10
Feb
2025

Il Giano bifronte della bilancia dei pagamenti

Riceviamo, e volentiari pubblichiamo, da Daniele Vecchi.

“Quello che preoccupa dell’America è il disavanzo commerciale con la Cina perché significa che gli americani consumano più di quanto producono e hanno bisogno dei capitali cinesi per finanziarsi. La perdita di posti di lavoro nel settore manifatturiero è una diretta conseguenza di questo disequilibrio”.

“Quello che preoccupa della Cina è il deflusso di capitali investiti negli USA anziché nell’economia nazionale. Per generare i capitali necessari i cinesi sono disposti a consumare meno di quanto producono, concentrando le proprie produzioni nel settore manifatturiero. La creazione di nuovi posti di lavoro ad alto valore aggiunto negli USA è una diretta conseguenza di questo disequilibrio”

Da un punto di vista economico, le due narrazioni, seppur con la limitazione di riferirsi a due soli paesi, rappresentano due facce della stessa medaglia: si parte solo da prospettive diverse.

La bilancia dei pagamenti di un Paese è composta dal conto corrente, dal conto finanziario e dal conto capitale. Gli ultimi due saldi bilanciano il primo e viceversa, producendo un teorico saldo zero.

Gran parte dei media però tende inspiegabilmente a focalizzarsi solo sui flussi commerciali e a ignorare i flussi in conto capitale. L’idea che un saldo positivo tra export e import segnali una forza intrinseca dell’economia è irrazionale e non fa un buon servizio a chi voglia capire come effettivamente vanno le cose. Infatti, non appena si verifica un saldo negativo le pressioni protezionistiche e di politica industriale si rafforzano, al fine di cambiare la situazione facendo leva sulle paure delle gente comune. Seguono le accuse alla globalizzazione e al “neoliberismo”, mentre si promuove il “compra Americano o Italiano”, a seconda del paese coinvolto, e l’adozione di dazi o di barriere commerciali.

Gli allarmisti perenni sottolineano come i deficit di natura commerciale provochino dipendenza, impoverimento, deindustrializzazione, perdita di posti di lavoro. Come succede sempre più frequentemente, vengono diffuse tesi di natura ideologica senza alcun supporto di dati. 

Gli Stati Uniti d’America hanno registrato deficit di natura commerciale ininterrottamente dalla seconda metà degli anni ‘70, un periodo sufficientemente lungo per verificare la solidità della tesi allarmista.

Cosa dicono i dati? Smentiscono clamorosamente le tesi allarmistiche. Ad esempio l’indice della produzione industriale è attualmente ai suoi massimi.

L’incidenza del settore manifatturiero sul PIL in termini nominali è in un declino di natura secolare, perché le economie moderne si basano su servizi ad alto valore aggiunto.

Perché nelle analisi di natura economica, invece, non si parte dai flussi in conto capitale e finanziario che rappresentano sia investimenti in asset finanziari ma anche e soprattutto investimenti in asset reali? I flussi di capitale dalla Cina verso gli USA altro non sono che un’espressione della preferenza dei Cinesi di investire in asset americani piuttosto che in asset domestici e per raggiungere questo obiettivo sono disposti a consumare meno di quanto producono. I flussi commerciali, chiamiamoli per semplificare di import export, diventano una conseguenza e il saldo positivo una necessità per finanziare gli investimenti all’estero.

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