4
Gen
2011

Il Buono (Welfare), il Brutto (Bureau) e il Cattivo (Fisco) – di Maurizio Bovi

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Maurizio Bovi, dirigente di ricerca ISAE.

Nei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione (PA) non è raro sentir parlare di situazioni da Far West. Da ciò l’idea di offrirne una lettura nell’ottica del western spaghetti. Il Bureau, ovvero la PA, è il “Brutto” – nel senso di oversized e impacciato – della nostra storia. D’altronde, è lo stesso Bureau ad autodefinirsi così.

Il Ministero della Semplificazione Normativa (se ce n’è uno qualcosa vorrà pur dire) ha quantificato in oltre 430.000 il numero degli atti pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Il Ministero della Funzione Pubblica (altro nome esplicativo della situazione) ha misurato in oltre 21,5 miliardi gli oneri amministrativi, nelle sole materie di competenza statale, che ogni anno gravano sulle imprese. Utilizzando una stima prudenziale della Commissione Europea, la semplificazione potrebbe ridurre gli oneri a carico delle imprese fino ad un risparmio di circa 18 miliardi di euro annuali. Per snellirsi, il Bureau ha spesso usato il “trattamento” dell’unificazione. C’è il Modello Unico e i Testi Unici in materia fiscale, lo Sportello Unico per le attività produttive, il Libro Unico del lavoro, il Documento Unico di regolarità contributiva, la Comunicazione Unica per l’avvio dell’impresa e così via unificando. Ciò non sorprende. Molti cittadini conoscono per esperienza diretta quanto può essere aberrante e snervante, oltreché inevitabile, incappare nei melensi tentacoli del Bureau. Ecco perché associare in modo univoco un operatore pubblico ad uno privato è una soluzione che spesso trova riscontri positivi anche presso il settore privato. Similmente, si sta anche tentando di fornire un unico PIN a ciascun cittadino, in modo da averne a disposizione il completo profilo di lavoratore, contribuente, risparmiatore e consumatore in un singolo “click”. Una sorta di PIN, in effetti, esiste già. Si tratta del codice fiscale, che ormai è andato ben oltre la caratterizzazione della sola dimensione contributiva del cittadino, accompagnandolo “dalla culla alla tomba” in molte delle sue decisioni economiche.

Il codice fiscale ci conduce al Cattivo del Far West di casa nostra: il Fisco. Ora, non è che il Fisco sia di per sé cattivo; lo sono le cartelle pazze, i ritardi nei rimborsi, le inutili complicazioni del sistema e simili. Alla fine della nostra storia diremo di più sulla relatività della cattiveria in questione. Qui ci si vuole invece soffermare su una recente semplificazione-via-unificazione a cui il Fisco ha dato l’evocativo nome di “SERPICO” (SERvizio Per le Informazioni sul COntribuente), il famoso e inflessibile poliziotto di Hollywood. Come si vede, ci sono altri cinefili che si occupano di evasione fiscale. Nel data base di SERPICO, che si basa sul codice fiscale, vengono convogliate le informazioni provenienti da vari Bureau che, talvolta, neanche si parlano (forse sono così brutti che non si piacciono nemmeno l’un l’altro). In questo modo, il Cattivo è in grado di semplificare il Brutto, incrociando informazioni piuttosto dettagliate e aggiornate su ciascun contribuente. E’ possibile conoscerne i redditi percepiti; i possedimenti immobiliari, le auto intestate, le spese sostenute per elettricità, gas, telefono, viaggi. Si può anche sapere se l’utente ha pagato i contributi per la colf e quale modello ISEE ha presentato per mandare il figlio a scuola. Insomma, grazie al codice fiscale e a SERPICO il Cattivo può tracciare un identikit multidimensionale e piuttosto particolareggiato del cittadino. L’Agenzia per le Entrate stima in 20 miliardi di euro il recupero dell’evasione per il 2011. Aspettiamo di vedere se il nostro poliziotto informatico sarà riuscito nella sua funzione dichiarata di spietato bounty killer degli evasori. Noi facciamo il tifo per il Cattivo ma, nel frattempo, avanziamo anche qualche considerazione operativa.

