Il folle piano europeo di decarbonizzazione – di Philip Booth e Carlo Stagnaro
Articolo pubblicato su Conservativehome.com
Il progetto europeo di decarbonizzare il sistema economico entro il 2030 è probabilmente ben descritto dalla definizione di follia data da Albert Einstein: “compiere ripetutamente la stessa azione aspettandosi esiti differenti”. Le direttive attuali richiedono una riduzione delle emissioni del 20 percento sotto i livelli del 1990 entro il 2020, mentre un altro 20 percento del fabbisogno energetico deve essere soddisfatto attraverso fonti di energia rinnovabili. Ora l’UE punta ancora più in alto. La Commissione Europea ha varato un nuovo piano, con il quale l’obiettivo di decarbonizzazione viene innalzato. La Commissione propone una riduzione delle emissioni del 40 percento rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030, e il 27 percento dell’energia proveniente da fonti rinnovabili. Sarà un fallimento. Non solo è probabile che il processo di decarbonizzazione risulti di per sé costoso, ma una regolamentazione a favore delle rinnovabili comporta problemi di natura economica. Le economie europee diverranno meno competitive, vi sarà più burocrazia e più incertezza di regolamentazione. L’Europa, sull’orlo di un conflitto in Ucraina che potrebbe alzare i prezzi del gas naturale per un lungo periodo di tempo, dovrebbe piuttosto trovare altri modi per rendere l’energia più conveniente.
Sia gli obiettivi che gli strumenti di policy del piano sul clima proposto sono deludenti. Per quanto riguarda l’obiettivo principale, la riduzione, in Europa, delle emissioni del 40 percento al di sotto dei livelli del 1990 avrà un costo. La Commissione sembra negare questa realtà e sostiene che in passato vi è stata una contraddizione pressoché nulla fra obiettivi climatici e crescita economica. La dimostrazione: “Fra il 1990 ed il 2012 l’Unione Europea ha ridotto con successo le proprie emissioni GHG del 18 percento, e nonostante ciò il PIL è cresciuto del 45 percento”.
Questo è vero, ma è solo una parte della storia. Gran parte della riduzione è avvenuta a causa della profonda recessione di questi ultimi anni. Tra il 1990 e il 2008, l’Europa a 27 ha tagliato le proprie emissioni soltanto dell’11 percento e, in parte, a causa del fatto che i paesi entranti hanno potuto rinnovare i loro settori industriali post-sovietici obsoleti, impiegando tecnologie più avanzate, e più pulite. Nell’Europa a 15 la riduzione delle emissioni nello stesso periodo è stata soltanto del 6 percento. Le strategie europee di controllo climatico hanno sì contribuito a ridurre le emissioni, ma solo di un piccolo ammontare. Si noti anche che, come accade per qualsiasi processo economico, il costo marginale della riduzione delle emissioni di carbonio aumenteranno man mano che l’ammontare delle riduzioni aumenterà. In ogni caso, l’obiettivo sulle emissioni ha contribuito ad aumentare i prezzi dell’energia in Europa, peggiorando in tal modo la crisi economica.
Un recente studio del Potsdam Institute for Climate Impact Research – che si basa su alcune ipotesi abbastanza eroiche – ha stimato che quella riduzione del 40 percento delle emissioni costerà uno 0,7 percento del PIL annuale al 2030. Può sembrare una cifra modesta, ma dato il deprimente record di crescita dell’UE, è un ulteriore chiodo nella bara della sua economia in fallimento.
In ogni caso, l’aspetto più incoerente delle proposte dell’UE è che si è deciso – ancora una volta – di raggiungere la riduzione delle emissioni di carbonio in modo costoso. Anche assumendo che una riduzione unilaterale del carbonio abbia un fondamento di tipo ambientale ed economico, non ne segue che la Commissione debba regolare il modo in cui questo obiettivo debba essere raggiunto.
