I veri conti del ‘buco’ costituzionale nella spesa per le pensioni
Qual è l’impatto sulla finanza pubblica delle recente sentenza della Corte Costituzionale che ha cancellato la deindicizzazione per il biennio 2012-13 delle pensioni medio-alte ed elevate, introdotta a fine 2011 dal governo Monti? E, in particolare, quale sarebbe il costo complessivo per le casse pubbliche se lo Stato fosse obbligato a una completa restituzione delle somme non erogate dagli istituti previdenziali nel triennio 2012-14 e nell’anno in corso? Poiché le stime pubblicate in questi giorni, nessuna delle quali ufficiale, risultano molto variabili e tutte più elevate del dato inizialmente diffuso, di fonte Avvocatura dello Stato, non sembra esservi soluzione migliore che provare a rifare il calcolo, applicando le regole introdotte dal provvedimento Monti ai dati disponibili sulle pensioni in essere a fine 2011 e sulla loro distribuzione per classi di importo mensile.
Le pensioni ‘frenate’ da Monti
Il decreto Salva Italia, d.l. 201/2011, convertito con Legge 214/2011, stabiliva che l’adeguamento annuale dei trattamenti pensionistici alla dinamica dei prezzi sarebbe stato applicato nel biennio 2012-13 in misura piena solo alle pensioni di importo non superiore nell’anno 2011 al triplo del minimo. Per le pensioni di importo superiore l’adeguamento non avrebbe invece operato. Dato che il trattamento minimo per l’anno 2011 era pari a 468 euro e pochi centesimi al mese, ne deriva che il meccanismo di piena indicizzazione veniva applicato ai trattamenti sino al triplo di tale valore, dunque a 1.405 euro. Poiché nel 2012 l’adeguamento ai prezzi è stato stabilito nella misura del 2,7%, ciò significa che la pensione più elevata che ha usufruito dell’adeguamento, quella da 1.405 euro, è stata portata a 1.443 euro. Allo stesso livello sono state inoltre portate, per l’operare di una clausola di salvaguardia, tutte le pensioni comprese tra 1.405 e 1.443 euro. Invece le pensioni di importo superiore hanno mancato integralmente l’adeguamento del 2,7% per l’anno 2012 e il successivo adeguamento del 3% per l’anno 2013. A partire dal 2014 è cessato il regime di completa sterilizzazione dell’inflazione e anche questi trattamenti hanno ripreso a crescere, pur se non tutti integralmente indicizzati. In ogni caso i due mancati ‘gradini’ di incremento del 2012 e 2013 hanno prodotto i loro effetti riduttivi sulla spesa pensionistica anche nel 2014 e 2015 e debbono essere considerati ai fini della stima degli effetti sulla finanza pubblica derivanti da una piena erogazione degli incrementi tagliati dal decreto Monti.
Quante sono e quanto costano all’anno le pensioni ‘frenate’ da Monti
Le informazioni ufficiali disponibili, di fonte Istat, ci permettono di classificare i trattamenti previdenziali in essere nel 2011 per classi di importo medio mensile. Dalla pubblicazione “Statistiche della previdenza e assistenza sociale – I – I trattamenti pensionistici – Anno 2011” pubblicato a marzo 2014 è possibile desumere con certezza che:
- 16,2 milioni di trattamenti, corrispondenti al 68% dei 23,7 milioni totali, erano inferiori a 1.000 euro mensili e pertanto hanno conservato l’indicizzazione;
- 4,3 milioni di pensioni, corrispondenti al 18% del totale, erano superiori a 1.500 euro mensili e pertanto sono state oggetto del blocco del decreto Monti;
- ulteriori 3,2 milioni di trattamenti, corrispondenti al 14% di quelli totali, erano compresi tra 1.000 e 1.500 euro mensili e di essi quelli compresi tra 1.443 e 1.500 euro, sono stati oggetti del blocco totale mentre quelli compresi tra 1.405 e 1.443 sono stati indicizzati solo parzialmente.
E’ ragionevole stimare che circa 600 mila pensionati dell’ultimo gruppo siano stati interessati, totalmente o parzialmente, al blocco, di cui poco più di metà totalmente e poco meno parzialmente. Per semplificare i successivi calcoli ipotizzeremo tuttavia un valore equivalente di 5oo mila deindicizzati totali. Se queste stime sono accettabile, le pensioni deindicizzate da Monti nel 2011 ammonterebbero a 4,8-4,9 milioni di unità, corrispondenti al 20% più elevato delle pensioni complessive. Si tratta di una cifra inferiore a tutte quelle sinora comparse, mentre i trattamenti non interessati dal provvedimento ammontano a 18,7-18,8 milioni, l’80% del totale.
Se consideriamo tuttavia la spesa per le pensioni accanto al loro numero, scopriamo che l’80% delle pensioni, quelle non deindicizzate, pesa per il 50% della spesa pensionistica totale (134 miliardi) mentre il residuo 20%, quelle deindicizzate pesa per il restante 50% (132 miliardi). Il trattamento medio dell’80% delle pensioni più basse era nel 2011 di 546 euro mensili, mentre il trattamento medio del 20% delle pensioni più alte era di 2.126 euro mensili.
Si perviene a questo punto alla stima degli importi complessivi, al lordo delle imposte su redditi a carico dei percettori, non corrisposti per effetto del decreto Monti in ognuno degli anni compresi tra il 2012 e il 2015:
3,6 miliardi di euro nel 2012,
7,6 miliardi di euro nel 2013,
7,7 miliardi di euro nel 2014,
7,7 miliardi di euro nel 2015,
per un totale di 26,5 miliardi di euro nel quadriennio, corrispondenti a più di un punto e mezzo del Pil annuo dell’Italia. I dettagli del calcolo sono riportati nella tabella seguente. Al netto dell’Irpef che sarebbe stata versata sulle somme in oggetto, stimabile in 8,5 miliardi complessivi, il dato totale risulta pari a 18,0 miliardi.