei servizi basata sulla professionalità e sulla concorrenza fra pubblico e privato convenzionato e non sul clientelismo politico.
    Comunque leggere questi articoli e’ già qualcosa.

  7. claudio di croce

    @Andrea Dami
    Ho un figlio medico e anche lui è pieno di dubbi sulla sua funzione professionale . Non svolge attività privata , ma vede che molti suoi colleghi dipendenti pubblici non svolgono la funzione per la quale sono pagati. Gli unici risparmi si fanno sui cosiddetti contratti di appalto fatti ai privati che sistematicamente non vengono pagati .

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