Ifigenia in Aulide
Pochi giorni fa, Paul Krugman, economista nonché papa dei liberal, è intervenuto affermando che: A) la ripresa dalle crisi finanziarie nel secondo dopoguerra si è avuta attraverso le esportazioni, B) oggi però tutti i paesi sono in crisi, e dunque non è possibile esportare tutti insieme, C) mancando la domanda estera, si dovrà vivificare quella interna, D) la quale non risente più degli effetti di stimolo della manovra fiscale varata quest’anno, E) perciò se ne deve varare un’altra, F) che deve essere diversa da quelle convenzionali, ormai inefficaci, ossia ci vuole una manovra che porti alla creazione diretta dei posti di lavoro, proprio come fu fatto negli anni trenta con le opere pubbliche, G) la qualcosa però non ha modo di passare per il muro politico che si alzerebbe subito.
Krugman ha in sostanza affermato che la ripresa a “V” – una caduta seguita da una ripresa veloce – è uscita dal novero delle cose possibili. Per evitare una ripresa a “U” – una caduta seguita da una ripresa molto lenta – oppure, meglio, per evitare un andamento a “W” – una caduta seguita da una mini ripresa con successiva caduta – si deve tosto agire. La politica monetaria ha poco spazio – i tassi sono a zero e la banca centrale ha comprato una montagna titoli per sostenerne i prezzi. La politica fiscale – fin qui varata – ha perso la propria “carica propulsiva”. Resta la carta dell’intervento pubblico diretto, prima che la disoccupazione, crescendo ancora, crei delle tensioni sociali e politiche maggiori. Il sistema politico non sembra però disposto a tollerare un maggior intervento pubblico.
E dunque? Il happy ending è la possibilità della conclusione migliore, quella preferita da tutti, ed è ottenuta con il ritorno della fiducia, con quest’ultima alimentata dalla borsa in perenne ascesa. Il tragico è, invece, la scelta fra due conclusioni entrambe “brutte”: se la flotta è ferma per la mancanza di vento, tutti muoiono, quindi anche la figlia del comandante. Se la figlia del comandante è sacrificata, torna il vento e la flotta si salva. Potremmo dire che, secondo Krugman, se la disoccupazione esplode, tutti ne risentono, e dunque che si sacrifichi Ifigenia – da intendere non come una fanciulla di rara bellezza, ma come il principio di mantenere sempre indiretto l’intervento dello stato.
Le banche statunitensi riducono i crediti e comprano titoli di stato. Ossia, traggono parte del proprio reddito dalla fiscalità e non dal reddito delle imprese. Si propone una politica economica che generi posti di lavoro intervenendo direttamente nella loro creazione. Sta velocemente aumentando il “tasso di socialismo”.
Se a questo si aggiunge la riforma sanitaria, che inizia a fare i primi passi, il tasso di socialismo cresce ulteriormente, e forse si tratta di un tasso di crescita senza precedenti dal post-29 (sui livelli, invece, siamo ancora sotto i massimi storici, negli Usa, ma per quanto?). Il problema è: l’intervento diretto è la proposta di Krugman dopo il fallimento dell’ “intervento indiretto”. Se anche questo fallirà, ammetteranno finalmente che il male non può essere curato aumentando le dosi di veleno, oppure arriveremo alla proprietà pubblica dei mezzi di produzione?
Solo qualche considerazione “a margine”, partendo dall’incipit dell’articolo. Come fa un economista come Krugman a svolgere le affermazioni sintetizzate ai punti a) e b)?
Partiamo dall’inizio.
Cosa vuol dire che da ogni crisi si esce con le esportazioni? E’ un semplice rilievo storico? Se è così, non mi dice nulla: il futuro può essere diverso. Sul piano teorico, è banale, ma da una crisi si esce con la crescita: vendendo all’esterno o all’interno, è lo stesso. Non vedo la differenza. E infatti egli stesso poi propone un consumo interno pompato artificiosamente. Ma l’avvio della riflessione è risibile.
