6
Feb
2014

Il dito, la luna e il mercato elettrico

Ieri la discussione italiana in tema di energia è stata agitata da un emendamento fantasma, che avrebbe posto fine al regime di “tutela” per i consumatori domestici e avrebbe privatizzato il Gme (Gestore dei mercati energetici). Come spesso accade, si è discusso molto del dito e poco della luna.

La questione è complessa e va affrontata sia sotto un profilo di metodo, sia sotto uno di merito.

Il metodo: l’emendamento circolato ieri (e mai presentato) è discutibile sotto molti punti di vista. Ma, al di là delle tecnicalità, il punto rilevante è che questa operazione implica un vasto ridisegno del mercato elettrico italiano e delle forme di tutela dei consumatori. Un emendamento a una norma omnicomprensiva come il decreto Destinazione Italia, che peraltro in materia energetica contiene misure di rara confusione e incoerenza, rischia di dare la sensazione di un intervento maldestro. Una riforma del genere merita, insomma, un respiro più ampio. Paradossalmente, proprio l’apertura di una discussione in materia crea le condizioni per trovare questo respiro.

Il merito investe almeno due ambiti differenti. Non credo che le soluzioni proposte dall’emendamento siano le migliori, ma certamente i problemi identificati sono concreti. Poiché l’emendamento formalmente non esiste, vale la pena guardarli dritti negli occhi. Uno riguarda la tutela dei consumatori; l’altro la governance del settore elettrico.

Attualmente è in vigore un regime fintamente “transitorio” che consente ai consumatori domestici e piccole imprese di scegliere se acquistare l’energia sul libero mercato, oppure restare coperti dalla “maggior tutela”. Nel primo caso, esattamente come per il telefono fisso o mobile, ciascuno può scegliere il suo fornitore e sottoscrivere un contratto a condizioni anche molto diverse (offerte flat piuttosto che prezzi variabili, sconti e promozioni, ecc.). Nel secondo, le condizioni di vendita vengono fissate dall’Autorità per l’energia e un soggetto pubblico, Acquirente Unico, è incaricato di provvedere agli acquisti sui mercati all’ingrosso “a condizioni vantaggiose” per i consumatori.

Ora, a 15 anni dall’apertura del mercato, questo meccanismo appare anacronistico e in buona parte obsoleto. Non vale l’argomento che il consumatore “non è maturo”: nessuno può imparare a nuotare, se non gli vengono tolto i braccioli. Neppure vale l’argomento che “il numero è potenza”: se si confrontano i prezzi di cessione Au col Pun (il prezzo di borsa), si evidenzia sistematicamente un delta positivo, anche se molto variabile, che nel 2013 cubava complessivamente quasi 500 milioni di euro. Anche nel 2014, stando ai primi movimenti, sembra che le cose andranno in modo molto simile.

La ragione è che un soggetto pubblico come Au è fortemente vincolato nei suoi comportamenti. Da un lato esso controlla una fetta rilevantissima della domanda (nel 2013, serviva 26 milioni di clienti per un consumo totale pari a circa 70 GWh, ossia poco meno di un quarto dei consumi totali), e dunque ogni suo movimento ha effetti immensi sul mercato. Dall’altro lato deve agire in modo prudenziale: a differenza di un normale trader, è sottratto al rischio di fallimento, dunque l’unica alternativa all’azzardo morale è l’eccesso di cautela. 

Come uscirne? La risposta “a tendere” è banale: il consumatore italiano è ormai pronto a gestire da sé i suoi consumi elettrici. Esattamente come in altri servizi “pubblici”, quali la telefonia e la televisione, riteniamo che sappia scegliere il fornitore più adatto e l’offerta più conveniente, anche nel caso dell’energia non c’è ragione di avere una visione diversa. E’ insomma il momento di fissare, a partire da una qualche data non troppo nel futuro (1 gennaio 2015?) lo switch off totale per i consumatori elettrici, come del resto proponevamo l’anno scorso nel Manuale delle riforme. Le modalità sono varie, e non necessariamente passano per la scelta di lasciare i consumatori “captive” del loro fornitore storico: per esempio, IBL aveva tempo fa suggerito di “privatizzare” Acquirente unico attribuendone le quote (in forma di cooperativa) agli attuali clienti tutelati (o, meglio, suddividerlo in un numero di cooperative di acquisto più piccole, secondo la stessa procedura). In tal modo, una massa oggi indistinta e inerte di consumatori potrebbe essere “svegliata” e messa in moto, creando più competizione nel mercato dal lato della domanda e ponendo le premesse per una riduzione delle bollette. La stessa funzione dell’Autorità di fissare dei prezzi di riferimento andrebbe lasciata cadere, anche perché, come ha evidenziato il Consiglio dei regolatori europei:

regulated end-user prices distort competition and harm the development of retail markets, so they should be removed as soon as possible by creating a roadmap towards free markets.

