Il FOIA alla prova del Covid-19
Nel gennaio 2016 pubblicai per l’Istituto Bruno Leoni un primo commento alla bozza del decreto cosiddetto FOIA (Freedom of Information Act, d.lgs. n. 97/2016, che modifica il d.lgs. n. 33/2013, decreto cosiddetto Trasparenza), dal titolo inquietante: «Foia italiano: solo una “farsa”?». Ebbi poi l’onore che quel mio scritto fosse in buona parte incorporato nel parere reso dal Consiglio di Stato su tale bozza di decreto. Ebbene, l’inquietante domanda – confermata dopo il testo definitivo del decreto stesso, rafforzata con le Linee Guida dell’Anac e rimasta attuale negli anni in ragione dei molti casi di trasparenza negata – oggi torna a riproporsi. Infatti, si ha notizia del rigetto di istanze di accesso civico generalizzato, rivolte ad attori istituzionali al fine di conoscere dati e documenti riguardanti decisioni adottate per lo stato di emergenza.
Il fatto è che – come spiegato anche nel capitolo dal titolo «Il velo della trasparenza» del recente libro «Noi e lo Stato – Siamo ancora sudditi?», a cura dell’Istituto Bruno Leoni – il Foia è una normativa intitolata alla trasparenza paradossalmente basata su un meccanismo preordinato a limitare la trasparenza stessa. Infatti, le numerose eccezioni a quest’ultima, previste dal decreto Foia e amplificate dalle Linee Guida Anac, rendono ardua la realizzazione di quella disclosure che il provvedimento dovrebbe assicurare. Un vero e proprio paradosso. E nonostante nelle premesse delle citate Linee Guida si affermi che l’accessibilità è «la regola rispetto alla quale i limiti e le esclusioni (…) rappresentano eccezioni», il diritto alla conoscenza resta un percorso a ostacoli. In altre parole, il Foia esiste sulla carta, ma può essere aggirato.
La strada per la trasparenza è stata resa ancora più ardua dal d.l. n. 23/2020 con cui, per la situazione causata dal Covid-19, il Governo ha prorogato dal 15 aprile al 15 maggio 2020 la data conclusiva del periodo di sospensione (già disposta fino al 15 aprile dal d.l. n. 18/2020) dei termini riguardanti i procedimenti amministrativi, quindi pure quelli in materia di accesso, incluso l’accesso civico generalizzato (cioè ex Foia). Tuttavia, al di là della suddetta sospensione, quanto accennato circa le eccezioni sancite dal decreto Foia rendeva prevedibile che molte di esse avrebbero potuto essere opposte a chi pretendesse trasparenza circa le decisioni adottate dalle istituzioni per fronteggiare la pandemia.
Infatti, era ipotizzabile che destinatari di richieste Foia avrebbero potuto respingere l’accesso a dati e documenti riguardanti la gestione dell’emergenza da Covid-19 adducendo l’esistenza di qualche «pregiudizio alla tutela di interessi pubblici o privati», ad esempio con la motivazione che la divulgazione di informazioni potesse nuocere all’efficacia delle strategie operative poste in campo per tutelare «l’interesse pubblico inerente alla sicurezza pubblica». Era pure presumibile che soggetti istituzionali investiti di istanze di accesso ricorressero a un’eccezione disposta da un’altra legge (l. 241/1990), richiamata dallo stesso Foia, rifiutando la trasparenza di documenti prodromici all’emanazione «di atti normativi, amministrativi generali ecc.», tra i quali rientrano i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, e quindi negando l’accesso a documenti scientifici sui quali tali decreti sono basati. Si tratta di un’eccezione la cui ratio è quella di evitare l’anticipata conoscenza sia dei processi decisionali, sia dei supporti tecnici alla base delle scelte dei decisori, specie politici; essa può accompagnarsi al «differimento» della trasparenza per «l’arco temporale nel quale la tutela è giustificata in relazione alla natura del dato, del documento o dell’informazione di cui si chiede l’accesso», come precisato dalle Linee Guida Anac. Specificamente, queste ultime prevedono che «l’accesso agli atti prodromici è di norma escluso», ma «una volta definito il procedimento con l’adozione dell’atto finale, può essere consentito l’accesso agli atti». Dunque, l’espresso richiamo alla suddetta eccezione nel decreto Foia fa sì che ai cittadini non sia consentita la partecipazione, mediante accesso civico generalizzato, a processi decisionali che incidono sulle loro vite. Ma ciò è in contraddizione con quanto disposto dallo stesso Foia, ai sensi del quale il diritto alla conoscenza è volto proprio a «promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche». Il corto circuito normativo è palese e, come già scrissi, «la partecipazione è solo a parole». Infine, non è neppure da escludere che, una volta terminato lo stato di emergenza, su documenti attinenti alle decisioni per il contenimento del contagio da Covid-19 possa essere apposto il «segreto di Stato»: la legge (n. 124/2007) attribuisce il relativo potere in via esclusiva al Presidente del Consiglio.
Tante sono le eccezioni alla trasparenza – quelle esposte ne rappresentano solo una parte – sì da indurre a dubitare, come detto sin dall’inizio, che il diritto alla conoscenza sia mai stato fruibile pienamente. E mentre ci si aspetta che diritti sospesi a causa dell’emergenza sanitaria tornino piano piano a riespandersi, quello alla trasparenza continuerà a essere limitato dai paletti esistenti. Magra consolazione è il fatto che l’emergenza Covid-19 stia facendo emergere quanto su questo blog era stato scritto da anni. E oggi non basta lamentarsi dell’opacità per attuali dinieghi specifici a istanze di accesso civico generalizzato, consentiti dalla normativa vigente: si combatta la battaglia per la trasparenza partendo da tale normativa, come chi scrive fa da anni.
* Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono l’istituzione per cui lavora.