Il crepuscolo del welfare
Riceviamo da Silvano Fait (IHC) e volentieri pubblichiamo.
“La dottrina della necessità di una rete di sicurezza per raccogliere chi cade è svuotata di significato dalla dottrina che attribuisce una giusta partecipazione anche a coloro che sanno benissimo sostenersi da soli.” (The Economist, 15 marzo 1958)
Il Welfare State, nei termini in cui è stato concepito fino ad ora, sta rapidamente raggiungendo il traguardo oltrepassato il quale non sarà più in grado di fronteggiare gli impegni presi con i cittadini e, volente o nolente, sarà costretto a ridiscutere i termini dei benefici già accordati. Questo sia in fatto di pensioni, di sanità che di istruzione (cfr. W. Buiter circa le Unfunded Social Securities Liabilities). Il processo di costruzione dello stato sociale si è sempre basato sul presupposto che qualsiasi intervento da parte dello stato all’interno dell’ordine sociale spontaneo abbia delle ripercussioni di carattere economico senza per questo arrivare ad intaccare quegli aspetti di ordine morale che stanno alla base del progresso di una popolazione. Purtroppo invece, generazione dopo generazione, il sentimento di solidarietà umana che ha spinto alla creazione delle prime reti di protezione, si è trasformato in un grande cumulo di pretese che spesso ognuno di noi rivolge nei confronti della società in relazione a bisogni ritenuti non adeguatamente soddisfatti. Paradossalmente l’incremento del benessere, delle opportunità e degli stili di vita possibili hanno ampliato a dismisura la casistica in cui si ritiene necessario l’intervento “riparatore” da parte di un organismo centrale. Il welfare state induce una fetta non trascurabile della popolazione ad aspirare a ruoli meramente burocratici, ma dotati di ampio potere discrezionale, e a competere non per il miglioramento della propria posizione ma per l’accaparramento di benefici e sussidi in modo quasi clientelare. Questa enorme distrazione di sforzi, oltre ad essere un costo, è il sintomo di un mutamento nei modi di pensare e di agire. Intendiamoci: per molti secoli, anzi forse durante tutta la storia, la vita dei “clientes” e dei lacchè di corte è stata e continuerà ad essere più agiata rispetto a quella della maggior parte degli uomini liberi. Bisogna però essere altrettanto decisi nell’affermare che è stata la mentalità borghese ed imprenditoriale di questi ultimi ad aver consentito l’avanzamento dell’umanità a livelli di benessere senza pari.
La fallacia dei processi redistributivi delle odierne forme di welfare è insita nella concezione statica della società che li sottintende, nella visione circolare delle dinamiche economiche, nella concezione di un agire umano ritmato e prevedibile come il succedersi del giorno e della notte o l’alternarsi delle stagioni. Per questo è possibile considerare il matrimonio tra l’ingegneria sociale e le dottrine socialiste e/o keynesiane come predestinato e inevitabile. La decadenza derivante dalla ripetuta introduzione e modifica di processi redistributivi non è il frutto di una loro eventuale cattiva amministrazione. Viene dal sistematico rifiuto di comprendere che siamo quello che siamo come conseguenza di ciò che siamo stati e che per tanto dirigere coattivamente tutte le nostre energie per la realizzazione di un obiettivo sociale o morale, per lodevole che sia, ci impedirà di declinare per noi stessi il verbo essere al futuro. Ogni avanzamento richiede come prerequisito la possibilità che anche soltanto alcuni individui siano in condizione di tentare di scoprire nuove vie, sopportandone i costi e traendone per sé i massimi benefici, per quanto sproporzionati essi possano apparire agli occhi degli altri.
Potrà sembrare cinico, ma non è grazie alle lotte sindacali se la vostra azienda vi fornisce un’assicurazione sanitaria integrativa, o alle competenze statistiche degli attuari dell’Inail se disponete di un’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. In ultima istanza, è grazie all’avidità di noti e ignoti armatori navali i quali, secoli or sono, pagavano dei “premi” ai comandanti che riuscivano a condurre delle bagnarole di legno da una parte all’altra del Mediterraneo. Costoro, senza né saperlo né volerlo essere, furono i pionieri dei meccanismi assicurativi che consentono oggi di ripartire i rischi e soddisfare bisogni di natura sociale e previdenziale. Ed è altamente probabile che all’epoca questi individui rimanessero antipatici né più né meno come oggi generano forme di risentimento le persone che accumulano fortune con successo. L’imprenditore, nell’accezione che la scuola liberale viennese dà a questo termine, vede. Il burocrate, nel migliore dei casi, guarda e imita. Per natura e per mancanza di stimoli, non è votato all’innovazione.
