2
Lug
2011

Il futuro non è più quello di una volta. Di F. Gastaldi

Riceviamo da Francesco Gastaldi e volentieri pubblichiamo.

La chiusura di stabilimenti e attività produttive (a causa di delocalizzazioni, riarticolazioni aziendali, crisi economica ecc.), in molte località italiane, spinge molti a ricordare il passato. Il ridimensionamento di attività industriali che per molti decenni avevano assicurato condizioni di benessere spinge molti ad evidenziare il venir meno di una stretta correlazione fra economia, società e ambiti di vita ordinaria, altri rievocano un tempo passato dove “tutto andava bene”.

Si potrebbero fare molti altri esempi di questa tendenza a guardare sempre al passato: nelle località turistiche si fa riferimento alle stagioni gloriose del turismo della Bella Epoque o degli anni Sessanta del Novececento, evocando un passato fatto di fasti e notorietà; in molte città di piccole e medie dimensioni ogni ipotesi di trasformazione viene contestata in nome di un presunto snaturamento dell’identità storica. La stessa tendenza è spesso rievocata in sagre, manifestazioni e ricostruzioni di storici locali, che descrivono le società rurali e contadine italiane, anche di pochi decenni fa, come comunità “armoniose” dove i legami sociali fra le persone non erano ancora in crisi e dove si mangiava cibo sano, gustoso e dieteticamente consigliabile.

Colpisce questa tendenza a guardare sempre al passato,anche da parte di esponenti politici e sindacali, un passato sempre “mitico”, un po’ vernacolare e “romantico”, dove “tutto andava bene”. Un passato spesso “astorico” e variamente collocato, a seconda dei casi e delle circostanze. Ma si può essere “schiavi” di questo passato? Gli attori di politiche pubbliche possono incentrare le loro discussioni sulle problematiche locali facendo così spesso riferimento ai “bei tempi antichi”? L’esperienza insegna che dovrebbe avvenire il contrario e che le città e i territori più dinamici sono quelli che non solo sanno stare al passo con i tempi ma sanno anticipare tendenze e scenari di cambiamento. Quindi non solo occorre guardare avanti, ma occorre pre-configuare il futuro. In un contesto di globalizzazione caratterizzato da una forte spinta competitiva fra sistemi territoriali per assicurarsi nuove funzioni rilevanti ed attrarre nuove opportunità economiche, gran parte del confronto si misura quindi su elementi di innovazione. Diviene pertanto necessario che le singole realtà sappiano produrre e mettere in atto visioni e strategiche di sviluppo futuro condivise ed efficaci.

In tutta Europa le città e i territori che hanno saputo anticipare le tendenze socio-economiche, sono state in grado di attivare processi stabili di sviluppo e trasformazione urbana, hanno saputo (ri)definire l’immagine e promuovere potenzialità locali attraverso azioni di marketing territoriale, hanno avuto opportunità per sperimentare un nuovo stile di politiche pubbliche e di governo del territorio. La ridefinizione della base economica urbana è stata in molti casi travagliata e complessa: numerose città europee sono state per molti anni avvolte in un clima di smarrimento, talvolta di decadenza: la difesa dello status quo, prevalente rispetto alla ricerca di nuove opportunità, ha bloccato molte realtà, mentre proseguivano ristrutturazioni dei processi produttivi e fenomeni di delocalizzazione.

Ma con la difesa dell’esistente o peggio ancora, guardando ad un passato che, nel bene e nel male, non tornerà più, le occasioni si perdono. Occorre, viceversa, saper velocizzare i tempi delle trasformazioni, sia in senso fisico che in senso organizzativo, per adeguarsi ai cambiamenti in atto e di individuare le politiche e gli interventi più opportuni che permettano alle città di favorire lo sviluppo di nuove iniziative economiche; stimolare e coordinare la realizzazione di quegli interventi che possono favorire l’innalzamento della base istituzionale e sociale e che possono creare condizioni che rendano un’area più competitiva e in grado di attrarre utenti potenziali ed investitori.

Francesco Gastaldi

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6 Responses

  1. Pastore Sardo

    “….., gran parte del confronto si misura quindi su elementi di innovazione. Diviene pertanto necessario che le singole realtà sappiano produrre e mettere in atto visioni e strategiche di sviluppo futuro condivise ed efficaci.”

    Si e infatti ci schianteremo, attualmente le visione strategiche di innovazione tecnologica hanno come fondamenta la “cultura ICT del grillino” e non rendono più efficienti sia la PA locale/centrale che deve supportare le aziende e sia le aziende stesse.