Seguendo la solita logica della semplificazione via unicità, perché non usare il codice fiscale anche come numero della patente, del passaporto e simili? SERPICO disporrebbe di un più completo DNA socio-economico del cittadino e questi potrebbe apprezzare la riduzione di numeri identificativi. D’altronde, l’evoluzione di un codice nato “settoriale” in un PIN “globale” è comune a molti paesi. Negli USA, ad esempio, il social security number era all’inizio concepito per finalità di welfare, mentre oggi è un elemento in pratica immanente nella vita quotidiana degli statunitensi. Molti di noi avranno notato come, nei film polizieschi, l’FBI (o altri Bureau) riesce a sapere vita, morte e miracoli di chiunque semplicemente scrivendone il relativo numero di previdenza sociale in un terminale. L’uso del codice fiscale come PIN, comunque, ne aumenterebbe le criticità. A parte le esigenze dell’autorità giudiziaria che potrebbero frenare il progetto di numero unico, il codice fiscale soffre della cosiddetta omocodia, cioè la situazione in cui diversi individui hanno lo stesso identico codice poiché omonimi e con gli stessi estremi anagrafici. I dati disponibili dicono che ci sono circa 15.000 casi di “gemelli fiscali” che, per ora, vengono risolti dall’Agenzia delle Entrate. Il fenomeno è però certamente destinato a crescere, poiché la conoscenza dei dati anagrafici degli immigrati è sovente incompleta, il che impedisce di determinare in modo adeguato il codice fiscale. Si pensi al caso non raro in cui è noto con certezza solamente lo stato di provenienza e/o solo l’anno di nascita dell’immigrato: è ovvio che la probabilità di omocodia aumenta di molto. Carte con microchip e/o con dati biometrici potrebbero aiutare. In qualche regione, seppure con finalità settoriali, tessere del genere già esistono e funzionano.

Un altro suggerimento qui proponibile conduce al Buono della nostra storia: il Welfare. Visto che è già operativo per accrescere le entrate della PA, perché non usare SERPICO anche per decidere l’accesso a determinate politiche, servizi ed erogazioni di sussidi? In fondo, è facilmente intuibile che la spesa per welfare altro non è che tassazione negativa. Ed è altrettanto immediato esemplificare come il Cattivo possa aiutare il Buono nel distribuire al meglio i soldi pubblici. Chi evade, è poco o nullatenente per il Fisco: c’è dunque il rischio concreto che il falso incapiente risulti beneficiario di qualche bonus sociale. Una banca dati a 360° come quella gestita da SERPICO potrebbe evitare che al danno si aggiunga la beffa.

Se la prima proposta potrebbe aumentare la ricchezza del Brutto e l’efficacia del Cattivo, la seconda potrebbe rendere quest’ultimo meno antipatico in quanto amico del Buono. E qui veniamo alla Morale della nostra storia: quanti soldi e quanta privacy siamo disposti a cedere al Cattivo in cambio di un Brutto e di un Buono più funzionali? Non possono sfuggire, in effetti, i forti legami che esistono tra i tre personaggi. Fuor di metafora, la summenzionata questione si traduce in una di quelle domande che possono definirsi antiche come l’Uomo: dove finisce la libertà individuale e cominciano i bisogni collettivi? Inutile dire che una risposta definitiva, un optimum optimorum, non esiste. Anche eliminando gli estremi assoluti dell’anarchia e del totalitarismo si rimane, comunque, con infinite possibilità concrete che vanno dalla socialdemocrazia di tipo scandinavo al capitalismo più spinto. In merito, vale la pena ricordare che le rivolte fiscali avvengono soprattutto nei sistemi capitalistici (negli USA alla fine degli anni ’70, ad esempio), ovvero laddove Fisco e Welfare incidono relativamente di meno sulla vita degli individui. Segno che la risposta dipende dalla sensibilità dei cittadini, la quale è certamente né uniforme né immutabile: se qualcuno, riferendosi al Fisco, parla di “mettere le mani nelle tasche”, difficilmente è uno scandinavo. D’altronde, se il problema della sicurezza è particolarmente sentito, i cittadini non protestano più di tanto se la devono finanziare e se la loro privacy ne viene limitata: anche qui il caso degli USA, specie dopo l’11 settembre, è esemplificativo. Insomma e tornando a noi, è plausibile ritenere che la proposta di utilizzare SERPICO sia come strumento anti-evasione che pro-welfare, potrebbe rendere meno costoso per gli italiani cedere alla PA una parte della propria privacy. Anche nel Far West, in fondo, la strategia di affiancare un poliziotto buono ad uno cattivo non di rado funzionava. Similmente, cambiare il nome da codice fiscale a, diciamo, “codice assistenziale” potrebbe aiutare a rendere meno conflittuale il rapporto tra amministrati e Bureau. Stesso dicasi per il nome di SERPICO: qualche suggerimento per il nome dello sceriffo inflessibile ma anche buono? Insomma, il nodo sta anche nel modo.

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8 Responses

  1. Articolo molto interessante.

    I diciotto miliardi di perdite di cui si parla per le aziende sono da considerarsi deadweight losses, nel senso che non beneficiano nessuno, salvo ovviamente la P.A.? Questa semplificazione sarebbe quasi per intero un pasto gratis.

    Riguardo la maggiore efficacia della lotta all’evasione, il problema è che non abbiamo di fronte degli angeli, ma lo Stato Italiano, cioè uno Stato con livelli di corruzione elevati diffusi ad ogni livello. Se si desse la garanzia che la spesa pubblica non venga aumentata, e i fondi usati per tagliare le tasse e ridurre il debito, sarei favorevole alla lotta all’evasione fiscale, altrimenti questa diventerebbe un trasferimento di ricchezza da chi produce di nascosto a chi sperpera alla luce del sole.