Spesso alcuni citano la Svezia e i paesi scandinavi come modelli. E spesso chi cita la Svezia ha una pessima opinione, ad esempio, della tranquilla e benestante Svizzera, assimilandola ad un rifugio di pirati. Una specie di Tortuga con le Alpi intorno. Pochi però si soffermano sul fatto che la Svezia e gli altri paesi nordici erano già tra i più ricchi al mondo prima che Lord Beveridge concepisse l’idea di uno Stato che assiste gli individui dalla culla alla tomba. E lo erano diventati grazie ad un lungo periodo di pace, libero commercio, e infrastrutture giuridiche idonee a tutelare la proprietà ed i contratti. Tutti i sistemi di protezione sociale hanno necessariamente bisogno di un’economia sottostante forte e dinamica da cui estrarre le risorse. Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia sono nazioni che spesso primeggiano in fatto di libertà economica, burocrazia snella, efficienza nell’amministrazione della giustizia civile e commerciale, trasparenza, bassa corruzione. Fattori non sempre rintracciabili all’interno di macroagreggati come il prodotto interno lordo, ma in grado di compensare il gap fiscale che li separa dai maggiori paesi dell’Europa continentale e mediterranea. Per un approfondimento sui paesi scandinavi invito a leggere alcuni articoli del Mises Institute: The Scandinavian-Welfare Myth Revisited (http://mises.org/daily/4146), The Sweden Myth (http://mises.org/daily/2259), How The Welfare State corrupted Sweden (http://mises.org/daily/2190).
Se la crisi dei debiti sovrani non sarà l’occasione per ridimensionare e riconfigurare il ruolo dello Stato nell’economia, rimettendo gli individui sulla retta via dell’autoresponsabilizzazione, l’Occidente, con il suoi futuro ipotecato, finirà per apparire al resto del mondo (paesi emergenti in testa) come Versailles appariva al resto della Francia: parassita e rentier. Le proteste greche, caratterizzate da una certa dose di violenza urbana, sono riuscite nel giro di pochi mesi a mandare a picco il fatturato dell’unico settore, quello turistico, immediatamente offribile sul mercato. Senza nulla togliere al diritto di rimostrare contro la propria classe politica, spiace constatare come chi non debba mai fronteggiare costi, ricavi e clienti perché paga pantalone, abbia difficoltà a capire il danno che l’estremismo barricadiero ha inferto alla società greca e che potrebbe inferire al resto d’Europa. Parallelamente a questi eventi, i processi di negoziazione interni alla Unione Europea legati al bail out dei debiti sovrani cominciano a far emergere in maniera strisciante piccole forme di miope ed incivile nazionalismo che altrettanto ingenuamente si pensa di sconfiggere conferendo maggiori poteri decisionali alle strutture centrali dell’Unione. L’Europa non ha certo bisogno di cominciare a coltivare nuovamente discutibili “sentimenti collettivi” di natura pseudo sciovinista, la cui origine deriva da una scarsa definizione e percezione delle proprie responsabilità e dei propri doveri individuali. La totale incapacità di reinventarsi o di immaginare un futuro che non consista semplicemente in una lenta agonia dello status quo è un danno peggiore, per le nuove generazioni, rispetto a quello derivante da qualsiasi dissesto delle casse pubbliche. E questa rischia di essere l’amara eredità di una società al tempo stesso timorosa dei mutamenti necessari a rinvigorirne la crescita ed incapace di reimpostare le proprie reti di protezione sociale.
Shumpeter e Hayek prefigurano la fine del capitalismo a causa del suo stesso successo. La ricchezza da questo prodotta incrementa le istanze redistributive ed egualitarie fino al punto in cui il sistema si sclerotizza e poi collassa. Agli individui non resta che combattere per dividersi le fette di una torta che diventa via via più piccola. Perché ciò non si verifichi è necessario cominciare ad immaginare una società più libera, fatta di uomini, donne e famiglie che collaborando e competendo tra loro soddisfano, nei limiti della natura umana, i rispettivi bisogni. Dalla culla alla tomba.
ma esiste il verbo inferire ? non è più corretto infliggere ?
