Il decreto del fare, Artt. 18 e 20-27 – Infrastrutture
Le disposizioni in tema di infrastrutture contenute nell’ormai famigerato “Decreto Fare” sono numerose. Al “rilancio delle infrastrutture” è dedicato l’intero capo III del titolo I, in cui trovano collocazione tutte le disposizioni denominate “misure per la crescita economica”. Vi si rinvengono molteplici formule normative che, secondo la tecnica della novellazione, vanno ad incidere qua e là su diverse discipline già esistenti. In tale contesto, il legislatore d’urgenza si occupa di strade, autostrade, ferrovie, metropolitane, porti, scuole e altri edifici pubblici, intervenendo più o meno estesamente su svariati aspetti sia di carattere formale che sostanziale.
Tali disposizioni, in assenza di un disegno organico di fondo, appaiono disordinate e frammentarie, ma risultano ugualmente accomunate dal medesimo approccio di politica infrastrutturale, in cui si ritrovano grosso modo compendiati tutti i principali pregiudizi esistenti in materia.
Il primo pregiudizio, palese fin dalla stessa collocazione della normativa in esame, consiste nella generale convinzione che il rilancio delle infrastrutture dipenda essenzialmente dall’ammontare degli stanziamenti statali. Come si evince chiaramente dall’art. 18 con si apre il pacchetto infrastrutturale e via via da altre disposizioni seguenti, obiettivo principale è quello di reperire risorse da convogliare al settore tramite la costituzione o il finanziamento di fondi pubblici destinati a sostenere l’avvio di nuovi lavori o la prosecuzione di lavori fermi per mancanza di liquidità. Eppure il deficit infrastrutturale esistente non rappresenta in primo luogo un problema di finanza pubblica, ma di regole. Se i cantieri sono bloccati si deve soprattutto alla mancanza di un contesto normativo stabile e chiaro, idoneo a minimizzare gli oneri burocratici e i ritardi amministrativi legati ai procedimenti autorizzativi che fanno notevolmente aumentare i costi finali di realizzazione delle opere pubbliche in Italia non soltanto in termini economici ma anche morali. Su questo punto, però, non sembrano essere stati presi provvedimenti adeguati.
Altra credenza che non trova riscontro nei fatti e pur tuttavia è fatta propria dal Decreto risiede nella necessità della pianificazione statale delle opere infrastrutturali prioritarie. Una simile concezione, spesso condivisa peraltro anche dalle istituzioni comunitarie, deriva dal bisogno reale di evitare la dispersione delle risorse stanziate a livello centrale in tanti micro interventi locali di carattere clientelare ma, ben lungi dal conseguire la finalità auspicata, finisce con l’alimentare le distorsioni allocative anziché limitarle. In tale modo, si concentrano nelle segrete stanze romane i conflitti per l’assegnazione dei finanziamenti a scopi elettorali, aumentando il distacco esistente fra la domanda di infrastrutture presente sul territorio e il livello decisionale del loro approntamento. Per evidenti motivi epistemologici, l’elencazione legislativa delle priorità di intervento senza una preventiva analisi dei costi e dei benefici delle diverse opzioni non è strutturalmente in grado di sostituire meccanismi di mercato (o analoghi come la finanza di progetto) nell’individuazione delle effettive necessità di dotazioni infrastrutturali. Le liste di opere di cui allo stesso art. 18 (sblocca cantieri) e ai decreti ministeriali di cui all’art. 20 (nell’ambito del piano nazionale di sicurezza stradale) non fanno eccezione. Meglio sarebbe stato operare una delega alle Regioni al riguardo, in un quadro regolatorio volto ad ancorare le scelte di finanziamento a serie valutazioni economiche.
Tabù lasciato intatto dalle misure in esame è anche quello della regolazione delle infrastrutture di trasporto. Dell’entrata a regime dell’Autorità dei Trasporti non c’è traccia. Pensare che il settore si possa risollevare prescindendone non è certamente un buon segnale. Certo, all’art. 24, non mancano provvedimenti utili in materia di separazione contabile e definizione degli obblighi di servizio pubblico per il trasporto ferroviario regionale; all’art. 25, è prevista l’individuazione del personale pubblico destinato all’attività di vigilanza e controllo sui concessionari autostradali presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti; e poi, per il resto, sono introdotte diverse ragionevoli semplificazioni e (almeno potenziali) riduzioni di imposta in vari comparti. SI avverte però avverte la mancanza della volontà politica di portare a termine il completamento della regolazione indipendente dei mercati avviato, seppur fra mille tentennamenti, dal Governo Monti. Senza un’Authority operativa anche a presidio dei trasporti, gli obiettivi espansivi prefissati non sono praticabili: troppi sono ancora i conflitti di interesse che ostacolano lo sviluppo del settore nella gestione delle reti e dei servizi.
Com’è senz’altro noto al Presidente del Consiglio, il varo dell’Autorità dei Trasporti non è il pallino degli economisti dei trasporti, ma la premessa di cui il rilancio delle infrastrutture ha bisogno.
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