  2. C’è un errore nel testo. Il codice fiscale non può essere uguale per due individui. L’unico codice valido è quello che viene assegnato dall’Agenzia delle Entrate. In caso di dati anagrafici identici vengono emessi due codici fiscali distinti.

  3. M. Bovi

    @Simone Malacarne
    Nel testo non c’è errore. C’è infatti scritto che il problema viene risolto dall’Agenzia delle Entrate. Cioè, esiste il problema dell’omocodia, non che coesistano due individui con lo stesso codice. Quello che si vuole sottolineare è che un diverso metodo di codifica risolverebbe il problema a monte e cioè prima dell’intervento dell’Agenzia. Anche questa, in fondo, è una semplificazione.

  4. Matteo Gatti

    Alle volte la soluzione è già sotto gli occhi di tutti e sembra così difficile trovarla. Per le aziende, l’accoppiata CCIAA+Nrea già funziona, o, utilizzando sistemi proprietari, esiste già il D-U-N-S Number. Per le persone fisiche, abbiamo tutti un numero di protocollo, associato al rilascio della prima carta di identità…

  5. Gianluca Massaccesi

    Secondo me ormai è tardi per applicare un metodo così “geometrico”, perché chi ha evaso ormai l’ha fatto e nessuno lo potrà mai condannare.
    Applicandolo ora, questo metodo, non farà altro che aumentare il dislivello tra poveri e ricchi. Le eventuali sanzioni saranno in percentuale su quello che viene accertato, o si cerca di accertare, attraverso queste geometrie informatiche. Si sa che piú il disegno è complesso e più è difficile far coincidere i punti e le linee.
    Sarebbe un’altra cosa emettere la sanzione in percentuale al reddito accertato/dichiarato.
    Esempio: se un operaio al semaforo passa con il rosso viene condannato a pagare una sanzione pari a circa il 10% del proprio reddito (la percentuale aumenta se l’operaio è in cassa integrazione) mentre se è  “Franceschino” la sanzione scende allo 0,00001% del reddito “dichiarato”.
    E se la sanzione fosse anche per “Franceschino” pari al 10% del reddito dichiarato?
    Prima di evadere uno ci pensa 2 volte.
    Ma sono sicuro, che se cosí fosse stato, in Italia avremmo avuto la legge che abolisce i semafori.
    Saluti GianLuca.    

  6. M. Bovi

    @Gianluca Massaccesi
    Tu dici:
    “perché chi ha evaso ormai l’ha fatto e nessuno lo potrà mai condannare.”
    Vuoi dire che chi ha truffato/rubato/ucciso…ormai l’ha fatto e nessuno lo potrà mai condannare?

    Tu dici:
    “Si sa che piú il disegno è complesso e più è difficile far coincidere i punti e le linee.”
    Forse non hai notato che si vuole semplificare il disegno.

    Tu dici:
    “Sarebbe un’altra cosa emettere la sanzione in percentuale al reddito accertato/dichiarato.”
    Scusa, ma non avevi detto che chi ha evaso ormai l’ha fatto e nessuno lo potrà mai condannare.”?

    Potrei continuare ma mi sembra più che sufficiente.

  7. Gianluca Massaccesi

    Se il 10% degli italliani possiede il 50% della torta (ricchi) mentre il 50% degli italiani possiede solo il 10% della torta (poveri) in quanto tempo si è formato questo dislivello? 50/100 anni fa erano gli stessi valori? Questo dislivello si è formato legalmente e senza evadere? Se si è formato evadendo le tasse come si può sanzionare un’evasione commessa 20 anni fa’? Secondo te controllare chi si spartisce il 50% della torta è la stessa cosa che controllare chi si spartisce il 10% della torta? È piú semplice controllare un artigiano o controllare un industriale?
    Nel caso di un eventuale ricorso all’accertamento, che mezzi di difesa ha l’artigiano, e che mezzi ha l’industriale? E sempre nel caso quali rischi corre l’artigiano e quali l’industriale? Ti ricordo che la legge non è uguale per tutti ma dipende dalla potenza della persona e dall’avvocato che ti difende?

  8. M. Bovi

    @Gianluca Massaccesi
    Sono d’accordo che non siamo tutti uguali davanti alla legge. Mai detto il contrario.
    Rispetto al testo aggiungo che lo squilibrio tra ricchi e poveri c’è anche in paesi dove l’evasione è minore che da noi. 100 anni fa lo squilibrio era certamente maggiore. E non solo in Italia. Ma la cosa principale che ci divide è che tu dici: ok lasciamoli fare, tanto…Ebbene, così vincono facile. Infine, ti ricordo che negli ultimi anni sono stati recuperati molti miliardi di redditi evasi. Certo, si può fare di più. Ma tu vuoi fare di meno.

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