8
Apr
2010

Il federalismo polis-centrico. Di Mario Unnia

Riceviamo da Mario Unnia e volentieri pubblichiamo.

Quale il ruolo di Milano in una Lombardia schiacciata, come un tramezzino, tra Piemonte e Veneto animati da un forte protagonismo? Si potrà ancora parlare di un primato di Milano, ovvero di una sua egemonia sull’intero Nord? Per rispondere giovano alcune riflessioni proprio sul federalismo di cui si farà un gran parlare nei prossimi mesi.

A sentire il dibattito post elettorale il grande vincitore serebbe il federalismo regionalista e il partito del territorio, grazie ai quali l’Itala si avvierebbe a vivere la sua stagione di progressivo spostamento dell’egemonia politica dallo stato (che pur vive un momento di rilancio, ma solo a causa della crisi)  alle regioni: il tutto presentato come un portato dei tempi.

Il paradosso è che in verità le cose non stanno proprio così, come insegna l’esperienza dei paesi confrontabili con il nostro. Nel grande processo di globalizzazione, rallentato dalla crisi, ma non interrotto e destinato a riprendersi e a sviluppare, non sono né gli stati e tanto meno le regioni, bensì le grandi città i luoghi in cui avviene l’intersezione tra i processi di globalizzazione e le dinamiche culturali, sociali e politiche (le due dimensioni espresse dal vocabolo ‘glocal’). In un mondo strutturato dalle reti, una di queste collega le capitali politiche, un’altra le città finanziarie, una terza le città della scienza e della ricerca, una quarta quelle della comunicazione, e così via. Ma sono i nodi che contano, perché la reti sono a modo loro gerarchiche (come a maggior ragione è gerarchica la ‘grande rete’ per antonomasia, a dispetto di quel che pensano gli ingenui navigatori) . Infatti è l’eccellenza della funzione ad assegnare ad una città la leadership nella rete di appartenenza; senonchè, la vera leadership la guadagna e la mantiene la città che si trova all’intersezione del più alto numero di reti. L’esempio emblematico è Londra, che è al tempo stesso capitale politica, finanziaria, dell’informazione, della cultura, e dello spettacolo.

Ne consegue una forte competizione tra città (dall’Expo alla Formula Uno) all’interno del sistema urbano transnazionale, trasversale rispetto agli stati, che in parte coincide, in parte no, con la competizione tra territori.  Emerge una sorta di confederazione di centri di potere urbani, verrebbe da dire una lega di potenziali città-stato. Le città che non si inseriscono in questo sistema vengono prima  o poi retrocesse a capitali di contado.

La tendenza all’affermazione del sistema urbano transnazionale sinteticamente evocato capovolge i paradigmi concettuali del federalismo, e suggerisce proprio ai fautori del medesimo una pausa di riflessione. E’ un paradosso non solo apparente, ma lo spostamento di fatto, al di là dei desideri e delle ideologie, del peso politico dal territorio ai nodi delle reti, costituiti dalle città, ridimensiona il modello del federalismo regionalista dal momento che non è la regione, e tanto meno la macroregione, il soggetto percepito come soggetto politico principale (vedi il recente comportamento elettorale). Si può aggiungere, altro paradosso solo apparente, che è proprio il territorio il soggetto sconfitto dalla globalizzazione se è privo al suo interno di un nodo di eccellenza, di una città egemone nella rete transnazionale, e questo è vero anche se molti federalisti impiegheranno tempo per rendersene conto. Va da sé che la tendenza in atto rende obsolete le ipotesi secessioniste dei territori; e, terzo paradosso solo apparente, condanna i partiti territoriali proprio nel momento in cui sembrerebbero essere i dominatori dell’arena politica.

Il federalismo cui guardare è dunque il cosiddetto ‘federalismo polis-centrico’. L’obiezione, che il federalismo polis-centrico estremizzi la frammentazione territoriale, non regge, perché proseguirà in futuro la frammentazione degli stati in unità più piccole ed emergeranno alcune città non solo in forza della dimensione, bensì anche della funzione e dell’autosufficienza fiscale. Un’ altra possibile evoluzione è verso l’expanded federalism, che comprende le città-nodo come terzo partner al fianco del governo federale e degli stati. In Usa si discute di federalismo urbano e di federalismo urbecentrico: ambedue i modelli evidenziano il posto che le città occupano nella struttura del sistema federale, tra i governi degli stati e il governo di Washington.

Occorre aggiungere che questo neofederalismo polis-centrico è il prodotto del declino della forma stato dominante nell’epoca moderna, e a modo suo è un ritorno alle origini del federalismo: evidenzia infatti la prevalenza della negoziazione e tendenzialmente del ‘contratto’ tra comunità federate, in primis le città-nodo, piuttosto che del ‘patto politico’. Dalla crisi dello stato emergerebbe  un insieme di contratti, di aggregazioni di diritti e di obblighi che hanno alla base negoziazioni di carattere privatistico, ciò che esisteva nella fase che precedette appunto la formazione e il consolidamento dello stato moderno.

In questa prospettiva Milano può evitare la fine del salame nel tramezzino. Purchè rifletta su se stessa, sui suoi assets, faccia un check up delle sue energie vitali, e si ponga l’obiettivo di diventare davvero una città-nodo nel federalismo transnazionale polis-centrico. Con una classe dirigente all’altezza della partita.

