14
Giu
2010

I tre no della Fiom su Pomigliano. E ora?

Il Comitato Centrale della Fiom ieri ha confermato il no all’intesa su Pomigliano. raggiunta venerdì tra Fiat, e metalmeccanici di Cisl, Uil, Ugl e Fismic. La decisione è stata assunta all’unanimità. La minoranza della categoria, ma maggioranza nella confederazione poiché fa riferimento all’82% conseguito al recente congresso dal leader nazionale Guglielmo Epifani, avrebbe evitato il braccio di ferro. Ma alla fine ha deciso di scongiurare una frattura interna, che avrebbe ulteriormente indebolito una posizione che già è minoritaria. Non solo tutti gli altri sindacati e naturalmente la Fiat, ma tutte le forze dell’impresa, con reiterati interventi del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, hanno calorosamente invitato sino all’ultimo secondo la Fiom a recedere dalle sue riserve. Così non è stato. Cerchiamo di capire. Su che cosa, si appunta il no della Fiom? Che cosa è prevedibile che avvenga ora? Quali conseguenze, sul futuro di Pomigliano e della Fiat in Italia?

La Fiat e Confindustria, come gli altri sindacati firmatari dell’intesa, sottolineano che l’accordo ha la portata di una svolta storica. E’ vero. Perché per la prima volta, proprio nello stabilimento che, chiusa Termini Imerese nel 2011, rappresenta la punta avanzata degli insediamenti nel Mezzogiorno dell’azienda manifatturiera leader del nostro Paese, si condividono insieme regole e princìpi che sono senza precedenti. Assumono infatti come criterio di riferimento ritmi e obiettivi di produttività comparati a quelli degli stabilimenti che la Fiat gestisce in Brasile e Polonia, perché la nuova Fiat-Chrysler di Marchionne mira a essere protagonista nel consolidamento dell’auto mondiale.

Se l’azienda vince nel mondo, allora difende meglio testa e membra che ha storicamente in Italia. Ma solo se gli stabilimenti italiani accettano la sfida della produttività, ha senso che Fiat investa nel nostro Paese 20 dei suoi 30 miliardi annunciati nel suo programma pluriennale. E solo se Pomigliano passa da 36 mila a 280 mila auto prodotte, ha senso investirvi altri 700 milioni. Marchionne è stato chiaro. Ditemi se siete disposti, ha detto ai sindacati. Altrimenti non sposto dalla Polonia all’Italia la lavorazione della Nuova Panda. La faccio altrove, e Pomigliano si chiude.

Che i sindacati firmatari condividano esplicitamente questo assunto, spalanca una porta alla condivisione strutturale di come meglio utilizzare impianti, orari, turni e produttività in tutta l’industria italiana. Ora si capisce meglio, che cosa avevano in mente Confindustria e tutti i sindacati – tranne la Cgil – che nel febbraio 2009 firmarono l’intesa per i nuovi assetti contrattuali, decentrati e contrattati localmente, proprio per consentire lo scambio “più produttività alle imprese, più salario ai lavoratori”. Ci fu chi irrise, dicendo che le aziende chiudevano, altro che salario di produttività. Ma al contrario, nella grande crisi, oltre 20 mila imprese manifatturiere italiane già internazionalizzate stanno tenendo dannatamente bene le posizioni sull’export. Insieme alla Germania, che avanza e migliora, siamo l’unico Paese del G10 che difende la sua posizione mentre gli altri perdono. Per questo ora c’è bisogno di intese come Pomigliano, per crederci fino in fondo e fare ancor meglio.

Cerchiamo di capire. Su che cosa, si appunta il no della Fiom? Che cosa è prevedibile che avvenga ora? Quali conseguenze, sul futuro di Pomigliano e della Fiat in Italia?

