I ticket sanitari in controluce
La proposta di risparmiare cinque miliardi di euro nella sanità fra il 2012 e il 2014 attraverso l’introduzione di nuovi ticket (anche sui ricoveri ospedalieri) modulati sul reddito ha immediatamente suscitato scalpore e, prevedibilmente, è stata prontamente seguita dalla smentita del Ministro della Salute Balduzzi.
Per raggiungere l’obiettivo sono previste due ipotesi: o una franchigia sulle spese sanitarie in base al reddito tra il 7 e il 9 per mille, oppure l’introduzione di sei scaglioni di reddito (6.000, 12.000, 18.000, 30.000, 40.000 e oltre 40.000 euro), con ticket modulati, per cui solo la prima risulterebbe esente da ticket. Nel secondo caso, dai 12 mila euro in su si pagherebbero 1 o 2 euro sui farmaci, da 10 a 180 euro sui ricoveri in day hospital e da 10 a 200 euro per i ricoveri ordinari.
Era davvero così necessaria una ritrattazione immediata? Per rispondere a questa domanda, si considerino alcuni dati relativi alla spesa sanitaria evidenziati nel Rapporto 2012 “Il Sistema Sanitario in controluce‘” della Fondazione Farmafactoring.
Il documento evidenzia come dal 2006 il tasso di crescita della spesa sanitaria nominale sia inferiore al 5% e in costante riduzione. Relativamente al 2011, sembrerebbe che la spesa sanitaria sia arrivata a 112 miliardi circa di euro: per la prima volta dopo quasi venti anni, si registra una diminuzione in termini nominali (rispetto al 2010, il calo è pari allo 0,6%). Buone notizie anche dal punto di vista del disavanzo, ridotto di 1 miliardo (nel 2010 era pari a 2,3 miliardi di euro) e, per la prima volta dopo circa 8 anni, al di sotto dei 3 miliardi di euro. Tuttavia esso persiste, ed è segnale di una gestione ancora non efficiente della spesa pubblica. Come rimedio, le manovre varate dal governo Monti che mirano a correggere l’indebitamento netto di circa 2,8 miliardi di euro nel 2011 (che saliranno a 48,5 miliardi nel 2012, a 75,6 nel 2013 e a 81,3 miliardi nel 2014). Eppure gli interventi agiscono soprattutto (per l’80% nel 2012, e poco meno del 70% nel biennio successivo) dal lato di maggiori entrate, sebbene nel Rapporto sulla spending review il governo abbia dichiarato di voler tagliare la spesa pubblica sanitaria di circa 97,6 miliardi di euro nel breve periodo per poter ridurre la pressione fiscale, anche se ancora non è chiaro dove e in che modo.
A fronte di queste parzialmente buone notizie, si nota però come, secondo le simulazioni di spesa nel biennio 2012-1014, la dinamica tendenziale dei costi indicherebbe l’esistenza di fattori strutturali che causerebbero nei prossimi anni una crescita: (a) importante; (b) incompatibile con i livelli di finanziamento. Prima di smentire in fretta e furia l’idea di far contribuire ai cittadini per le loro spese, sarebbe quindi opportuno ragionare sull’auspicabile proseguimento di un trend di crescita contenuta della spesa e mirata a contenere il disavanzo. A tal fine, i ticket potranno anche non piacere in quanto non rappresentano uno strumento di consenso politico, ma consentono almeno di non aumentare ulteriormente le tasse. Non solo perché il livello di tassazione in Italia ha già raggiunto dei livelli esorbitanti, ma anche perché in un settore come quello sanitario, risulta un intervento molto distorsivo: infatti dal Rapporto Farmafactoring del 2011 emergeva come la spesa pro-capite dei pazienti cronici fosse circa quattro volte quella dei non-cronici. Questo è anche confermato dal fatto che il consumo di spesa sanitaria pubblica è piuttosto diseguale (il 40% circa degli individui ha una spesa sanitaria pubblica prossima allo zero), mentre il consumo di spesa privata è più omogeneo tra la popolazione (lo stesso 40% consuma circa il 27% della spesa sanitaria privata). Ricorrere allo strumento dei ticket per finanziare la sanità appare in quest’ottica ancora più auspicabile: grazie a essi è infatti possibile spostare il carico della spesa su chi usufruisce del servizio e può pertanto produrre una maggiore responsabilizzazione degli utenti, favorendo il contenimento della domanda. Questo vale soprattutto per coloro per cui le spese sanitarie non sono fondamentali, contribuendo così ad evitare che pesino sulle finanze causando costi inutili quanti hanno meno bisogno di cure. Nei fatti, gli abusi di chi sta meglio andrebbero a pesare sulle necessità di chi sta peggio. Per questi ultimi sarebbe certamente opportuno prevedere delle riduzioni ed esenzioni, ma per poter far questo senza aumentare il deficit nel settore è necessario che prima si evitino gli eccessi di coloro che ne hanno meno bisogno.
Del resto, sebbene non sia possibile evidenziare alcun legame di causa-effetto, non si può non notare come il trend positivo di riduzione della spesa sia seguito all’introduzione dei ticket nel 2007: in particolare, nell’ultimo anno per il 58% degli italiani la spesa affrontata direttamente di tasca propria (per visite mediche, dentista, analisi e accertamenti diagnostici) è aumentata del 18%. La crescita è dovuta in particolare ai ticket, soprattutto quelli per i farmaci (per il 65% dei cittadini), le visite mediche specialistiche (64%), analisi e radiografie (63%).
