Il cinepanettone di Natale (prodotto commerciale o artistico?)
Appena arrivato in sala, il classico cinepanettone natalizio targato De Laurentiis–Neri Parenti ha subito sbancato il botteghino. Stando ai dati Cinetel diffusi il 21 dicembre, in soli 3 giorni, “Natale a Beverly Hills” ha incassato 3,5 milioni di euro (eguagliando il risultato dell’anno scorso, quando il Natale è stato celebrato a Rio). Per darvi un esempio dello strapotere commerciale di De Sica e soci, basterebbe riportare un secondo dato: il film di Pieraccioni (consueto antagonista del Natale di Neri Parenti, ad anni alterni: un anno riposa e un anno esce con un film) ha totalizzato, negli stessi giorni, 2 milioni in meno d’incasso.
Ma fin qui nulla di nuovo. Dove sta l’eccezionalità di quest’anno? Anche il Corriere della Sera, negli scorsi giorni, si è scomodato per criticare la scelta del Ministero di attribuire il riconoscimento di film di interesse culturale e nazionale a “Natale a Beverly Hills”.
In realtà, il 23 dicembre, dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali sarebbe arrivata una smentita ma, salvo colpi di scena, la qualifica dovrebbe essere confermata nei prossimi giorni.
Innanzitutto il bollino di film di interesse culturale e nazionale permette al cinepattone 2009 di essere considerato come film d’essai, e pertanto di essere proiettato nel circuito di sale che offrono film di qualità. Quindi, potenzialmente, una sala d’essai (per assolvere i propri obblighi di proiettare una certa percentuale di pellicole di alto valore artistico) potrebbe offrire, a fianco di un ipotetico futuro film tafazziano di Theo Anghelopulous (con i suoi sonnacchiosi e ormai proverbiali piani sequenza), il novello cinepanettone delaurentiisiano. Ma questo è il meno. Anche se, solo a pensarci, un accostamento di tal sorta farebbe impallidire l’opera più situazionista di un Maurizio Cattelan.
Paradossalmente, rivoltando la frittata, se i multiplex programmano film d’essai (come “Natale a Beverly Hills) anche queste sale potranno avere dei benefici. Come ha spiegato Paolo Mereghetti sul Corsera, «diventare film d’essai vuol dire permettere al cinema che ti programma di ottenere quegli aiuti (fiscali e monetari) che sostengono gli esercenti più attenti e coraggiosi, quelli cioè che dovrebbero dare spazio ai film più difficili, controversi, stimolanti e culturalmente validi».
La cosa che però è stata messa maggiormente in risalto riguarda la possibilità per la pellicola di ottenere, grazie alla qualifica di film di interesse culturale e nazionale, importanti vantaggi economici, sottoforma di sgravi fiscali. Come ha di nuovo evidenziato il Mereghetti (un uomo, un dizionario):
Da qualche mese, poi, questa qualifica è diventata vitale per ottenere i tanto agognati «crediti d’imposta»: per ridare fiato all’industria del cinema senza ricadere nelle sovvenzioni d’antica memoria, sono stati introdotti dei meccanismi di riduzione fiscale (i crediti d’imposta, appunto) capaci di favorire il reimpiego di capitali nella produzione. Ma per evitare che diventassero finanziamenti indiscriminati (e quindi fuori legge), la Comunità europea ha imposto che ne potessero usufruire solo i film di qualità, quelli cioè dichiarati «di interesse culturale e nazionale».
Una norma di defiscalizzazione (che ha trovato anche la nostra adesione) si è così trasformata in un boomerang. Il credito d’imposta, per assolvere in pieno i propri lodevoli compiti, andrebbe applicato in maniera indistinta, giovando a tutti i soggetti che operano nel settore. Solo in questo modo si può cancellare definitivamente il ricorso a Commissioni ad hoc che stabiliscono chi ha diritto (o non ha diritto) ad usufruire di determinati vantaggi. Da una parte, dunque, rimane in piedi il sistema che assegna contributi diretti per la realizzazione di film di interesse culturale o di opere prime e seconde; dall’altra vi è l’aggiungersi di nuove competenze da attribuirsi ad un manipolo di esperti che assegnano i crediti d’imposta ai film meritevoli. Invece che allentare il controllo sul cinema, in questo modo il Ministero lo ha aumentato. E le polemiche, da mensili, diventeranno settimanali (questo di “Natale a Beverly Hills” ne è un esempio).
Come se ne esce? Di sicuro non istituendo una “tassa di scopo” come vorrebbero gli addetti ai lavori. Speriamo che il cosiddetto modello francese rimanga solamente un lontano miraggio. Di tutto abbiamo bisogno tranne che di una nuova tassa (da addossare a chi?).
Definire il “cinepanettone di Natale” un prodotto artistico?
Mi sembra una cosa totalmente fuori luogo pensare, anche solo lontanamente, che questa tipologia di film possa rientrare nel concetto di film artistico.
Ad ogni modo, a prescindere dal riconoscimento di film di interesse culturale, credo non sia accettabile che film come quelli dell’accoppiata De Laurentiis-Neri Parenti percepiscano ogni anno un contributo statale automatico sugli incassi. Se si guarda la relazione sull’utilizzo del FUS (riferita all’anno 2008 – http://www.cinema.beniculturali.it/attività/relfus/2008/7_Le%20attivita_cinematografiche_2008_def.pdf, p, 257) è scritto chiaramente che “Natale a New York” ha ricevuto quasi 2,5 milioni di euro dallo Stato e “Natale in crociera” poco più di 1 milione.
“NATALE A BEVERLY HILLS – Neri Parenti – FILMAURO – Punteggio: 60 (23 – 8 – 15 -14)
Un donnaiolo, abbandonato a Los Angeles dall‟anziana signora che lo manteneva, si imbatte in una sua ex fiamma che aveva lasciato anni addietro quando scoprì che era incinta. Trascorre qualche giorno con lei, il figlio che avevano concepito assieme e il marito di lei, mantenendo però il segreto sulla sua identità. Progetto di carattere spettacolare con cast di notevole richiamo, un consistente profilo produttivo una forte strategia distributiva ed un discreto reference. Sulla base di tali elementi raggiunge la sufficienza ed ottiene, come richiesto, il solo riconoscimento dell„interesse culturale senza contributo, da confermare a visione della copia campione.”
Queste sono le motivazioni del riconoscimento del valore culturale nazionale. Tutti possono visionare il sito del dipartimento cinema del Mbac. Notare che solo 14 punti su 60 (cioè esattamente il minimo per ottenere il riconoscimento) sono stati attribuiti automaticamente (reference). Gli altri punteggi sono a discrezione, compreso quello alla sceneggiatura a cui hanno attribuito 23 punti (sufficenza 21). Questo significa che la commissione ministeriale ha VOLUTO attribuire il riconoscimento, con tutte le ricadute economiche che quesato comporta. La legge non c’entra nulla.
Tutto corretto tranne che per il finale: la legge c’entra. Le falle sono evidenti. Tra i problemi principali vi è anche quello del sistema delle commissioni. Questa (di “Natale a Beverly Hills”) è la dimostrazione di come la normativa vigente consenta una certa elasticità e discrezionalità, e di come l’oggettività rappresenti solamente un mito.
Perché spesso bei film si fanno e non si vanno a vedere. Poi si pretende che tutto risponda a logiche di mercato ma, si sa, al mercato spesso della qualità non frega niente.