Il no della Fiom ha tre argomenti. Il primo ha a che vedere con l’idea di mercato: il rifiuto di sottoscrivere un simile accordo sotto la pressione della chiusura dello stabilimento. La Fiom la considera una minaccia intollerabile, non la conseguenza obbligata e fisiologica per un’impresa multinazionale. Il secondo deriva da ciò che la Fiom considera la vera ancora delle relazioni industriali: solo e soltanto il contratto nazionale di categoria. Accordi integrativi aziendali possono essere aggiuntivi per la parte salariale, ma mai e in nessun caso intaccare né la parte normativa del contratto, né quella salariale.

La terza ragione è ancor più di fondo, perché investe “il” diritto sindacale per definizione. Se aderite a un’idea di sindacato partecipativo, allora per voi – e per le 4 organizzazioni firmatarie – il diritto essenziale per tutelare meglio gli iscritti è quello di codecidere il più possibile con l’azienda. Se restate invece all’idea che il sindacato sia una forza antagonista, ovviamente per voi – per la Fiom, sicuramente – “il” diritto essenziale in campo sindacale è quello di sciopero. Al quale certo gli altri sindacati non rinunciano, ma che considerano arma estrema , non ordinaria. E poiché l’intesa per Pomigliano non riguarda solo turni e orari, ma è in deroga al contratto nazionale sia per quanto riguarda gli assenteisti e finti malati – niente contributi sanitari aziendali – sia soprattutto impegna i sindacati a non dichiarare sciopero nei turni supplettivi chiesti dall’azienda in notturni e sabati, ecco che per la Fiom scatta il rosso assoluto. Lo sciopero non si tocca: ed ecco l’appello alla Costituzione e alle leggi violate.

Per il futuro di Pomigliano, è decisivo a questo punto che nel referendum aperto a tutti lavoratori il sì vinca a larga maggioranza. In caso contrario, se dovesse prevalere una vasta resistenza in nome dell’autarchia italiana e dovessero di conseguenza manifestarsi opposizioni permanenti, la Fiat si riserva di considerare incompatibile Pomigliano coi suoi programmi. In tutto il Sud, la Fiat col suo indotto di centinaia di imprese collegate non ci sarebbe più. Sarebbe, quello sì, un segno che non è la Fiat a non voler più restare in Italia. Ma che c’è un’Italia che non vuole più la Fiat, neanche questa che per la prima volta in un secolo non prende più sussidi pubblici, indicandogli che l’unica strada per restare competitiva è sempre più solo quella straniera.

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11 Responses

  1. E’ difficile ingoiare i dettami di un’azienda in mano ad una famiglia di tre-cartisti, anche se questi dettami sono giusti. E’ difficile anche dimenticare le mille illusioni di un’azienda che mai ha mantenuto le sue promesse e ha accaparrato solo i benefici derivanti dalla sua lobby per il vantaggio di…beh! può continuare lei questa frase!
    Se fossimo stati un Paese serio la famiglia Agnelli non sarebbe più a capo della Fiat.
    Fatta questa premessa, adesso i giochi si fanno interessanti. Potrebbe anche significare la fine di un certo sindacalismo. Speriamo!!!

  2. MARCO82'

    SONO UN OPERAIO, FOSSE PER ME I SINDACATI NON ESISTEREBBERO, TENDEREI A CERCARE UN COMPROMESSO PER SODDISFARE LE PRESUNTE ESIGENZE PRODUTTIVE, MA SINCERAMENTE LE CONDIZIONI PROPOSTE SONO IRRICEVIBILI. DOPO 8 ORE DI LAVORO IN CATENA DI MONTAGGIO SEI STANCO, SE UN GIORNO SI CHIEDA DI PROSEGUIRE E’ AMMISSIBILE MA SISTEMATICAMENTE MI SEMBRA UNA TORTURA AL DI LA’ DELLA FAMIGLIA E DELLA PROPRIA VITA PRIVATA. NON AVREI PROBLEMI A LAVORARE NEI GIORNI FESTIVI O DI NOTTE MA NON 7GIORNI SU 7. SE MI AMMALASSI I PRIMI 3 GIORNI NON ME LI PAGHEREBBERO(ASSURDO). SI DEVE CAPIRE CHE SIAMO UOMINI PRIVI DEL PULSANTE ON-OFF

