27
Mar
2014

Il bicchiere mezzo vuoto sulle Province, quello che non c’è ancora sui tagli

Il Senato ieri sera ha approvato il disegno di legge Delrio che compie un passo necessario per l’abrogazione delle Province. E’ stato necessario anche porre il voto di fiducia. Ma è un bene che sia stato fatto. Non perché il disegno di legge dia una risposta strutturale al problema che da tanti anni è diventato un tormentone – letteralmente si stenta a tenere il numero, delle volte nelle quali in tanti decenni si era promesso di mettere mano alla proliferazione dei troppi enti di governo locale – bensì per due altre ragioni. Se non si fosse dato un segnale chiaro e tempestivo, si sarebbe dovuto votare in decine e decine di province nel prossimo maggio. E a quel punto ancora una volta, con nuovi amministratori appena eletti, addio riforma strutturale e abrogazione. Secondo: perché era necessaria anche un’altra scelta chiara. Quella di iniziare e fare finalmente sul serio, tagliando di qualche migliaio i troppi eletti della politica italiana.

Il disegno di legge Delrio si limita però a una soluzione transitoria, prorogando a fine 2014 i presidenti delle 52 province appartenenti alle Regioni non a statuto speciale (che hanno una competenza propria sulle province, costituzionalmente tutelata) in cui si sarebbe dovuto votare, mentre altre 21 sono già commissariate. E ciò che conta davvero non è tanto la soluzione escogitata nel ddl, cioè trasformarle in enti di area vasta come associazioni di Comuni. Tanto meno le 10 città metropolitane inserite nel testo, visto che per Bari e Reggio Calabria è davvero una ridicolata. E tanto meno ancora che si sia tiornato ad aumentare di ben 24 mila unità – ma senza compenso, si afferma – il numero dei consiglieri comunali nei Municipi, sia nella fascia sino ai 3 mila abitanti, sia in quella sino a 10mila. Tutte cose per le quali ancor oggi la Ragioneria Generale dello Stato stenta a dire con precisione quanto davvero si risparmierebbe, oltre ai più di 100 milioni di emolumenti dei consiglieri non più eletti visto che il loro posto sarà preso da sindaci e amministratori comunali.

La realtà è che una soluzione organica, equilibrata e ordinata, sarà possibile solo nell’ambito della riforma generale del Titolo Quinto della Costituzione, che è appena agli inizi ed è ancora chiusa in un confronto tra pochi fiduciari dei partiti, collegata com’è anche all’abrogazione del bicameralismo perfetto e dell’attuale composizione del Senato, oltre che dei suoi poteri. Auguriamoci che la revisione dei rapporti e delle competenze, tra Stato centrale e Autonomie, risponda a un disegno non ispirato all’improvvisazione, come avvenne quando la sinistra con pochi voti di maggioranza varò la riforma del Titolo V° che ha reso impossibile grandi scelte economiche su terreni come le infrastrutture e l’energia. Ma intanto una cosa va detta: con tutte le riserve che è gisto nutrire sul fatto che vi sia tempo ed equilibrio bastevoli a partorire una buona riforma del Titolo V°, non ci sarebbe stata prospettiva a breve di riforma della Costituzione su tutti questi punti essenziali, se intanto non si fosse sciolto subito il nodo di impedire la rielezione di 52 province.

Bene così dunque. Anche se la soluzione “vera” non è quella del testo votato ieri, almeno la rende possibile come premessa per un serio cambio della Costituzione. Nel quale ancorare criteri di risparmio di spesa maggiori del solo trattamento economico dei consiglieri che non ci saranno più, e dei denari pubblici ai loro gruppi. Accompagnati a una ripartizione nuova e non più conflittuale delle competenze, tra Stato centrale e Autonomie. E a criteri finanziari che da una parte ancorino a princìpi più rigorosi l’autonomia finanziaria di Comuni e Regioni – a oggi, non esiste – ma in cambio anche di un’estensione locale della disciplina dell’articolo 81, che oggi vale solo per lo Stato centrale. E’ necessario, visto che appena lo scorso 6 marzo è stata depositata una sentenza della Corte Costituzionale che priva la Corte dei Conti dei poteri di blocco di programmi di spesa regionali in deficit che le erano stati attribuiti dal governo Monti: un’attribuzione che purtroppo contrasta con l’attuale disciplina del Titolo V°, che anche per questo va riformato.

