Il Don Quijote del Gennargentu con il vezzo del capitalismo facile
Oltre trent’anni di monopolio pubblico dell’energia ha consegnato all’Italia degli anni Novanta prezzi elevati, infrastrutture inadeguate e un significativo deficit energetico. Con la liberalizzazione dello scorso decennio e l’unbundling della rete, la potenza installa è cresciuta tanto da superare la domanda e gli investimenti per lo sviluppo di infrastrutture energetiche lineari sono quadruplicati.
Lungo questo cammino, però, si incontra l’infelice scelta del legislatore costituzionale di collocare l’energia tra le materie a competenza concorrente. L’attuazione dell’articolo 117 della costituzione pare coincidere con un’inversione di tendenza rispetto al decennio di liberalizzazioni trascorso. All’espansione della regolamentazione e della burocrazia verificatasi in tutta Italia, si aggiunge ora, in Sardegna, Regione a statuto speciale, il prepontente ritorno al capitalismo di stato, rectius, di regione.
Capita così che Ugo Cappellacci, presidente della regione, dopo aver intimato le capitanerie di porto di non rilasciare alcuna autorizzazione per la realizzazione di impianti eolici off-shore, dichiari: “tramite una nuova SpA interamente a capitale pubblico, la Sardegna Energia, che si occuperà non solo dell’eolico ma di tutte le energie rinnovabili. Ringraziamo tutti gli imprenditori che volevano realizzare delle strutture in Sardegna, ma riteniamo di poter fare da soli. Abbiamo deciso di opporci a quelli che qualcuno ha definito i signori del vento”.
Con un fendente, quindi, si vieta la realizzazione di impianti off-shore per lo sfruttamento di una delle fonti rinnovabili più efficienti, con un affondo ancor più deciso finisce il libero mercato, preannunciando una sorta di regionalizzazione della produzione di energia da tutte le risorse rinnovabili.
Ai proclami si accompagnano delibere del medesimo tenore. La prima delle tre delibere approvate ad essere pubblicata la scorsa settimana dà mandato “al Direttore generale dell’Area Legale affinché, con il supporto degli uffici regionali interessati, vengano adottati, in riferimento alle richieste presentate attualmente alle Capitanerie di Porto di Cagliari e Oristano, tutti gli atti tesi a contrastare la realizzazione degli impianti eolici off-shore nel mare antistante le coste della Sardegna e, nell’immediato, ad inoltrare alle competenti autorità statali apposito atto di significazione del radicale dissenso della Regione sulle predette iniziative, con contestuale diffida dal rilascio di provvedimenti autorizzatori al riguardo”.
Le altre due, pubblicate solo ieri, annunciano la costituzione con legge della Società Sardegna Energia Spa, soggetto a partecipazione interamente pubblica, cui sarà riservata la partecipazione al processo di produzione di energia da fonte eolica, “attraverso enti strumentali o societari a capitale interamente pubblico”. Un angolo di libera iniziativa economica è conservato ad uso però di coloro che svolgono direttamente l’attività agricola”, liberi di installare esclusivamente impianti fotovoltaici sopra la superficie delle cosiddette “serre fotovoltaiche effettive”, ossia “quelle con una capacità agricola adeguata, che vincoli il terreno sottostante ad una produttività agricola superiore a quella del campo aperto e per cui è verificabile il livello minimo dell’illuminazione media (≥75%)”.
La proposta pare in totale contrasto con le libertà di iniziativa economica che trovano un addentellato specifico con riferimento alla produzione di energia da fonti rinnovabili nel d.lgs. 387/03 e nel d.lgs. 79/99, e ancor più si pone di traverso al perseguimento degli obiettivi che l’Italia ha assunto in sede europea per la copertura del 17% del fabbisogno di energia attraverso impianti da fonti rinnovabili entro il 2020.
Quel che più preoccupa è la convergenza in queste policy di fattori a radice autarchica, di tipo statalista ed a vocazione antiecologista, mentre l’interesse cedente è in questo caso la libera iniziativa economica diretta alla promozione di energia pulita. Il salto all’indietro è ancor più evidente se si volge la memoria ai primi anni Novanta, quando proprio il settore delle rinnovabili era stato il primo fronte della liberalizzazione della produzione energetica.
Onestamente,
considerato che la Sardegna produce energia, la rivende e ha le bollette più alte d’Italia; che la Sardegna è costretta da anni a una condizione di inferiorità per ragioni squisitamente politiche, era l’unica soluzione. Non liberista di sicuro, ma i sardi sono stufi
Capisco i vostri timori riguardo una politica statalista, ma il problema esiste ed è reale: innanzitutto gli impianti eolici off shore che si vorrebbero costruire, sarebbero posizionati a poche miglia dalla costa, determinando un inevitabile danno per una regione che vive di turismo, tutt’altra cosa sarebbe se questi impianti fossero posti in alto mare; in secondo luogo bisogna tenere presente che il libero mercato in questo ambito pecca di una regolazione seria che pone sia le amministrazioni pubbliche, sia i privati, di fronte a contratti convenienti solo per chi gli fa (i quali nella maggior parte dei casi fanno solo da intermediari, con le aziende che andranno a gestire e costruire gli impianti, soprattutto nel caso del fotovoltaico). Infatti molti di questi contratti, e ne parlo per esperienza personale, sono formalmente ineccepibili, e in teoria economicamente validi, ma mancano di alcuni dettagli che persone che non sono del mestiere, sono la maggioranza, non si accorgono neppure che esistano. Uno di questi è la generale mancanza della previsione dello smaltimento di questi impianti a fine ciclo produttivo; in molti casi si parla di 20 anni di contratto (riguardanti il diritto di affitto o di superficie), e si dice anche che dopo i 20 anni l’impianto potrà divenire di proprietà del proprietario del terreno o del fabbricato, che diverrà proprietario di un rifiuto speciale da smaltire a sue spese, che in molti casi potrebbero superare gli introiti dati dai 20 anni di affitto; qualora poi non si preveda questa ipotesi, chi assicura il proprietario, trascorsi i 20 anni e data la possibilità che la titolarità del diritto di superficie sia passata di mano in mano, che la società acquirente finale di tale diritto, alla scadenza del contratto si occuperà dello smaltimento, o invece non fallisca prima?