  3. Markus

    egregio dottore,
    dubito fortemente che la FIAT possa permettersi di abbandonare Pomigliano dopo tutto il sangue e sudore che intere generazioni di immigrati campani hanno “donato” per far si che l’aristocratica torinese imprenditoria restasse così “rispettabile”. Il marchio FIAT, lo stesso nome è intrinsecamente legato al territorio. Appartiene all’Italia, alla repubblica, al popolo e non alla sua attuale dirigenza, anche – e non solo – per via delle centinaia di milioni di euro (ex miliardi di ex lire) che tramite lo stato (tasse degli italiani) sono confluiti nei bilanci direttamente e indirettamente. Marchionne fa il proprio gioco ma sta bluffando. Forse è arrivato il tempo per dare una nuova dirigenza a questa società e credo che siano proprio questi i tempi futuri che ci aspettano. Vedo che anche la classe politica comincia a prenderne atto.
    saluti

  4. Giorgiob75

    Ho letto il testo dell’accordo su Pomigliano.

    Mi sembra di leggere richieste ragionevoli.

    In particolare mi stupisce che quanto descritto al punto 8 (Assenteismo) debba trovare forma scritta.
    Quanto richiesto al punto 8, secondo me, sono solo regole di buon senso.

    Nell’accordo non ho trovato riferimenti al fatto che, in caso di malattia, i primi tre giorni non verrebbero pagati. Trovo giusto punire gli abusi, ma chi é malato per davvero deve essere pagato per tutto il periodo della degenza.
    Forse si preferisce che con la febbre a 39 si vada al lavoro, si impestino il colleghi e magari ci si faccia male ?

    Ho un’unica perplessitá riguardo l’orario di lavoro visto che una settimana si lavora 6 giorni e una quattro. Mi sembra di capire che difficilmente il Sabato e la Domenica saranno liberi e questo potrebbe essere problematico per quanto riguarda la gestione di una famiglia.
    Il fatto che quanto sopra possa essere problematico, non vuol dire peró che sia un problema insormontabile.

    La questione dei turni coinvolge qudri, impiegati ed operai, ma ho l’impressione che alla fine i turni li faranno solo quelli che lavorano in catena di montaggio. Operai al 90%.
    Non é un discorso classista, ma solo una previsione che in quanto tale potrebbe essere anche sbagliata.

  5. Paolo

    Lo sciopero è una misura estrema. L’estrema ratio che va’ usata con parsimonia. Ma non è minacciando sanzioni e licenziamenti agli scioperanti che si cambia una virgola della questione. Semmai è la capacità di discutere, di convincere, di collaborare come dimostrato dalla stessa FIAT negli altri punti di rilancio dello stabilimento di Pomigliano. E’ molto strano che FIAT abbia così lungimirantemente proposto un bel piano di rilancio per Pomigliano, aggiungendovi poi quelle due-tre schifezze sostanzialmente non necessarie ma che mettono in dubbio alcuni principi (diritti) così cari a parte del sindacato.
    Quasi che questa dello sciopero sia il risultato dell’intervento di una “manina santa” scesa dal cielo sulla proposta FIAT (o della FIAT stessa che con questo vuole solo scaricare il barile sui sindacati, con la precisa volontà di lasciare la produzione in Polonia).
    Insomma, non mi pare così cristallina la cosa. Certamente mi sbaglio.

  6. bill

    Il problema è semplice: per potere fare sciopero nei turni supplettivi, si decide per uno sciopero eterno, dato che l’azienda farà ciao ciao con la manina e se ne andrà. Il diritto di sciopero ok, ma qui siamo al voler dimostrare che il sindacato può tutto, anche a costo di far chiudere uno stabilimento e lasciare a casa migliaia di persone, indotto compreso. Mi dispiace, le singole clausole si potranno anche discutere, ma se il risultato sarà la chiusura di Pomigliano la CGIL sarà responsabile di un disastro di grande portata. Voglio poi vedere le maestranze mandate a casa da quattro burocrati rossi come la prenderanno.