Insomma, il superamento dell’attuale regime è in qualche modo dovuto. Se questo è vero, allora è pure necessario riflettere sulla governance che si è venuta a creare nel settore, con una moltiplicazione di enti e soggetti non sempre pienamente efficienti che, secondo quanto documentato ieri da Sergio Rizzo sul Corriere della sera, hanno visto lievitare i propri costi. Tra questi enti, Gme – che gestisce il mercato all’ingrosso per l’elettricità e altre commodity energetiche e ambientali – rappresenta senza dubbio un esempio di eccellenza. In tale cornice può aver senso immaginarne, nell’ambito di un riassetto complessivo, anche una fuoriuscita dal perimetro pubblico. Tipicamente i gestori delle piattaforme energetiche europee sono soggetti privati, che hanno nel proprio capitale attori energetici (in particolare operatori di rete), banche o altri soggetti finanziari, o soggetti specializzati nella gestione di piattaforme borsistiche (l’esempio più ovvio è Nasdaq, azionista della borsa elettrica britannica). Naturalmente, come sempre quando si gestisce il passaggio dal settore pubblico a quello privato, occorre mettere la testa sulle “condizioni al contorno”, in particolare le modalità di remunerazione, che dipendono da scelte regolatorie e, in senso molto lato, politiche. (Istruzioni su come si fanno le privatizzazioni: qui). Non si tratta, cioè, di una decisione da prendere al volo, ma di un percorso da costruire a valle del quale, se si compiono i passi giusti, possono esserci benefici diffusi da raccogliere.

In sostanza: l’emendamento di ieri ha scatenato una tempesta, et pour cause visto che decisioni del genere è meglio non prenderle alla chetichella. Il diavolo sta nei dettagli mai come in questi casi. Ma il problema c’è, e se questa è un’occasione per metterlo finalmente sotto i riflettori, ben venga.

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2 Responses

  1. Pier Luigi Caffese

    Stagnaro dice alcune cose ma non afferra il bandolo che è il costo al MWh dell’energia italiana.Qui il Governo deve decidere perchè ci sono in ballo 720.000 posti e 125 miliardi annuo di fatturato ed una diminuzione dell’import fossile che deve farsi per forza perchè ogni miliardo in meno di import sono 20.000 posti in piu’ e se riduciamo di 40 miliardi l’import gas-carbone sono 800.000 posti.Il Governo deve sceglire in energia un basso costo al MWh con alto numero di posti e questa scelta si chiama decarbonizzazione ed innesca 3 milioni di posti in industria.Regina quando parla di riduzione costo elettrico,dovrebbe dire come la fa.Il Governo oggi ha 2 piani:il piano gas Eni che comporta 50.000 posti annui in meno ed un costo sui 100 euro il MWh ed un 2° piano acqua energia che assicura un costo al MWh di 20 euro cioe’ 5 volte meno del gas importato e fa asssumere 720.000 persone.Stagnaro tra i 2 piani chi sceglie? regina perchè appoggia Eni se l’acqua è piu’ conveniente.Dopo in italia ci sono gli inetti in energia:cito la Cisl che vuole piu’ carbone e gas(mon capendo niente di posti e decarbonizzazione) e poi Nomisma che vuole il vecchio modello piramidale comandato da Eni-Enel-Terna-Obama ha definito il gas un ponte.Il Senato Usa aumentando la carbon tax lo definisce un gateway drug o porta drogata ma vanno verso rinnovabili,facendole pagare alle fossili.Da noi il contrario.Se producessi a 20 euro a MWh,vado in bolletta a 40 euro a MWh e vedi la ripresa.Se vado a gas a parte che licenzi,produco a 100 euro a MWh che va in bolletta a 200 Euro a MWh e questa è una ricaduta che non porterà mai sviluppo ne posti.Il Mise ha il piano acqua energia ma Assoelettrica pilotata da Eni-Enel non lo vogliono far attuare. Il gas negli Usa è una droga,da noi per Scaroni salva l’Italia ma fa fallire l’industria,Regina e Squinzi consenzienti.

  2. Niky

    Tutto sacrosanto, in teoria. peccato solo che in “itaglia” tutto si tradurrebbe in tangenti a chi tira le fila degli ipotetici “consorzi di acquisto/cooperative AU e aumento dei prezzi dell’energia.
    il consumatore non è pronto per due motivi: il primo è che metà della popolazione paga ancora 150/200 euro per un servizio bancario di base quando il mercato lo offre praticamente gratis senza parlare di numerose altre “rapine” perpetrate dal mercato dei servizi ai danni delle persone più anziane. L’altra metà è stufa di dover lottare tutti i giorni e per qualsiasi cosa per evitare di spendere cifre che sono comunque il doppio o il triplo di quello che erano quando c’era una forma di tutela. In pratica si sta richiedendo un lavoro maggiore a chi è in grado di farlo con la certezza che ci andrà a perdere. Suggerirei, per non trovarsi ancora a dover perdere referendum come quello sull’acqua potabile, a studiare migliori meccanismi per stimolare una reale concorrenza. Prima di buttare nelle mani di un mercato “itagliano” sempre drogato da cartelli, politicanti e tangenti dimostriamo con i fatti che è possibile finire nelle mani del mercato senza necessariamente spendere il doppio o il triplo di prima. Sviluppiamo sistemi di confronto tra offerte comprensibili ai più… A questo punto coloro che oggi stanno nell’AU ne usciranno di spontanea volontà senza bisogno di leggi. Io ad oggi sto “tutelato” perchè questa purtroppo è la migliore scelta che il mercato mi offre senza costare un euro a nessuno. Io perseguo al meglio il mio interesse e ciò mi sembra logico.

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