Il dito della burocrazia, la luna delle norme
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Luigi Olivieri (ieri, per errore, era stato pubblicato al posto di questo un vecchio post di Olivieri. Ci scusiamo con l’autore e i lettori per l’errore).
Il dibattito sulla “lotta alla burocrazia” di questi mesi dà la sensazione che i problemi dell’amministrazione italiana possano combattersi, se non esclusivamente, prevalentemente mediante nuove regole sul reclutamento della dirigenza. Si conferma la tendenza alla “personalizzazione” dei problemi, nella convinzione che “cambiando allenatore, la squadra migliori”.
Indubbiamente il problema della selezione e soprattutto valutazione dei vertici si pone, ma se il tema è la “burocrazia che opprime”, questo non basta.
Occorre non confondere i significati delle parole. Spesso, per “burocrazia” si intende il complesso degli organi amministrativi degli enti; in questa accezione, si finisce per far coincidere il problema organizzativo con il tema della selezione dei vertici. Di “burocrazia” c’è, però, un’altra accezione: il complesso delle norme, adempimenti e strutture che impongono a cittadini ed imprese adempimenti e procedure.
Il tema che davvero interessa il sistema sociale ed economico pare proprio sia il secondo, mentre il primo ne dovrebbe essere soltanto un corollario. Ciò che auspicano i cittadini è semplificazione, meno adempimenti, individuazione delle responsabilità, contatti più facili e diretti.
Allora, sotto questo aspetto, la norma che più di tutte interessa è la legge 241/1990, da molti conosciuta come legge “sulla trasparenza”, mentre, invece, è la norma fondamentale di regolazione dei procedimenti amministrativi, cioè delle modalità con le quali l’amministrazione agisce.
Pochi essenziali ritocchi a tale norma e al complesso delle altre che vi accedono (il testo unico sulla documentazione amministrativa, il codice dell’amministrazione digitale) potrebbero essere il vero passo verso una riforma utile.
Alcune proposte si possono immaginare. Il problema del “contatto” tra cittadini e PA. Troppe norme lo rendono complesso, persino nell’era di internet, perché si pretende la Pec o la firma digitale come veicolo o come accertamento ex lege dell’identità dell’interlocutore.
La PA vista come “servizio” non dovrebbe essere diversa da un’azienda che fa e-commerce, nell’ambito del quale l’identificazione del cliente avviene con una scheda di autenticazione, l’indicazione della casella di posta elettronica, la generazione di user id e password per accedere alla piattaforma e l’utilizzo della carta di credito per i pagamenti. Non si vede perché non si possa agire in questo modo anche nei rapporti col pubblico.
Allo scopo, sarebbe necessaria una modifica a 180 gradi dell’approccio operativo: non più l’amministrazione che decide, “formando” il titolo giuridico, bensì il privato che comunica di aver già da sé formato tale titolo (nulla osta, concessione o qualsiasi atto di assenso a prescindere dal nome), allegando la documentazione a comprova e necessaria per la sua costituzione. Poiché l’atto finale dell’amministrazione, se fosse essa ad agire, dovrebbe scontare l’imposta di bollo, allo scopo, per accertare l’identità, sarebbe sufficiente una mail anche ordinaria accompagnata dalla copia scansionata del documento di identità e del pagamento di una somma pari al bollo, comprensiva, se imposto dalla legge, di spese per “diritti”. Laddove il contatto possa avvenire su una piattaforma internet, l’autenticazione avverrebbe utilizzando user id e password: gli allegati informatici potrebbero essere caricati nel sistema tramite upload appositamente previsti.
In quest’ottica, del resto già in parte attivata con la Scia (segnalazione certificata di inizio attività) in ambito commerciale ed edilizio, l’attività dell’amministrazione cambia totalmente: da funzione di autorizzazione preventiva, passa a controllo successivo della regolarità effettiva dell’attività intrapresa.
Il punto debole della Scia è la delimitazione di un tempo breve (60 giorni) entro il quale l’amministrazione può effettuare le verifiche, decorso il quale i suoi poteri di intervento si trasformano in “autotutela”, cioè revoca o annullamento del titolo prodotto dal privato. Cosa che limita fortemente i poteri e l’efficacia dei controlli.
Modificando, invece, il sistema, alla pubblica amministrazione, che passerebbe da un potere autoritativo “bloccante” ad un potere di controllo volto a garantire concorrenza e correttezza, dovrebbe essere consentito di controllare e provvedere su avvii irregolari delle attività in ogni tempo.
Si può obiettare che, in questo modo, si spingerebbero i privati ad avvalersi di “canali” privati di consulenza o formazione dei documenti; col pericolo di un rapporto perverso-corruttivo tra PA e questi “intermediari”.
E’ possibile rimediare attribuendo alla PA ancora alcune funzioni di natura “preventiva”. Una prima funzione potrebbe essere la consulenza: il cittadino e l’impresa si rivolgono alla PA per verificare con gli uffici competenti la regolarità e la completezza dei passi compiuti o da compiere, chiedendo anche ispezioni preventive. Il tutto, gratuitamente.
Una seconda funzione potrebbe essere ancora più importante: l’attribuzione, da parte del privato, alla PA di un mandato a procedere per suo conto a gestire e concludere la pratica. In questo caso, sarebbe necessario prevedere esclusivamente i rimborsi delle spese documentate.
In quest’ultimo caso, il privato dovrebbe poter contare sull’assenza della necessità di controlli successivi sulla regolarità dell’avvio della propria attività.
Tale riforma dell’approccio consentirebbe di rendere anche più facile la valutazione dell’azione della PA. Infatti, si potrebbero misurare semplicemente la facilità dei contatti telematici, la quantità e qualità dei controlli sulle pratiche, l’efficacia e qualità dell’azione di consulenza. Nel caso, poi, del mandato, PA e privato stipulerebbero reciproche obbligazioni, negoziando i tempi di conclusione del processo, sì da poter misurare l’efficienza dell’amministrazione procedente, anche in termini di rispetto delle obbligazioni assunte, con piena assunzione di responsabilità civile per danni arrecati nel caso di cattiva gestione.
Insomma, si tratterebbe di un semplice sistema che avvicina i rapporti pubblico-privato agli ordinari rapporti di diritto comune, nel quale l’amministrazione presta un servizio e non è più un ostacolo, con maggiore facilità del controllo dei risultati. Occorre chiedersi se sia questa davvero la sfida che gli interventi sulla “burocrazia” intendono vincere.
Un bel sogno…
Non condivido
Non condivido che potrebbe portare alla corruzione fra intermediari e PA, perché gli intermediari sarebbero in concorrenza, la corruzione esiste adesso col potete dei funzionari di bloccare (e di chiedere mazzette).