14
Ago
2014

Il controllo sulle spese dei gruppi consiliari regionali e le tentazioni di populismo giudiziario – Di Rocco Todero

Qualche giorno fa il Corriere della sera on line, accostava il faccione pacioso di Franco Fiorito, assurto alle cronache giudiziarie per l’utilizzo improprio dei fondi pubblici destinati ai gruppi consiliari regionali, alla notizia della pubblicazione di una sentenza della Corte dei Conti a Sezioni riunite (la n. 29/2014) che si sarebbe pronunciata per l’insindacabilità delle spese effettuate dai gruppi consiliari della Regione Emilia Romagna per il tramite dei finanziamenti pubblici ai partiti. Nonostante la cautela dell’autore (Sergio Rizzo) nel commentare la sentenza, la sensazione che, in sintesi, il lettore traeva dal complesso composto dal titolo, dalla foto, dal sottotitolo e da alcuni titoli dei sottoparagrafi che hanno scandito il pezzo (es: “ La norma c’è ma si aggira con la discrezionalità politica”) era quella di un radicale cambio di direzione, quasi un tradimento, rispetto alla consolidata tendenza degli ultimi anni della Corte dei Conti di bastonare sonoramente la classe politica per le spese improprie effettuate con le disponibilità derivanti dal finanziamento pubblico ai partiti.

La materia, va da sé, è particolarmente sensibile, non fosse altro per l’enorme mole di procedimenti penali e di giudizi di responsabilità, promossi dai pubblici ministeri (penali e contabili) per chiamare decine di politici a dare conto e ragione delle modalità con le quali hanno utilizzato i denari pubblici del finanziamento ai partiti, processi i cui esiti, correttamente documentati dalla stampa nazionale e locale, hanno contribuito in magna parte ad alimentare quel fiume in piena dell’antipolitica che non accenna ad arrestarsi.

Ma l’argomento è sensibile soprattutto perché porta alla ribalta una questione forse non proprio commestibile per il cosiddetto “ grande pubblico” ma che, tuttavia, rappresenta un caposaldo dello Stato di diritto, della nostra Costituzione e del pensiero liberale e che, per tale ragione, anche “ il quarto potere” dovrebbe sforzarsi di veicolare adeguatamente a beneficio della coscienza critica di una nazione.

Faccio riferimento alla divisione dei poteri ed al principio cardine del costituzionalismo liberale secondo il quale all’interno dello Stato e della Repubblica ciascun potere deve essere sottomesso alla legge (principio di legalità) e deve agire all’interno di un perimetro dalla legge circoscritto senza invadere gli ambiti riservati alla competenza degli altri poteri. Diversamente lo Stato di diritto di stampo costituzionale regredirebbe a Monarchia assoluta.

Ed è cosi che il potere politico e la pubblica amministrazione devono agire esclusivamente per il perseguimento degli obiettivi fissati dalla legge (ordinaria e costituzionale) e secondo le modalità dalla stessa preordinate in un alveo all’interno del quale l’arbitrio è inammissibile ma la discrezionalità è consentita per assicurare un irrinunciabile margine di autonomia politica e per permettere l’attuazione delle più disparate forme d’indirizzo politico sempre all’interno della legalità costituzionale.

Limitato deve essere anche il potere esercitato dall’ordine giurisdizionale il quale 1) deve tutelare i diritti dei singoli cittadini salvaguardandone un insopprimibile margine di autonomia, 2) deve sanzionare le deviazioni delle condotte del potere politico e della pubblica amministrazione dagli argini della legalità facendosi carico, però, di non travalicare col proprio giudizio, debordando, e di non sindacare le scelte di merito politiche ed amministrative.

Diversamente il potere giurisdizionale da cane da guardia del potere politico e della pubblica amministrazione si trasformerebbe in tutore di soggetti ritenuti letteralmente incapaci di intendere e di volere.

A ciò si aggiunga che se il malcostume del potere politico ed amministrativo di tentare perennemente di sottomettere a sé ogni forma di regola, ogni disposizione di legge, ogni altro “ potere” è di sicuro censurabile, la stessa tendenza messa in atto dal potere giurisdizionale è letteralmente inammissibile e non tollerabile in alcun modo perché foriera di un’irrecuperabile frattura della legalità costituzionale e di una perdita di credibilità del soggetto deputato ad assicurare il rispetto delle regole.

Non si può dimenticare, infatti, che se il politico e l’amministratore sono deviati nelle loro condotte dalla logica del “ potere” che tradizionalmente, infatti, rappresenta il paradigma del loro agire, il terreno d’elezione della loro esistenza, il giudice deve essere guidato esclusivamente dalla logica della giurisdizione, dalla cultura della tutela dei diritti di ciascuno, dall’ossequio rigoroso alle regole. Perché il giudice, a differenza del politico, non lotta per alcunché, se non per il rispetto della legge. Soprattutto non lotta per la palingenesi dei costumi e del mondo intero.

Banalità, ovvietà, stucchevole lezioncina di diritto pubblico, potrebbero dire i più!

Forse. Ma vale la pena verificare se i legittimi dubbi del lettore resistono all’esame della deliberazione della sezione regionale della Corte dei Conti per l’Emilia Romagna 120/2014 (deliberazione poi impugnata innanzi alle sezioni riunite che hanno pronunziato la sentenza n. 29/2014) la quale nel dichiarare irregolari le spese dei gruppi consiliari ne ha letteralmente annientato l’autonomia pretendendo di subordinare il giudizio sulla legittimità degli esborsi alla dimostrazione di una “ stretta necessità” che svilisce, ogni oltre ragionevole esigenza di controllo, il ruolo istituzionale dei gruppi consiliari.