Ancor più surreale mi sembra però il punto b). Cosa vuol dire che tutti sono in crisi e quindi nessuno esporta? Per esportare è necessario non essere in crisi? A me pare un non-sense assoluto. Dato che lo scambio è uno dei grandi motori dell’economia, è proprio quando si è in crisi che ci si deve orientare verso l’integrazione economica, e quindi anche verso gli scambi internazionali. Ma se Krugman intende dire che tutti oggi sono meno ricchi di ieri e quindi hanno meno da scambiare, sta dicendo un’ovvietà, che certo non può trovare una soluzione miracolistica. Che ne so… un meccanismo che “moltiplichi” la ricchezza! O forse è proprio a un molteplicatore che pensa?
Probabilmente la sinistra intellettuale Usa farebbe bene a cercarsi un anti-papa.
A questo punto non resta che cambiare il titolo in: “Ifigonia in Culide”, (dal nome della tragedia goliardica composta nei primi anni venti)
Ho ecceduto nel riassumere Krugman nei punti a) e B). Se un paese, più piccolo degli Stati Uniti, precipita in una crisi, mentre tutti gli altri crescono, questo paese può uscire (o ammorbidire) dalla sua crisi finanziaria esportando. Proprio come è accaduto alla Corea uscita dalla crisi del 1997, oppure al Giappone, in crisi da venti anni, che ha potuto esportare – e quindi ammorbidire la sua crisi – negli Stati Uniti ed in Cina. Oggi non esistono le condizioni per cui gli Stati Uniti possano essere aiutati dalla domanda vivace del resto del mondo, non solo per la dimensione degli Stati Uniti medesimi, ma anche per la modesta crescita di tutti. Laddove anche la crescita non è modesta – come in Cina – non si ha egualmente traino, perchè la Cina è un “esportatore netto”.
Che Krugman si sia venduto l’anima (economica) al diavolo é ormai noto; mi limito ad osservare che recenti studi hanno dimostrato che il moltiplicatore é molto piccolo (0.24) (http://www.voxeu.org/index.php?q=node/4036). In secondo luogo, e dando ragione ad Oscar Giannino, Robert Barro ha dimostrato che per uscire dalla crisi, lo stimolo più efficace viene da una riduzione delle imposte (http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001379-351.html).
In Germania é da crisi iniziata che le autostrade sono un mega-cantiere; non so come vada nel Bel Paese. Ora, più diretto di così non saprei cosa i Governi potrebbero inventarsi.
Infine un eterno dubbio: mi piacerebbe sapere quanto dell’attuale disoccupazione é dovuta alla carenza di domanda e quanto é frutto della salutare ristrutturazione che le imprese hanno compiuto e stanno compiendo.
All’interno del delirio Krugman sa dove vuole arrivare: creazione continua di bolle finanziarie.
Solo così si spiega il sistema W, modello “montagne russe”.
Tralasciando le surreali affermazioni per meri dogmi economici (il B se preso alla lettera è un capolavoro della comicità che difficilmente può esser eguagliato dal mistico Tremonti).
La cosa che fa meno ridere del ragionamento keynesiano di Krugman è ovviamente la listarella di proposte e programmi già bell’e che pronti sul tavolo.
Insomma in pieno stile “global warming” non si capiscono le cause e gli indicatori economici, nè le conseguenze del proprio pensiero, eppure nonostante tutto si è sempre pronti a dispensar consigli.
Krugman sssstthh!. 😉
Tral’altro oltre che keynesiano è pure altamente signoraggista statale dato che pretende di dimostrare l’indimostrabile: la banca centrale americana non può intervenire in quanto indebitata, ergo deve intervenire lo Stato.
La cosa di per sè (se letta in chiave austriaca) risulta di fatto una tautologia allucinante.
Come se l’attuale debito pubblico americano, appartenga solamente a Bernanke e soci e non al Government.
Saluti da LucaF.