cito:
“la Svezia e gli altri paesi nordici erano già tra i più ricchi al mondo prima che Lord Beveridge concepisse l’idea di uno Stato che assiste gli individui dalla culla alla tomba. E lo erano diventati grazie ad un lungo periodo di pace, libero commercio, e infrastrutture giuridiche idonee a tutelare la proprietà ed i contratti. Tutti i sistemi di protezione sociale hanno necessariamente bisogno di un’economia sottostante forte e dinamica da cui estrarre le risorse. Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia sono nazioni che spesso primeggiano in fatto di libertà economica, burocrazia snella, efficienza nell’amministrazione della giustizia civile e commerciale, trasparenza, bassa corruzione”.
domanda:
come mai l’alta tassazione non ha sconvolto queste economie, così prospere prima di convertirsi alla pianificazione sovietica, opsss, intendevo alla realizzazione di una estesa rete di servizi pubblici statali sostenuti da una elevata pressione fiscale? la dimensione degli stati scandinavi rimane rilevantissima, è la qualità che fa la differenza. date al mercato quel che è del mercato e allo stato ciò che è dello stato.
Caro William, in realtà le economie e le società dei paesi nordici sono state pesantemente danneggiate dal welfare state. Non solo dalla tassazione, ma anche dallo sviluppo di una fitta rete di burocrazie di Stato. Non a caso hanno perso molte posizioni e, negli ultimi vent’anni, sono anche state costrette a fare qualche retromarcia.
La loro fortuna è consistita nel loro avere sposato un modello di politica industriale di Stato: niente Iri e nessun modello renano, insomma, per le imprese private svedesi.
Noi invece siamo stati statalisti in ogni direzione: e ora ne paghiamo le conseguenze.
E poi, scusami, tu dici:
“date al mercato quel che è del mercato e allo stato ciò che è dello stato”.
Cosa dovremmo dare allo Stato? C’è qualcosa che spetta allo Stato di diritto, e secondo quale diritto? Fissato da chi?
A ben guardare lo Stato (rectius: gli uomini che lo controllano) ha solo ciò che sottrae con la forza al mercato. Ossia ai produttori.
Davvero faccio fatica a comprendere ogni visione astorica del potere contemporaneo, come se Stato significasse solidarietà, come se senza Stato non ci potrebbe essere alcun welfare (a dispetto della biblioteca di studi storici in materia), come se lo Stato fosse sempre esistito e destinato esistere per sempre.
E tutto questo, per giunta, parlando di una statizzazione del welfare che – a essere generosi – ha mosso i suoi e stentati primi passi solo 120 anni fa…
Caro Carlo,
lungi da me qualunque santificazione dello stato. le mie perplessità nascono dal rigetto aprioristico di qualunque ruolo per lo stato, così come propugnato dal libertarismo (di cui, sai bene, sono stato anche un difensore, per un po’ di tempo). credo semplicemente che lo stato abbia assunto determinate funzioni il cui scopo è la coesione sociale proprio perché le stesse, quando esercitate solo dal privato, erano insufficienti e/o incerte e/o eticamente discutibili per il beneficiario (una cosa è dipendere dalla benevolenza di qualcuno, un’altra è ricevere un sostegno impersonale e burocratico, sì, ma che esprime un’idea di convivenza civile basata sulla coesione comunitaria). nelle pensioni pubbliche, nei sussidi alla disoccupazione, nell’assistenza sanitaria pubblica ho sempre visto un’idea di comunità che esce dalla finestra per l’evoluzione della modernità e rientra, più fredda e sistematica, dalla porta dello stato.
però, ehi, non ti arrabbiare!! se vengo su questo blog ogni tanto, non vengo certo per scrivere “…accidenti è proprio così, maledetti sovietici pianificatori pazzi che ci mangiano nel piatto e ci rubano in tasca, e La Pira e Dossetti e i cattocomunisti che ci hanno rovinato e etc etc”. vengo soprattutto per avere risposte a delle perplessità.
aho! avete presentato con l’IBL N. Taleb, ma Taleb ha fatto un monumento agli intellettuali che prendono sul serio l’incertezza. non per niente ha segnalato che in economia ci sono due sole scuole capaci di intenderla in modo serio, e sono l’una l’opposta dell’altra (austriaci e postkeynesiani). ecco. francamente, sul libertarismo, sono un tantino incerto. tutto qui.
un salutone.
A proposito della Svezia e del suo sistema di welfare, ho trovato interessante questo video disponibile su Youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=ENDE8ve35f0
descrive in modo molto semplice e diretto il modo in cui è nato lo stato sociale in Svezia e come le cose stiano cambiando anche lì.
Ciao
Francesco