    Prendiamo come esempio l’ente Regione Autonoma della Sardegna (R.A.S.), che deve disperatamente spendere i fondi comunitari perchè buttare i soldi a mare è politicamente meglio che non spenderli, tanto i cittadini non lo capiscono e non lo capiranno e quindi, wi-fi e banda larga per tutti:

    – “@ll-in” e “SurfInSardinia”, volti rispettivamente alla realizzazione di centri pubblici d’accesso ad
    Internet presso Enti e Associazioni ed alla creazione di una rete di hot-spot per la navigazione
    in wi-fi, aumenteranno ulteriormente la domanda di servizi online della pubblica
    amministrazione da parte dei cittadini;
    CIRCA 7 MILIONI DI EURO

    – – BUL, Grande Progetto per la realizzazione di una grande rete telematica pubblica con tecnologie di nuova generazione da implementare in sinergia con l’infrastrutturazione della rete del gas in Sardegna e da destinare al collegamento del maggior numero di uffici pubblici o esercenti servizi pubblici o di pubblica necessità nel
    territorio regionale :
    82 MILIONI DI EURO, FINE PREVISTA DI REALIZZAZIONE DEL PROGETTO DICEMBRE 2015, SE VA BENE.

    Ma anche se può sembrare strano, il problema principale non è il periodo temporale, ma il fatto che i comuni e le aziende lavorano ancora oggi senza controllo totale e integrato dei processi (anche dematerializzandoli nel caso dei processi amministrativi), LA cultura ICT del grillino regna sovrana!!

  2. Valerio Tiranti

    Ho letto l’articolo attratto dal titolo, ma onestamente mi domando il senso di quanto scritto. Il messaggio è: non c’è futuro se guardiamo indietro? Va bene, ma non basta dire guardare avanti per superare questa situazione.

    La domanda piuttosto è: perchè non guardiamo al futuro, ma al presente o al passato come tempi migliori o persi?

    E qui la risposta credo sia naturale: perchè crediamo che il futuro non ci riservi niente di meglio, perchè sappiamo di avere moltissimo e il confronto con il futuro ci offre la prospettiva di un ridimensionamento. E quindi la paura del cambiamento e la volontà di mantenere le mille ingiustificate posizioni e rendite privilegiate e di casta (che cadono a cascata nei mille piccoli benefici di ognuno per mantenere il sistema) che ci sono in Italia bloccano qualunque possibilità.

    E’ stata citata la politica: la politica è strenuamente impegnata solo in questo. E dietro a lei le mille caste che da qualunque passo verso in futuro possono solo pensare di poter perdere proprio i mille ingiustificati privilegi.

    In questo clima di pessimismo, anche chi potrebbe guadagnare dal guardare ottimisticamente al cambiamento non è stimolato a farlo, proprio perchè il clima creato da chi dovrebbe guidare il cambiamento è in realtà di decadenza.

    Insomma, credo che le cause vere siano la mancanza di leader che siano disposti a guardare al futuro come opportunità (di cui l’età è un segno importante: una classe politica da ospizio non stimola il cambiamento) e la mancanza di coraggio nell’affrontare una delle più forti e radicate paure dell’uomo, quella del cambiamento.

  3. Qualche giorno fa un ascoltatore delle “9 in punto” del nostro beneamato Oscar, suggeri di emanare una legge di un solo articolo :

    “Art. 1 : Sono abolite tutte le licenze di qualsiasi genere”.

    Sono perfettamente d’accordo !!!

    Abolire subito gli Ordini professionali e lasciare campo libero al mercato e alla concorrenza.

    Abolire subito licenze, abilitazioni, patentini e altre fuffe simile per elettricisti, idraulici, manutentori vari e lasciare campo libero al mercato e alla concorrenza.

    Abolire le licenze ai tassisti e lasciare campo libero al mercato e alla concorrenza.

    Si avrebbero sicuramente meno professionisti, elettricisti e tassisti milionari ma si creerebbe da subito qualche milione di nuove partite IVA di altri professionisti, elettricisti e tassisti che oggi non possono esercitare.

    La decadenza dell’ Italia e dell’ Europa dipende dall’eccesso di protezionismo, di regolamenti e prescrizioni, di tutele igienico-sanitarie e ambientali “pelose”, di norme di sicurezza e via dicendo.

    Se si vuole crescita, occupazione e benessere crescente la regola e’ una sola : derelogolarizzare, deregolamentare, liberalizzare !

