Il “giusto prezzo” dell’energia—di Stephen Littlechild
Questo articolo è stato pubblicato sul Daily Telegraph del 7 luglio 2015 con il titolo “‘Goldilocks’ energy price limit doesn’t bear scrutiny”.
Due urrà per i risultati preliminari dell’indagine dell’Autorità Concorrenza e Mercati britannica (CMA) sul mercato dell’energia. Il primo per la sua esauriente valutazione degli aspetti problematici di questo mercato, il secondo per aver riconosciuto che le regole imposte dall’autorità di regolazione Ofgem (Office of Gas and Electricity Markets) sul mercato retail dell’energia ai consumatori finali hanno indebolito la concorrenza tra fornitori. Ma il fatto che la CMA abbia consigliato, con una decisione incredibilmente retrograda, l’introduzione di controlli sui prezzi dell’energia merita nient’altro che una sonora pernacchia.
Quali aspetti del mercato non rappresentano un problema? La risposta è: i mercati all’ingrosso per elettricità e gas, l’integrazione verticale e la collusione tacita tra fornitori di energia. Queste conclusioni non piaceranno a tutti, ma sono plausibili.
Le cause di alcuni problemi puntano chiaramente il direzione delle autorità pubbliche. Ad esempio, l’idea di dotare ogni consumatore di un contatore “intelligente”, senza però prevedere la possibilità per i fornitori di energia di accedere ai dati sull’andamento del consumo che questi contatori possono evidenziare.
I meccanismi previsti dal governo al fine di incentivare le energie rinnovabili senza curarsi della concorrenza hanno fatto sì che i consumatori abbiano pagato un prezzo considerevolmente elevato al fine di sostenere le centrali eoliche offshore. Si parla di una cifra stimata tra i 350 e i 430 milioni di euro all’anno per 15 anni, equivalenti ad un aumento dei prezzi al dettaglio pari all’1 per cento.
La CMA trova che vi sia “scarsa solidità e trasparenza nelle decisioni regolatorie”. Gli obiettivi statutari di Ofgem ne sono un esempio. Grazie all’ex-Segretario all’energia Ed Miliband, oggi Ofgem ha il dovere di favorire la concorrenza dove è il caso, ma solo dopo aver considerato se sia possibile raggiungere i propri obiettivi introducendo nuove normative, anziché promuovere la competizione. Inutile dire che si tratta di una ricetta per l’eccesso di regolamentazione.
Il contributo della CMA ad una migliore comprensione degli effetti nocivi di politiche interventiste potrebbe risultare più efficace. In merito al mercato al dettaglio dell’energia, la CMA riscontra tre motivi di preoccupazione: la scarsa partecipazione dei consumatori, con la conseguenza che questo disinteresse permette ai fornitori di aumentare i prezzi e, infine, una regolamentazione restrittiva.
I prezzi medi al consumo praticati dai “sei grandi” dell’energia nel periodo 2009-2013 si trovavano “di circa il 5 per cento al di sopra del livello concorrenziale”, per una spesa pari a circa 1,7 miliardi di euro.
La CMA si è particolarmente concentrata sulle regole cosiddette “simple choices” di Ofgem, compresi il divieto di offerte complesse, il limite (quattro per tipo di combustibile) al numero di offerte che i fornitori di energia possono praticare contemporaneamente e la proibizione della maggior parte degli sconti. L’autorità per la concorrenza ha riscontrato ben pochi segni, forse nessuno, di maggiore partecipazione da parte dei consumatori in conseguenza di tali misure, e numerosi elementi che fanno pensare che tanto la concorrenza quanto i consumatori abbiano sofferto. La conclusione è che queste normative sono anticompetitive, in quanto “riducono per i fornitori al dettaglio la possibilità di innovare ideando piani tariffari capaci di soddisfare la domanda dei loro clienti” e indebolendo la concorrenza tra siti web che offrono tariffe servizi di comparazione tra le offerte. Il rimedio che propone è, semplicemente, l’abolizione di queste regole.
