I sogni di monete globali, il $ e il suo nemico
Ma quanto conta davvero, il fattore cambio tra le valute delle tre macroaree mondiali, ai fini dell’exit strategy? Se diamo un’occhiata alle tante proposte del post Lehman, c’è da perdere la testa. Mi faccio aiutare da una guida, elaborata in proposito da Kati Suominen del German Marshall Fund a Washington. La conclusione? Il dollaro ha un solo nemico al momento, checché dicano in tanti. Un nemico interno, però. Al G20 di Londra nell’aprile 2009, il governatore centrale della Cina, Zhou Xiaochuan, pose ufficialmente il tema. Il dollarocentrismo non andava più bene. Occorreva una profonda rivisitazione dell’attuale paniere sulla base dei quali sono definiti i Diritti Speciali di Prelievo (SDRs) in sede di FMI. Anche il presidente russo Dmitry Medvedev aggiunse la sua bocciatura al dollaro, invocando però un mix di valute regionali. Statisti ed economisti europei, timidamente, tentarono di sostenere un ruolo crescente dell’euro.
Washington rifiutò. Promise disciplina fiscale per mantenere solido il dollaro. Il governatore della BCE, Jean-Claude Trichet, prudentemente si astenne dalla partita, preferì dichiarare che il dollaro era lungi dall’aver terminato la sua missione. Una prudenza saggia, vista la crisi dell’eurodebito che sarebbe esplosa sui mercati da metà gennaio 2010.
Al G20 di Toronto a fine giugno, le valute sono scomparse dai comunicati finali. Per tre fattori diversi. L’eurocrisi del debito, appunto. La ripresa americana, comunque superiore al 3% anche se con segni di frenata da maggio. Il ritorno del renminmbi alla fluttuazione controllata già vista all’opera dal 2005 al 2008, prima di tornare nella crisi al cambio assolutamente fisso sul dollaro. In effetti, da fine 2009 a oggi la valuta cinese si è apprezzata di ben il 18% sull’euro, assai meno sul dollaro. I cinesi, fidandosi poco dell’euro a seguito della crisi di debiti sovrani del nostro continente, non sono tornati sul dollaro ma hanno ripreso a comprare massicciamente titoli in yen. Non capitava da anni.
Eppure, il tema continua a occupare la riflessione degli economisti.
Nella famosissima conferenza a Bretton Woods che mise le fondamenta di FMI e Banca Mondiale, John Maynard Keynes propose una valuta globale, il bancor, emessa da una International Clearing Union, e fondata sul valore di 30 commodities oro incluso, scambiabili a tassi fissi rispetto alle valute nazionali. I diversi Paesi avrebbero mantenuto conti in bancor presso l’ICU, attingendovi quando fossero incorsi in problemi di bilancia dei pagamenti. Le cose andarono diversamente. Ma ancora nel 1967, prima della tempesta che portò all’inconvertibilità del dollaro, il FMI prevedeva che a fine secolo gli SDRs avvrebbero rappresentato la metà delle riserve mondiali. Il Nobel Bob Mundell, teorico delle aree monetarie ottimali e padre putativo dell’euro, sposò la stessa tesi. Oggi ripresa da Zhou Xiaochuan.
Nel post Lehman diverse altre idee si sono fatte avanti. Fred Bergsten ha proposto la facoltà per i Paesi membri del Fmi di swappare dollari per SDRs, per diminuire l’esposizione sul biglietto verde. Un’apposita commissione ONU guidata da Joe Stiglitz è andata oltre, riprendendo l’idea di chi vorrebbe espandere i SDRs fino al bancor di Keynes. Strauss-Khan ha sostenuto a inizio 2010 che presto o tardi sarà l’FMI, a “stampare” SDRs. Una commissione nominata dal FMI ha invece proposto una vera e propria banca centrale indipendente globale, con un rating a quattro A senza rivali nel pianeta, capace di emettere bonds e altri strumenti finanziari denominati in una vera e propria valuta mondiale.
Lo scopo di tali proposte è comune. Assicurare stabilità ai cambi, benefici per ciascuno sulla base di economie di scala, abbattendo i privilegi impropri che al dollaro vengono dal signoraggio mondiale. Tuttavia, la realtà dista da questi intenti come gli oceani dai lavandini.
Il G20 ha espanso gli SDRs di 250 miliardi di dollari nella crisi. Ciò vale a malapena un 4% scarso delle riserve mondiali. Per superare il $ nelle riserve, ne occorrerebbero circa 4 triliardi in valore di SDRs neomessi. Il Fmi dovrebbe diventare una vera banca centrale mondiale. I nuovi SDRs dovrebbero essere trattati sui mercati e non solo attraverso operazioni di tesoreria tra Paesi membri del Fmi, per esporsi alla concorrenza con assets esistenti. Tutto questo non si vede come potrebbe avvenire, visto l’avverso interesse di Washington e il diritto di veto attribuito in sede FMI agli USA per emettere nuovi SDRs. Persino su una nuova composizione del basket di riferimento per gli SDRs atuali, basata su dollaro, euro, yen e sterlina, non si è riusciti a fare un solo passo avanti, rispetto a chi ha proposto di inserirvi valute come quella di Australia, Cile, Canada e altri detentori di materie prime.