  4. Ho letto con attenzione il suo articolo e lo trovo uno dei pochi che oggi cerca di andare guardare oltre la Siepe di leopardiana memoria. Il suo articolo è per alcuni versi innovativo anche rispetto a quanto ha scritto oggi sul Corsera un grande economista come Mario Monti. Io nel mio piccolo, occupandomi di politica e in parte dei fenomeni economici che contraddistinguono il nstro momento, sui giornale della mia regione, il Molise, oggi ho scritto il seguente articolo, che si collega direttamente al suo:
    Governare in tempo di crisi …. Diffidare dalla retorica del disfattismo tipico delle opposizione
    Percepire la storicità del quotidiano è impresa ardua, tanto che la storia altro non è che il rivedere i fatti di oggi, in un domani più o meno lontano, approfondendone cause ed effetti. Così accadrà che solo nel futuro prossimo capiremo quanto sono “storici” gli anni che stiamo vivendo. Basti pensare che in poco più di vent’anni è caduto il Muro di Berlino e l’ideologia comunista, siamo entrati nell’era internet, e poi ancora le Torri, l’avvento delle nuove economie, con la Cina in testa, la crisi finanziaria del 2008 e solo ultima in ordine di data la rivoluzione del mondo arabo. Di fatto stiamo giocando una partita diversa da quella scaturita dalla fine della seconda guerra mondiale, dalla ricostruzione post bellica, confluita poi nell’altrettanto storico boom economico. Ma stiamo giocando una partita diversa anche da tutto quanto era accaduto dai primi anni ’70 alle metà di quelli ’90, dove bene o male, l’Europa rimaneva uno dei punti cardini dell’ordinamento economico mondiale. Oggi non è più cosi. In questa nuova competizione, come sempre, c’è chi vince e c’è chi perde, una partita, e c’è chi vincerà e chi retrocederà alla fine di un ipotetico campionato. Ad uscire ridimensionati da quello che sarà con ogni probabilità il nuovo assetto del mondo futuro saranno in parte gli USA e soprattutto la vecchia Europa, incastrata in un’unione monetaria che non si configura con unione politica. Questo il quadro macro. Scendendo nelle cose di casa nostra in Italia e ancor di più in Molise, se vogliamo ragionare in termini propositivi e soprattutto “da grandi” dobbiamo fare alcune riflessioni “mature”, possibilmente evitando la demagogia. Chiunque esce vincitore da una competizione elettorale promette ai suoi cittadini di migliorare le condizioni socio-economiche, facendo intravedere un futuro migliore. Non si ricordano elezioni vinte promettendo povertà e disoccupazione, tanto per intenderci. Questo esercizio di razionalità, purtroppo non è sempre recepito dai cittadini, che vogliono rimanere con i loro privilegi anche se di tipo borbonici, o in altri casi vogliono per forza che lo Stato risolva i loro problemi, senza voler intendere il periodo storico che si sta vivendo. Ecco che allora voglio l’ospedale sotto casa, voglio il posto fisso per i miei figli , voglio il finanziamento agevolato per l’acquisto casa e così via. Purtroppo nel mondo che cambia, cambiano anche le regole del gioco, per cui benefici e privilegi che sono stati ad appannaggio delle precedenti generazioni, non sempre possono essere riconfermate a quelle future. È questa una delle maggiori cause dell’annoso e famoso debito pubblico, che come ormai ogni giorno ci viene ricordato, è il secondo del mondo e che ci costringe oggi e ancor di più domani, a cambiare stile di vita. Queste regole si traducono a scelte impopolari ma obbligate da parte del governo che deve destinare risorse finanziare al rientro del debito, che altrimenti potrebbero essere destinare alla tanto agognata ripresa economica. In conclusione sono d’obbligo alcune ulteriori riflessioni: stiamo molto attenti e lontani da chi millanta terapie o strategie strane per superare la crisi, che è mondiale e di sistema. Non siamo più negli anni ’70 e ’80, quando per superare una fase di mancata crescita economica bastava svalutare la nostra moneta. Oggi siamo nell’era dell’euro e per alcuni versi le soluzioni per uscire dal tunnel della crisi sono sconosciute anche ai governanti di gran parte del mondo, figuriamoci se il primo che si alza la mattina, spinto dalla frenesia elettorale, può dare insegnamenti dottrinali. Diffidiamo di chi tenta di “aizzare” la piazza, e fidiamoci molto di più di chi cerca innanzitutto di mantenere le posizioni, salvaguardando i posti di lavoro e tenta di destinare quelle poche risorse nazionali unite magari a quelle comunitarie, che sono ben più corpose, per innovare e per favorire le politiche di marketing del sistema delle piccole aziende che sono il tessuto portante dell’economia nazionale e regionale. Ricacciamo lontano coloro che pur di avere un voto a proprio sostegno vorrebbero distruggere tutto emulando Sansone. Claudio Pian – vice coordinatore PdL – per la provincia di Campobasso –

  5. Trovo il suo articolo un passo avanti rispetto alle tante parole che oggi si sprecano per tentare di dare una spiegazione alla crisi e alla mancata crescita del nostro paese. Ho letto oggi (domenica 3 luglio) l’articolo di Mario Monti sul Corsera, un elenco di parole scontate.

  6. Francesesco Gastaldi

    Ringrazio per i commenti. Per Claudio Pian, sì mi pare che diciamo cose simili con un simile approccio, non oso certo paragonarmi a Mario Monti

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