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4 Responses

  1. Liutprando

    Trovo parziali i paradossi citati. Al di là delle nuove funzioni transnazionali che città con tecnologie costantemente moderne e che, più che protagoniste delle nuove comunicazioni, saranno interfacce stressanti e vivibili solo parzialmente, nei tempi a disposizione di ognuno. A contrappeso di un eccesso inumano di scambi che la metropoli offre, sarà la periferia considerata a torto grezza, rozza, ignorante ad avere maggiori attrattive per la migliore qualità della vita.
    Dunque due livelli non intersecabili – il termine glocal è scorretto da questo punto di vista – uno necessariamente virtualmente veloce e globale; uno sostanziale, umanamente vivibile, lento, ecologico, rilassante ed impenetrabile dai problemi del mondo. Un neo-feudalesimo in cui si possa transitare da un livello all’altro senza confonderli.

  2. Luciano Pontiroli

    Con tutto il rispetto dovuto alle opinioni di ognuno, mi sembra che sia l’articolo, sia il precedente commento esprimano l’arte oscura del vaticinio piuttosto che l’analisi dello scienziato politico. Peccato!

  3. mario fuoricasa

    Concordo più con Liutprando che con il Prof. Unnia. Ciò è normale perché circolano poche idee e ben confuse al riguardo. L’argomento però è stimolante e una chiarificazione potrà avvenire solo se qualcuno comincia a parlarne anche in maniera estemporanea come si fa in un blog.

    La fotografia di Unnia parrebbe effettivamente mostrare quello che egli descrive, ma io eviterei l’ associazione del globale e del locale con i metodi politico-amministrativi e la geografia tecnologica della comunicazione e degli scambi in continuo divenire. I fini sono diversi e dobbiamo considerare che nelle interazioni alternativamente ognuno degli ambiti può usare l’altro come mezzo. Quanto alla gerarchia ora manifesta devo dire che si tratta di una situazione particolarmente vera in Italia e nel tempo attuale.

    La gerarchia si è accentuata grazie al temporaneo, ma ormai più che decennale, blocco dello sviluppo della rete cablata. Questa situazione è da considerare solo come temporanea, incidentale e destinata ad evolvere indipendentemente da ogni aspetto di organizzazione politico-amministrativa.

    Ritengo inoltre che, con l’umiltà di un vero ignorante, il “federalismo interpolitano” verso l’esterno e polis-centrico verso l’interno non potranno esistere se prima non si vivrà un’esperienza federalista locale degna di questo nome. Il federalismo locale potrebbe cambiare il modo di percepire l’utilità delle successive esigenze aggregative. Quello che oggi può sembrare una prospettiva ragionevole potrebbe non esserlo tra una decina d’anni. Siccome però il federalismo locale prossimo venturo al momento è inesistente non possiamo presumere cosa accadrà.

    A causa dell’incremento di velocità delle esperienze umane impressa dai nuovi sistemi di comunicazione, l’orizzonte degli eventi si avvicina alla nostra vista ed accorcia la nostra capacità speculativa di parecchio.

    Ricordo inoltre che le eventuali “regioni interpolitane” si reggerebbero sulla collaborazione dei territori fisici limitrofi ad ogni nodo. Non mi azzarderei ad auspicarlo senza una organizzazione politico amministrativa ben collaudata.

    In pratica l’attuale e parziale evoluzione delle tecnologie di comunicazione consentono solo formulazioni molto parziali e razionalmente incomplete.

    Oggi esistono città all’incrocio di reti non solo di comunicazione ma anche di conoscenza. Queste città sono solo il necessario stadio intermedio verso una condivisione della conoscenza e della condivisione delle informazioni più diffuso e disperso.

    Le ragioni economiche del perché le grandi città all’incrocio delle reti sono più sviluppate paiono ovvie. La tecnologia provvederà a rendere diffuso ciò che ora sembra polarizzato con grandi vantaggi e ritorni considerevoli anche nell’ambito politico amministrativo. Uscendo poi dall’esperienza nostrana e connettendoci alle polis come Londra sparse per il mondo ritengo che, in assenza di coercizione o controllo gerarchico volutamente imposto da una logistica di distribuzione in evoluzione, perderanno l’importanza capitale attribuita dal Prof.

    Non considero quanto scritto da Unnia un vaticinio, lo considero un ragionamento ad alta voce, utile al confronto e non al giudizio.
    mario fuoricasa

  4. Michele Penzani

    Considero anch’io uno spunto di riflessione l’intervento del prof.Unnia e ben argomentati i punti del sig. Fuoricasa…E pressochè d’accordo con quanto scritto dal sig. Liutprando, che mi ha fatto subito fantasticare a quanto e come ha inciso la sola natura geologica del territorio italiano (a differenza di altri vicini Stati-“biliardi”) per il suo sviluppo industriale, economico amministrativo ed urbanistico, con il solo avvento del motore a scoppio, oggetto tecnologico onni-pervasivo del XX° secolo.
    Se poi ci aggiungiamo le eterogene realtà dei flussi migratori, di quelle statiche locali, della disponibilità e richiesta di profusione d’opera, della comunicazione telematica…Insomma di tutto ciò che un agglomerato sociale necessita ai fini della sua esistenza-sviluppo, non ci si può che soffermare nel cercare di comprendere -prima di tutto- la quantità di risorse di cui deve disporre la citata “città-nodo” per vivere e produrre i suoi scambi, la quale, proprio per sua natura interazionale, deve esistere PER un’organizzazione territoriale ben più estesa e variegata, ma con una natura congenita di utilizzazione del tempo e di risorse completamente difforme…Proprio come inteso dal sig. Liutprando.

    E ponendo l’accento sull’aspetto del tempo e risorse “divorate” dalle cosiddette città-nodo, in un mondo in costante ed imprevedibile mutamento, come faceva riferimento il sig. Fuoricasa, sembra intuitivo “vedere” tali agglomerati urbanistici “accendersi e spegnersi” alternativamente e repentinamente tra loro…Come luci di stanze di un grattacielo ben più articolato che formano.

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