  7. pietro de biasi

    Gentile dr. Giannino,
    la Fiat ha molte ragioni sul caso Pomigliano, a cominciare da una produttività bassa ed un assenteismo scandaloso. Sollevo 2 obiezioni: innanzitutto sanzioni disciplinari individuali contro scioperi, per quanto pretestuosi, immotivati e, sostanzialmente volti a disapplicare accordi sottoscritti, sono illegali (tanto da farmi dubitare che la Fiat le abbia richieste); secondo, l’intero impianto del testo proposto mostra una profonda sfiducia di Fiat (che, ahimè, condivido) nei confronti e di parte dei lavoratori di Pomigliano e delle loro rappresentanze sindacali; temo che regole e sanzioni non siano la via per ridare competitività allo stabilimento, secondo il vecchio detto italiano “fatta la legge, trovato l’inganno”.
    Infine una obiezione a Lei. L’accordo interconfederale sugli assetti contrattuali non prevede alcun ulteriore decentramento della contrattazione (nella parte riguardante i contratti di secondo livello è sostanzialmente identico a quello del 93); anzi prevede che il contratto nazionale regoli tutta la materia normativa, eventualmente delegando esplicitamente alcune singole materie al livello aziendale. In questo senso quello che sta facendo ora Fiat è simmetricamente contrario allo schema vigente; ed è in questo coerente, avendo essa avversato (a mio giudizio a ragione) l’accordo stesso.

    cordiali saluti

    Pietro de Biasi

  8. ACR

    Ma di cosa stiamo parlando? I privilegiati sono gli operai di Secondigliano??? Auto blu, stipendi dei parlamentari, province quando verranno toccati? Ieri il differenziale con i bund è andato oltre i 200 b.p..
    La Fiat ritiene che il costo di produrre auto sia troppo alto in Italia? Vada fuori…ma non pretenda più nessun aiuto di stato. Si liberalizzino le professioni ( i taxi ???che fine ha fatto la liberalizzazione, i notai???) e si creino posti di lavoro che stanno in piedi da soli.

  9. Markus

    E’ l’intera classe dirigente della FIAT che deve cambiare, non la FIOM. L’eventuale chiusura di Pomigliano sarà responsabilità interamente da addebitarsi alla attuale dirigenza FIAT e di questo ne dovranno rispondere di fronte al popolo italiano. Rimango dell’opinione che Marchionne & co. stanno bluffando alla grande in quanto non credo che siano così avventati per accollarsi una responsabilità del genere. Il sindacato sbaglia a mantenere il discorso incentrato sul piano tecnico, ci sono piani etici e morali che sono al di sopra di tutto ciò. Staremo a vedere.
    Saluti

  10. roberto savastano

    molto probabile mi sbagli e non capisca un acca di queste cose ma la posizione della FIOM mi ricorda molto quella tenuta nella vertenza dell’Alfa di Arese, descritta mirabilmente da Pietro Ichino nel suo “A Che Serve Il Sindacato?”.
    Immagino inutile ricordare l’epilogo di quel capitolo. La FIOM è riuscita a creare una sacca di disoccupazione in una delle aree -allora- a maggiore densità di impiego in tutta Europa.

  11. PAOLINO PAPERINO

    i sindacati sono legati ai vari partiti e quindi non fanno ormai da decenni gli interessi dei lavoratori.
    la confindustria fa giustamente i suoi interessi.
    la fiat da decenni vive sulle nostre spalle per comprare oggi anche i tacchi a spillo a Lapo e al grande timoniere jhon elkan.
    le nostre imprese delocalizzano la produzione e ci lasciano senza lavoro.
    i vari giornalisti e/o economisti prezzolati dicono in buona sostanza che va bene cosi.
    che fare?
    non so …ormai la vaselina e’ finita…. tanto alla fine ricchi e poveri moriremo tutti assieme ingoiati dai cinesi e dagli indiani.

    ad maiora .. o meglio ad peiora

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