Piuttosto, allarghiamo lo sguardo. Ieri il Capo dello Stato ha pronunciato parole che sono state subito equivocate, da una parte troppo ampia della politica. Visitando l’agenzia Ansa, che ha subito tagli pesanti nelle convenzioni che legavano la sua offerta di servizi giornalistici ai ministeri, e mentre il presidente americano Obama si diceva allarmato per i tagli alle spese della Difesa annunciati dall’Italia come da altri paesi NATO, Napolitano si è detto contrario ai tagli indiscriminati. Cioè quelli lineari, a cui si fece ricorso sotto Tremonti, e più volte da allora in avanti.

Ma il Presidente della Repubblica non intendeva affatto dire quel che in troppi hanno voluto capire. E cioè niente tagli. Era un florilegio, ieri, tra chi proponeva di salvare il Cnel, chi questo o quell’ente, chi questo o quel capitolo di spesa. Incrociando le dichiarazioni politiche, da destra a sinistra passando per i sindacati, una pessima fotografia di quanto sia ancora diffusa l’irresponsabilità, in tema di spesa pubblica. Napolitano ha voluto semplicemente dire che la politica deve uscire dall’aver demandato a “tecnici” – come Cottarelli, dopo Bondi e Giarda – il compito di esaminare tutti i capitoli degli oltre 800 miliardi di spesa pubblica, per individuare i tanti possibili interventi da compiere. Che sono necessari, per abbattere le imposte ammazza-crescita che gravano su impresa e lavoro.

Ora la politica deve scegliere, e spiegare all’Italia con chiarezza perché sceglie questa o quella posta, per almeno due punti di Pil di spesa pubblica in meno entro 2 anni. L’esercizio di questa scelta e di questa spiegazione, nell’Italia piegata sulle ginocchia dall’eccesso di tasse a fronte dei servizi resi dallo Stato, è oggi la forma più alta di responsabilità politica, per una classe dirigente degna di questo nome.

Scelte come quella di prepensionare solo i dipendenti pubblici in deroga alla riforma Fornero di troppo sarebbero uno schiaffo ai disoccupati privati per i quali simili salvataggi sono impossibili. Si tratta di cambiare radicalmente perimetro e modo di lavorare della pubblica amministrazione. Solo pochi giorni fa, un ottimo rapporto di Confcommercio presentato a Cernobbio ha dimostrato che, se in tutte le Regioni Italiane l’output di servizi pubblici fosse offerto ai costi e alle prestazioni di quelli lombardi, il risparmio sarebbe di 82 miliardi di euro.

Sappia scegliere e giustificarlo davanti al paese, la politica. Tentare ancora di dire no ai tagli di spesa oggi, tentare di difendere le 7700 società pubbliche locali che da sole costano 24 miliardi e di cui quelle che non offrono servizi costano più della metà, continuare in tutto questo per la politica sarebbe un suicidio. Cosa della quale potremmo anche infischiarcene, se no ci andassimo di mezzo noi tutti.

 

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2 Responses

  1. Mike_M

    D’accordo su tutto. Anche se, da realista, sono convinto che questo paese, così come lo conosciamo, sia ormai spacciato. La secessione delle parti più sane, o, se si preferisce, meno malate, a cominciare dal Veneto, è ormai solo questione di tempo. E non c’è articolo 5 che tenga.

  2. adriano

    Si dovrebbero abolire le regioni prima e oltre le province.In ogni modo nel paese delle finzioni e degli inganni ogni legge al riguardo che contenga più di un articolo di poche righe sarà sempre un imbroglio che lascia le cose come sono quando non le peggiorano.”Sono abolite le regioni e/o le province.Le competenze ed il personale relativo vengono ripartiti fra i comuni.”I cosidetti tagli possono servire per equilibrare il bilancio non per diminuire le tasse non essendo ripetibili.Le tasse si diminuiscono,senza bisogno di interventi transitori e con le opportune garanzie, con l’abolizione del contante che è il provvedimento più liberale a disposizione.Nel senso che servirebbe a liberarci dall’oppressione fiscale di cui tutti si lamentano a parole ma che,respingendo con orrore l’unico provvedimento che potrebbe eliminarla,a tutti fa comodo.

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