I tagli alle Regioni e il federalismo promesso
Chi ha ragione e chi ha torto tra le Regioni e il Governo, sulla manovra correttiva dei conti pubblici? Le Regioni, se i tagli non vanno insieme a uno schema preciso per l’individuazione di come funzionerà il federalismo fiscale, per premiare le più efficienti. Il Governo, se però si guarda complessivamente al contributo necessario per il contenimento del deficit. Cerchiamo di capire, numeri alla mano.
Le Regioni sostengono che la manovra è irricevibile nella parte che le riguarda. Per quelle a statuto ordinario, la manovra dispone nel 2011-2012 minori trasferimenti per le funzioni loro delegate dalla “Bassanini” – trasporto pubblico, sostegno all’impresa, edilizia residenziale, viabilità, ambiente – di 8,5 miliardi, più un miliardo e mezzo a carico di quelle a statuto speciale. Le Regioni lamentano che a questi tagli si aggiungono altri 7 miliardi per le ordinarie e 1,5 per quelle a statuto speciale, per il giro di vite al Patto di stabilità già disposto l’anno scorso. Dicono le Regioni che i tagli alla loro spesa biennale sarebbero di conseguenza del 13%, solo del 4% per quelle a statuto speciale, del 3% per Province e Comuni, di un misero 1,6% in capo allo Stato. Tutto questo, aggiungono, quando il loro contributo nell’ultimo quinquennio è già stato di un meno 6% alla formazione di debito pubblico, rispetto al meno 3,9% dei Comuni e al più 10%, invece, dello Stato.
Che cosa ribatte il governo? Che ad essere irricevibili sono i calcoli delle Regioni. La Ragioneria dello Stato risponde infatti che, dei poco meno di 40 miliardi di minor deficit disposti per il 2011-2013, il conto va fatto complessivamente, e cioè sul totale sia delle delle minori uscite che pesano per il 60% della correzione, sia dei 25 miliardi maggiori entrate, in parte a compensazione di maggiori spese. Computando insieme sia le minori spese sia l’impopolarità delle maggiori entrate sia le maggiori spese che vengono dichiarate a sostegno dello sviluppo, ecco che le Amministrazioni centrali e locali non solo hanno pesi quasi equivalenti, ma è lo Stato ad accollarsi il più della correzione: con 29,6 miliardi rispetto ai 27,3 delle Autonomie.
Tremonti aggiunge poi due argomenti che considera decisivi. Se si considera il totale delle manovre varate dal governo, a cominciare dalla pluriennale di due estati fa, lo Stato e gli Enti che controlla hanno dato il 57% del contributo alla correzione dell’indebitamento netto intervenuto, Regioni ed Enti Locali solo il 41%. Che poi lo Stato continui a indebitarsi di più di loro sui mercati è ovvio, aggiunge Tremonti, visto che il debito pubblico è nazionale, ma comprende appunto anche i trasferimenti alle Regioni: quelle stesse Regioni che, passata loro la competenza sugli invalidi, in un decennio hanno chiuso gli occhi di fronte al lievitare della spesa relativa, da 6 a 16 miliardi di euro.
L’argomento centrale di Tremonti, che lo ha spinto a dire incontrando le Regioni che possono decidere loro come ripartire tra quelle a statuto speciale e ordinario i tagli ma sull’ammontare di questi il governo non transige, sta tutto in queste due cifre: dal 1997 al 2008 la spesa corrente primaria centrale è salita del 38%, nel frattempo la spesa corrente delle Regioni e delle Autonomie è aumentata dell’80%. Anche se ciò ha riflesso in parte i trasferimenti di funzioni dal centro alla periferia col Titolo V della Costituzione nel 2001, è chiaro che si tratta di dinamiche esplosive, che soffocano l’economia e la società, che impediscono ogni speranza di ridurre le imposte.