È una vera sfortuna che la Commissione abbia scelto un’altra volta una strategia sulle energie rinnovabili che si dimostra costosa. Ci sono diverse alternative alle rinnovabili quando si tratta di ridurre il carbonio – incluso il passaggio a combustili fossili a minore intensità di carbonio. Inoltre, può darsi che nei prossimi 15 anni verranno sviluppate nuove tecnologie. E può darsi che la gente, messa di fronte a semplici carbon tax o su schemi di tipo cap and trade che aumentano il prezzo del combustibile, decida di fare economia sul consumo di energia piuttosto che passare a costose rinnovabili: l’eolico offshore, ad esempio, è tre volte e mezzo più costoso dell’elettricità generata in modo convenzionale. Ecco perché c’è un generale consenso di natura economica sul fatto che, se si devono ridurre le emissioni, i migliori strumenti da impiegare sono le carbon tax o il cap and trade per incoraggiare innovazione, nuove tecnologie e processi decisionali locali al fine di ridurre l’emissione di carbonio nel modo più economico possibile.
Perché quindi l’UE ha deciso che dovremmo scegliere i vincitori in anticipo, stabilendo che l’obiettivo di riduzione del carbonio debba essere raggiunto almeno parzialmente attraverso un accresciuto utilizzo delle rinnovabili? La risposta ha poco o nulla a che fare con l’ambiente o il clima: è tutta una questione di politica industriale, per provare a creare comparti industriali e posti di lavoro “verdi”.
L’esperienza di questo tipo di politiche è stata deludente. Parte dell’effetto delle politiche sul clima è stata quella di spostare la produzione in paesi dove le tasse ambientali sono inferiori, ma dove i livelli di intensità di carbonio nel processo produttivo sono alti – un esito davvero perverso. Allo stesso tempo, l’UE importava un gran numero di pannelli solari, sussidiati dai contribuenti europei, dalla Cina – un esito che ha causato una terrificante risposta protezionistica da parte dell’UE stessa.
Curiosamente, con il pacchetto proposto gli obiettivi sulle rinnovabili saranno obbligatori a livello europeo, ma ancora non vi saranno obiettivi nazionali. È probabile che ciò conduca al tentativo di ciascuno stato membro di sfruttare a proprio vantaggio gli sforzi degli altri stati. Ciò accelererà la regolamentazione da parte di Bruxelles, e l’ulteriore accentramento delle politiche energetiche. Forse è questo l’obiettivo della Commissione. In ogni caso, l’incertezza che ne deriverà renderà gli investimenti non meno, ma più costosi. Ancora, ciò contribuirà a rendere l’Europa una regione più povera, soffocata da un interventismo pubblico dilagante.
La Commissione Europea insiste sempre sul concetto di “leadership” riguardo alle politiche sul clima. In ogni caso, se ci si guarda intorno ci si accorge che nessun’altra nazione al mondo è interessata a seguirla. È possibile che gli Europei siano gli unici che si preoccupino davvero dell’ambiente, e che siano anche le persone più brillanti del pianeta. È altresì possibile, tuttavia, che siano semplicemente sulla via sbagliata. La seconda spiegazione non dovrebbe essere scartata troppo in fretta.
Il Professor Philip Booth è Direttore editoriale e di programma all’Institute of Economic Affairs di Londra, Regno Unito.
Carlo Stagnaro è Direttore ricerche e studi all’Istituto Bruno Leoni di Milano, Italia.
Mi viene in mente Margherita Hack che, pur “rifondarola”, disse di essere pienamente d’ accordo col nucleare, ma non dove ci sono gli italiani.
A quando un articolo che neghi l’effetto serra?
E magari un altro che dichiari le fonti fossili inesauribili?
Il progresso è cercare vie alternative al devastante impatto ecologico che stiamo applicando al pianeta con la nostra smisurata fame di energia.
A nessuno è venuto in mente che dovremmo iniziare a consumare meno e meglio?
Se continuiamo con i ritmi degli ultimi decenni, che mondo lascerete ai vostri figli?
@Stefano Truzzi.
