Il falso problema del Pil: creatività keynesista
Oggi mi trovo d’accordo con Joe Stglitz quando dice che tra banca e finanza stiamo messi quasi peggio di un anno fa, visto che considerando gli asset attuali di Bank of America e Citigroup c’è da farsi venire i brividi, e non serve la crescita in Borsa propulsa dalla FED a farseli passare. Disaccordo pieno invece per la solita solfa anti-Pil, rilanciata da Stiglitz insieme a Fitoussi, Amartya Sen, e la pomposa commissione per la miglior misurazione del progresso socio-economica istituita da quella delusione crescente e permanente che si è rivelato sin qui il presidente Sarkozy (taglio delle imposte alle imprese escluso, naturalmente). Da anni e anni, i keynesisti predicano che il Pil è roba superata, troppo quantitativa, insopportabilmente premiante gli Stati Uniti e i Paesi mercatisti, mentre invece a contare dovrebbero essere indicatori di armonia e benessere sociale, minor dispersione dei redditi, tutela ambientale, trattamento dei malati e via almanaccando. Naturalmente, l’Europa finirebbe in testa o quasi, ragionando così. Perché il PIB – il prodotto interno di benessere – inevitabilmente alzerebbe la media di chi ha più Stato nell’economia. Da liberista, faccio presente che anche nel PIL attuale tanto odiato lo Stato è purtroppo iperpremiato, visto che più sono numerosi i dipendenti pubblici e più sono pagati, più il PIL nominalmente cresce, anche se tutto ciò si risolve quasi sempre in crowding out del risparmio privato e nell’abbassamento generale di produttività. Ma di qui ad adottare un criterio per il quale spesa pubblica=civiltà, posso solo sperare che la comunità degli statistici resista con la forza e le barricate.
Caro Oscar,
condivido spesso quello che Lei scrive su questo blog, ma non questa volta. Mi pare che liquidare la rozzezza con cui è calcolato il PIL come un “falso problema” non renda merito alla finezza dei ragionamenti che quasi sempre ci propone su queste pagine.
Che il PIL, in crescita continua da sempre, non rispecchi oggi, ed a partire dagli anni ’70, le condizioni di benessere della società è un fatto che prescinde dalle ideologie di destra o di sinistra, liberiste o stataliste, dalla sanità pubblica o privata, dal capitalismo o dal comunismo.
Semplicemente il modo con cui viene calcolato che è nello stesso tempo la forza e la debolezza di questo indicatore, pur con gli ammodernamenti, non è in grado di cogliere le non trascurabili correlazioni fra consumo e peggioramento della qualità della vita a cui assistiamo tutti i giorni. La benzina consumata in due ore di coda per recarsi al lavoro tutti i giorni, per fare un esempio classico, in quale modo può essere considerata un aumento del benessere? Non sarebbe forse meglio che al lavoro ci si andasse in dieci minuti, magari in bicicletta ?
Il fatto che dei vari indicatori proposti in alternativa o in affiancamento non se ne sia fatto di nulla (anche per difficoltà oggettive di calcolo) non dovrebbe portare a lasciare il problema insoluto.
Le rinnovo in ogni caso i miei complimenti per il blog, che leggo con assiduità
Ma come si calcola, cito “armonia e benessere sociale?”.
Ogni tipo di soggettività è ok?
O è solo quella che verrà considerata “giusta”?
Scusate, ma se non erro pure nell’Unione Sovietica ne erano certi di avere un benessere straordianrio, calcolato proprio con i trucchi tipo “l’asilo nido gratis” o “biglietti ferroviari a basso costo”.
Mi fa paura più del calcolo attuale del PIL (che vi assicuro qualcosa di molto fondamentale mostra, basta fare un giro del mondo, anche in meno di 80 gg).
Piuttosto re-difinerei le regole usate(?) dalle agenzie di rating(quelli che davano un AAA a qualche fondo…)