Che sollievo! Si tratta di una conclusione ormai sempre più condivisa, sia dagli specialisti del settore, sia da altri osservatori. I nuovi vertici di Ofgem accoglieranno certamente con favore una dichiarazione tanto esplicita da parte della CMA.
È lecito attendersi che l’eliminazione di questi vincoli possa rappresentare una risposta al problema degli extraprofitti. 1,7 miliardi di euro è all’incirca pari all’aumento dei profitti realizzati dai venditori di energia elettrica a partire dal 2009, quando Ofgem iniziò a limitare la concorrenza. È un peccato che la CMA non riporti dati sui margini precedenti a quella data, traendone un’ovvia conclusione.
Disgraziatamente, la CMA non si ferma qui. Come Ofgem si preoccupa del grado di partecipazione dei consumatori – anzi, si può ben dire che ne sia ossessionata. Questo è strano: le spesse persone che sono ritenute perfettamente in grado di decidere la propria occupazione, stile di vita, piani pensionistici e di crescere figli, gli stessi individui che decidono ogni giorno come utilizzare tra il 90 e il 97 per cento del proprio bilancio familiare senza suscitare commenti, vengono ritenute incapaci di spendere il restante 3-10 per cento per il consumo di energia.
Secondo la CMA, il Regno Unito ha il tipo sbagliato di consumatori, che dovrebbero invece dedicare più tempo a trattare con il mercato dell’energia.
La CMA calcola i risparmi che i consumatori otterrebbero passando a tariffe meno care e non riesce a capire perché ciò non avvenga. Il fatto è che, mentre alcuni consumatori trovano che valga la pena farlo, altri la pensano diversamente. Forse Ofgem e CMA dovrebbero cercare di cambiare le preferenze dei consumatori? Dobbiamo pensare che non vi sia alcun beneficio nella reciproca fidelizzazione tra consumatori e fornitori?
Se la CMA sia effettivamente in grado di mutare le preferenze dei consumatori rappresenta una domanda più concreta. Da oltre 15 anni i venditori e i comparatori online cercano sempre nuovi modi di convincere i consumatori a lasciare i loro vecchi fornitori di energia. Ofgem ci ha provato e ha fallito. Perché mai i tentativi della CMA dovrebbero riuscire?
Probabilmente la CMA se ne rende conto e così ha proposto un rimedio “per quei consumatori che non rispondono ai provvedimenti di facilitazione e ai suggerimenti”. Tale rimedio consiste in una tariffa di salvaguardia, transitoria e regolamentata, per i clienti “disimpegnati”, stabilita dalla CMA o da Ofgem. Giustamente, la CMA non nasconde i problema di come stabilire questa tariffa: se fosse troppo bassa danneggerebbe la concorrenza e disincentiverebbe la partecipazione dei consumatori; se fosse troppo alta, non rappresenterebbe una tutela.
Quello che non viene spiegato è come stabilire questo magico controllo dei prezzi “né alto, né basso”. L’esperienza ci induce a ritenere che trovare un “giusto prezzo” sia impossibile. Le esperienze degli altri paesi confermano che questo genere di tariffe ostacola effettivamente la concorrenza, tanto è vero che nel passato Ofgem si è giustamente opposta all’introduzione di simili provvedimenti.
In sintesi, la CMA ha svolto un utile servizio spiegando quali siano i problemi del mercato dell’energia e proponendo di eliminare le regolamentazioni che hanno limitato la concorrenza. Questo certamente risolverebbe i problemi che sono stati correttamente individuati. Se solo potessimo convincere la CMA a non introdurre nuove restrizioni, gli urrà diventerebbero tre.
Stephen Littlechild è stato membro dell’autorità di regolamentazione dell’elettricità ed è fellow della Judge Business School.