Giusto! E lei perché non comincia? Perché spreca inutilmente energia elettrica usando un computer, collegandosi a Internet e rispondendo ai blog?
@Stefano Truzzi
Con tutto il rispetto ma c’è ancora qualcosa che lei non si beve della propaganda idiota della sinistra ambientalista? No cosi tanto per sapere.
@tuttisenzacognome
non mi bevo nessuna propaganda ne di sinistra ne di destra. Credo che le risorse del pianeta siano limitate, credo che tra pochi decenni ci troveremo in emergenza energetica, idrica e purtroppo da quello che leggo, intellettiva.
Ne riparliamo tra 30 anni, anzi ne riparleranno i vostri figli, io ho preferito non farli visto che siamo già in troppi.
La “decarbonizzazione” potrebbe anche non essere un “folle piano”. Potrebbe avere attinenza con la geologia, con la fisica, o la geografia. Pensare di poter decidere di bruciare sabbie bituminose oppure no rischia di rivelarsi ingenuo: non è scontato che questa cosa la possiamo decidere noi. Molte cose importanti accadono e basta, nessun umano le decide.
Concordo con Stefano Tuzzi.
Qualche esempio: “l’eolico offshore, ad esempio, è tre volte e mezzo più costoso dell’elettricità generata in modo convenzionale”. E quale sarebbe questo modo convenzionale? L’utilizzo del carbone? O quello idroelettrico (che pure è una rinnovabile) o piuttosto quello Nucleare (al cui costo spesso ci si dimentica di aggiungere quello per il corretto smaltimento delle scorie, ma tanto chissenefrega, quelle possono semplicemente essere cacciate da qualche parte) o le centrali a gas (vista la probabile scarsità di forniture ricordata dall’articolo la vedo dura) o ad olio combustbile (altro metodo che produce un’aria sana e che è un piacere respirare… chi non vorrebbeuna centrale a olio combustibile dietro casa? In fondo se progettata bene esteticamente può essere senz’altro esteticamente meno impattante che delle pale eoliche no?).
O ancora: “Curiosamente, con il pacchetto proposto gli obiettivi sulle rinnovabili saranno obbligatori a livello europeo, ma ancora non vi saranno obiettivi nazionali”. Vero, in genere funziona così: l’UE stabilisce che ci debba essere una riduzione di qualcosa del 20% a livello europeo? Ottimo questo significa che ogni stato membro deve attrezzarsi perraggiungere tale obiettivo, punto e fine. Se la Germania poi fa 21 e l’Italia 19 la media è sì rispettata, ma ciò non vuol dire che ci se ne possa sbattere (anche perché in caso siano previste sanzioni chi non le rispetta i soldi li spende in multe anzihé in innovaione).
La creazione di posti di lavoro “verdi” è notoriamente uno degli aspetti di un quadro complessivo più ampio che punterebbe, volendo, a ridurre l’impatto ambientale europeo in Europa e nel resto del mondo (al momento l’Europa è il maggior consumatore di materie prime al mondo staccando di quasi il doppio l’Asia orientale con incluse Cina e Giappone e di oltre 4 volte il nord America) e magari a consegnaci un futuro un po’ più pulito che non si basi solo su combustibili fossili e/o altamente inquinanti dato che nonostante tutte le sonde che abbiamo spedito in giro questo è ancora il solo pianeta che può sostenere la vita (intelligente o meno che sia).
E giusto per concludere: “La Commissione Europea insiste sempre sul concetto di “leadership” riguardo alle politiche sul clima. In ogni caso, se ci si guarda intorno ci si accorge che nessun’altra nazione al mondo è interessata a seguirla”, sarà per questo allora che l’ONU ha messo in campo piani come gli obiettivi di sviluppo per il millennio, ed altri, concordati e partecipati a livello globale.
No ok, ma il senso dell’articolo è chiaro: no alle rinnovabili sì ai combustibili fossili perché ad ora più convenienti. Una visione che quarda al futuro. Sì, con i paraocchi cmpletamente chiusi però.