Dall’altra parte, però, Formigoni ed Errani, alla testa della protesta delle Regioni, non hanno torto quando sottolineano che tagli di queste proporzioni oggi incidono in maniera esattamente contraria a quanto il centrodestra promette da anni con il federalismo fiscale. I tagli senza adozione contestuale del meccanismo del costo-standard, infatti, puniscono di più proprio le Regioni più efficienti. Tanto che la più colpita sarà l’unica Regione che, negli anni 2006-2008, ha ridotto la propria spesa dell’11,4%: la Lombardia, che si vede tagliati in 2 anni 1,4 miliardi aggiuntivi. Idem dicasi per il Veneto, con 640 milioni in meno, malgrado abbia aumentato la propria spesa corrente del 13% in un biennio. Cifra che può apparire alta solo a chi dimentica che nelle Regioni più inefficienti essa nel solo 2006-08 è salita di tre o quattro volte tanto: in Campania del 23%, nel Lazio del 56%, in Molise – la Regione meno toccata dalla manovra, per soli 79 milioni – addirittura del 66%.
Fino ad oggi, il Governo ha avuto un approccio più aperto con i Comuni. Partiti lancia in resta anch’essi contro i tagli della manovra, sedendosi al tavolo con il Governo è stato illustrato ai sindaci lo schema della Service Tax, che con il federalismo fiscale verrà loro attribuita come principale fonte di entrata propria, accorpando diverse imposte attuali di registro e catastali sugli immobili: per circa 25 miliardi, cifra che ha immediatamente rabbonito i Comuni. Ma sul meccanismo del costo standard per le spese primarie delle Regioni, cioè fuori dalla Bassanini – sanità, assistenza sociale e istruzione, l’85% del loro bilancio – il promesso decreto attuativo delle legge delega sul federalismo da una parte è atteso a brevissimo, dall’altra si è ancora indietro sui meccanismi per individuarlo. Tanto che è solo dell’altroieri, l’indiscrezione secondo la quale il compito di elaborarlo verrà attribuito alla Sose, la società fin qui incaricata di elaborare e correggere nel tempo e per andamenti territoriali gli studi di settore, in base ai quali pagano le imposte oltre 200 tipologie di professionisti e lavoratori autonomi. Ma ciò implicherà tempi lunghi: nel frattempo, o alle Regioni virtuose il governo dà garanzie concrete che il costo standard non si applicherà sulla base di spesa ridimensionata dalla manovra, oppure in effetti avrà ragione Formigoni, quando sostiene che la promessa della Lega è stata violata.
è pericoloso per le regioni avere ragione se il governo ha torto…può anche finire che le regioni siano condannate ad avere ragione…
Promesse e ragioni a parte, da qualche parte si cominci a tagliare…
…Il virtuosismo massimo sarebbe quello di avere degli avanzi per dettare e proporre abbassamenti d’imposta…
…Scusate, è vero: inimmaginabile…
…l’autoreferenzialità non è un valore economico.
Via la burocrazia inefficiente e vedrete che le risorse si troveranno.
A proposito di federalismo fiscale, Le scrivo per esprimere una mia proposta in ottica liberista in merito alla soppressione dell’IRAP soprattutto alla luce dell’inesorabile perdita di competitività del nostro sistema-impresa degli ultimi anni.
Secondo mio modesto avviso la soluzione meno dolorosa connessa all’abolizione dell’IRAP (assolutamente urgente) è quella di aumentare esclusivamente l’aliquota IRES per poi riportarla al livello attuale (nel giro di tre/quattro anni).
Infatti, l’abolizione dell’IRAP comporterebbe un significativo miglioramento di competitività per le imprese italiane (importante soprattutto in questa fase del ciclo economico), con connesso aumento delle basi imponibili, miglioramento che sarebbe solo in parte (secondo me marginalmente) frenato dall’aumento (tra l’altro temporaneo) dell’IRES.
Escludendo il Governo (nè questo nè quelli precedenti), a chi mi devo rivolgere affinchè questa mia proposta venga quantomeno vagliata?
Concludo a là Manzoni: ai posteri l’ardua sentenza.