Si consideri inoltre che solo facendo pagare il prezzo reale della prestazione sanitaria si stabilisce un vero «terreno di gioco livellato» per mettere in competizione la sanità pubblica con quella privata: nello stesso anno in cui i ticket sono aumentati, il 39% degli italiani ha fatto ricorso alla sanità privata per almeno una prestazione, pesando così meno su quella pubblica.
Se, comunque, si continuerà a rinnegare la riforma dei ticket, almeno si chiarisca come si intendono ottenere i risparmi in sanità senza ricorrere solo alle maggiori entrate fiscali. Se è pur vero che dei tagli sono realizzabili sul lato delle spese amministrative, per personale ecc., una maggiore efficienza della spesa è imprescindibile da una razionalizzazione dei (sovra)consumi. L’alternativa è la riduzione delle prestazioni erogate non in virtù di una maggiore responsabilizzazione degli utenti dell’SSN – ma per decisione dirigistica.
In linea di un principio di equità tra “cittadini residenti” posso convenire con quanto riportato.
Tra i tanti argomenti in questo frangente le mie riflessione sono volte al tema dei c.d. ricongiungimenti familiari di cittadini extracomunitari.
Troppo spesso sono stati presi provvedimenti oltremodo generosi, forse legittimi da un punto di vista umano, ma senza avere piena coscienza del costo che veniva accollato allo Stato.
Oggi tutti, come candide vergini, prendono atto, aggiungo con sorpresa, che lo Stato non è solo una entità che paga per tutti ma che è piuttosto la collettività ad essere chiamata, in ultima istanza, a pagare il ripianamento di spese. Costi che non sono mai stati veramente quantificati da coloro che, demagogicamente, hanno approvato i provvedimenti.
Di queste situazioni ci saranno tante altre.
Purtroppo resta a noi cittadini piangere ancora una volta sul latte versato.
Auguro a tutti una proficua giornata di lavoro
L’unica cosa che posso dire è che un sistema del genere è in vigore in Emilia Romagna da un anno.
La cosa bella è che come è strutturata si prende a riferimento il reddito familiare e non si tiene presente per nulla il numero dei figli ed i carichi.
Quindi se uno ha 3 figli e, grazie a Dio, non è alla fame paga più di un single che guadagna, o fa finta di guadagnare, un pò meno del fesso con 3 figli.
Va benissimo, purchè ci lascino i soldi per pagare le prestazioni.
Vogliono passare dalla tassazione diretta alla tassazione indiretta? Bene.
Ma allora la tassazione diretta deve essere molto, molto, molto ridotta.
Diversamente è il solito, scontato (ma neppure troppo a vedere le cifre), sistema per foraggiare le entrate.
Che non bastano mai.
Anch’io sono d’accordo per la compartecipazione alla spesa sanitaria, in quanto certamente scarica su chi usa il servizio parte del costo e non su tutti e in certo modo si crea una certa educazione sanitaria. In quanto medico mi rendo conto di come non vi sia la percezione del costo effettivo delle prestazioni. Dico solo che con un’efficente revisione dell’organizzazione della sanità (riduzione di ospedali piccoli ed inefficienti, eliminazione conseguente di servizi spesso doppi e scarsamente adeguati a favore della valorizzazione di quelli più efficienti, forniture ai costi migliori del mercato, ottimizzazione dell’impiego di personale medico, paramedico e dirgenziale) si potrebbero liberare risorse molto superiori di quelle che la politica dei ticket attuali garantisce. A volte è imbarazzante dover far pagare i cittadini quando esistono degli sprechi grandi come una casa.
Paghiamo questi tickets ma, per favore, non basateli sulla dichiarazione dei redditi perché si finirà sempre per farli pagare ai lavoratori dipendenti e pensionati e non ai gioiellieri con il reddito medio inferiore a 20M euro!
Franco
Permettetemi di esplicitare una mia critica, credetemi, scevra da qualsiasi ideologismo.
Sia chiaro, in linea di principio sono d’accordissimo con il ticket ma dovrebbe essere per l’appunto una cifra disincentivante l’abuso non impossibilitante l’accesso. Conosco già alcune persone che evitano di curarsi per non pagare ticket che, almeno in lombardia, hanno già dei livelli per alcuni inacessibili. Evitare analisi porterà a dover affrontare alcune malattie quando saranno nello stato più avanzato. Questo comportamento produrrà non una diminuzione ma un aumento dei costi sanitari che non si risolverà aumentando nuovamente i ticket.
Inoltre, e questo è un mio modo di vedere, l’unica cosa che mi consola ogni volta che mi relaziono con questo stato ladro, impoveritore e assassino.. ( sì, assassino, perchè rubare ore di lavoro alle gente vuol dire rubare loro ore di vita).. è che almeno non devo vedere in giro gente che non si può curare perchè non ha i soldi, perchè finirei a darglieli io. Allora, ed è una provocazione, perchè non finiamo di regalare soldi a cani e porci (uno per tutti il fondo per il cinema) e convogliamo i finanziamenti nella sanità?
grazie
Niky
“grazie a essi è infatti possibile spostare il carico della spesa su chi usufruisce del servizio”. Come se, trattandosi di spese mediche e di un servizio pubblico, questo fosse giusto. Ti ammali? Paga. Un principio di civiltà, direi.