La Corte dei Conti ha preteso la dimostrazione dell’utilità dell’acquisto di una banca dati giuridica, la specificazione delle pubblicazioni acquistate, del relativo numero di copie, dell’indicazione del titolo e dell’autore dei libri acquistati. Ha ritenuto necessaria la dimostrazione che le spese relative a materiali di consumo ( cancelleria, ecc..) si siano rese necessarie dall’indisponibilità dello stesso materiale da parte degli uffici della regione; ha condizionato la legittimità delle spese di viaggio e ristorazione alla dimostrazione dell’occasione, collegata con l’attività istituzionale del gruppo, alla quale tali spese si riconnettano.

In sostanza la Corte di primo grado ha ridotto a zero il margine di discrezionalità dei gruppi consiliari nel determinare come spendere i fondi pubblici ed ha preteso di “imporre” ai gruppi medesimi la nozione di finalità istituzionale della spese percome dalla medesima implicitamente elaborata ma non espressa. In altre parole: è la Corte dei Conti a delimitare la nozione di “ finalità istituzionale” della spese dei gruppi consiliari non già limitandosi a sanzionare una spesa arbitraria, palesemente eterogenea cioè rispetto alla medesima finalità istituzionale, ma sindacando voce per voce, evento per evento, rivista per rivista, copia per copia, se la spesa rientri nelle finalità istituzionali del gruppo politico.

Leggendo la deliberazione di primo grado della corte dei conti si trae la convinzione che bisognerebbe passare il permesso ai giudici per stabilire se rientri meglio nella finalità istituzionale del gruppo consiliare l’acquisto di una copia di una rivista di storia piuttosto che di una di geografia, se siano meglio due copie o forse una sola. Se un convegno sui problemi dell’agricoltura rientri fra le finalità istituzionali del gruppo politico meglio di quello sul traffico selvaggio nelle città ecc… Se le spese di viaggio per partecipare alla presentazione di un libro rientrino fra le finalità istituzionali meglio di quelle utilizzate per recarsi ad uno sciopero di metalmeccanici. Solo i Giudici possono sapere a questo punto cosa sia la “ finalità istituzionale” del gruppo politico.

E’ questo un controllo di legalità? E’ questo un controllo che si limita a sanzionare l’arbitrio ed a rispettare la discrezionalità del potere politico ? E’ un giudizio equo, imparziale, privo di un qualche pregiudizio culturale? E soprattutto: è un giudizio che attribuisce autorevolezza a chi lo emette?

Ecco, allora, che le sezioni riunite, chiamate a pronunciarsi sull’appello presentato da tutti i gruppi consiliari, hanno dovuto, seppur sbrigativamente, riaffermare i seguenti elementari principi di diritto posti a fondamento dello Stato liberale:

  1. Nessun’azione del potere politico/amministrativo può sottrarsi al controllo giurisdizionale sulla base dei parametri della legge e della costituzione;

  2. Anche le spese effettuate dai gruppi consiliari regionali in quanto poste in essere con risorse pubbliche devono di necessità essere sottoposte ad un controllo di legalità tendente a verificare il rispetto del perseguimento delle finalità istituzionali dei gruppi medesimi;

  3. La nozione di finalità istituzionale e di attività politica è naturalmente da intendersi in senso lato, di tal che il controllo deve sanzionare l’arbitrio di spese palesemente disancorate dalle medesime finalità del gruppo consiliare;

  4. Al gruppo politico deve essere riconosciuto un margine di discrezionalità che salvaguardi l’autonomia di alcune scelte di merito che, se rientrano nel perseguimento della nozione di finalità istituzionale da intendersi obbligatoriamente in senso lato, sono insindacabili in ossequio al principio della separazione dei poteri;

  5. L’eccesso di potere giurisdizionale continua ad essere una figura di esercizio illegittimo della funzione giudiziaria.

Un’ultima notazione. La sezione di controllo in primo grado dell’Emilia Romagna ha stabilito che le regole di cui al D.P.C.M. 21 dicembre 2012 introduttive dei criteri cui subordinare la legittimità delle spese dei gruppi consiliari devono essere applicate retroattivamente anche per l’anno 2012 e non già a decorrere dal 2013, devono essere applicate, cioè, per un tempo in cui non erano esistenti all’interno dell’ordinamento giuridico e non potevano orientare le condotte dei gruppi consiliari.

Anche su questo aspetto le sezioni riunite hanno rimesso le cose al posto giusto, riaffermando l’inderogabilità del principio di irretroattività e la cogenza delle regole di cui al D.P.C.M. solo a partire dal 2013.

Anche questa un’ovvietà, naturalmente.

2 Responses

  1. credo che sia assurdo arrabattarsi per far le pulci alla nota spese dei politici, che comunque faranno sempre come vorranno, quando il problema vero sta nel fatto che, senza sussidiarietà, la democrazia rappresentativa è una finzione, che ha già abbondantemente virato in oligarchia:
    http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/tav-il-nodo-delloligarchia-colpevoli-di-difendere-la-nostra-terra-e-i-beni-comuni/
    casomai, diamoci da fare per far evolvere l’ammalorata democrazia rappresentativa, verso la “società partecipativa”.

  2. Roberto

    Egregio,

    Mi permetto di notare che è una notevole analisi che evince la conoscenza della materia…ma è scritto per gli addetti ai lavori,e se il fine del blog è divulgare informazione per i cittadini l’obiettivo purtroppo si è mancato.
    Saluti
    RG

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