Il fronte dei limitati sostenitori del renminmbi o dell’euro come nuove valute di riserva mondiale destinate a scalzare il dollaro si è raffreddato, dopo i primi entusiasmi post Lehman (pensate solo all’entusiasmo con cui tedeschi e italiani hanno salutato la recente svalutazione dell’euro sul dollaro). C’è infine l’idea di tornare ad avere più valute di riserva in concorrenza, come avveniva nel sistema finanziario mondiale precedente al 1914. E’ effettivamente a mio giudizio un’idea meno balzana di quanto appaia. L’Asia potrebbe avviarsi a una vera e propria unione dei mercati finanziari, fino a sfociare in una comune e molto potente area monetaria. E a quel punto le tre macroaree potrebbero trovare accordi temporalmente variabili di cambio, una sorta di maxi accordi tipo Plaza di anni fa, ma su basi valutarie integrate in ciascuna delle tre maggiori aree del mondo.
Fatto sta che siamo ancora molto lontani, da questi che al momento restano sogni ambiziosi. Dal che si deduce una sola cosa. Che il dollaro non corre alcun rischio, checché si dica, come vero sovrano monetario. Il vero nemico del re-dollaro è solo interno: l’eccesso di debito pubblico acceso da mister Obama. E servià probabilmente – penso io, assumendomi l’impopolarità del vaticinio – un altro presidente, per spegnerlo e tenere il dollaro in salvo.
Keynes e i suoi seguaci hanno fatto e fanno più danni della peste. Di crisi in crisi, o peggio dopo una guerra, si dovrà tornare al Gold standard. Nella storia tutti i sistemi alternativi sono clamorosamente falliti e questo farà lo stesso. E’ solo una questione di tempo ma i debiti degli stati ci travolgeranno. Ieri è stato reso noto l’incremento del debito pubblico italiano da aprile 2010 a maggio 2010: 14,314 miliardi vale a dire il 9,47% su base annua. Da maggio 2009 a maggio 2010 73,77 mld pari al 4,2%. Se il ritmo di aumento si confermasse quello di aprile-maggio in circa un anno arriveremo a 2000 miliardi di debito. Non male per un debito sotto controllo!!!
@Pietro64
ho un dubbio: è opportuno guardare quei dati mensili sul debito quando questo cresce quasi in continuo ma viene abbattuto via tasse che arrivano in tempi discreti, alquanto concentrate in un certo periodo (dichiarazioni dei redditi ad esempio)? Il mio dubbio nasce dal fatto che le proiezioni sui debiti pubblici che ho visto avrebbero un’italia al 100% da qui al 2040, ma i numeri che porti tu non mi sembrano coerenti con questo, appunto sembrano fuori controllo. O c’è un inghippo statistico o le proiezioni del FMI (e di vari altri) sono emerite vaccate.
@Pietro64 @Leonardo
in un documento di citygrup (una delle più importanti banche del mondo), pubblicato qualche tempo fa anche da questo blog, si legge che il debito pubblico italiano già ad aprile 2010 si è attestato attorno ai 2200 miliardi di euro! Solo che questo dato ancora non può apparire nei bollettini di bankitalia in quanto questo debito è stato “swappato” negli anni. Perchè? MA per poter entrare nella zona euro, ovvio!
Vadano a quel paese tutti quei politici che ci raccontano che l’Italia è in una situzaione migliore della grecia per il semplice motivo che “noi non abbiamo truccato i conti…”
Li abbiamo truccati eccome!
@Leonardo, IHC
Io non ho fatto altro che prendere la notizia della Reuters di ieri e calcolare gli aumenti percentuali. http://it.reuters.com/article/newsOne/idITMIE66C07S20100713 che dice: “ROMA (Reuters) – Il debito pubblico italiano è salito nel mese di maggio a 1.827,104 miliardi di euro.
Lo rende noto la Banca d’Italia nel supplemento di finanza pubblica al bollettino statistico.
A maggio 2009 il debito era di 1.753,335 miliardi di euro.
Ad aprile 2010 era stato pari a a 1.812,790 miliardi di euro.”
Se non ho sbagliato a calcolare le percentuali gli incrementi dovrebbero essere quelli. Concordo che l’incremento mensile (14,3 mld) annualizzato (come tutti i rendimenti mensili annualizzati) lascia effettivamente il tempo che trova perchè è facile che possa essere influenzato da fattori contingenti, ma quello anno su anno 4,7% credo possa essere considerato attendibile nel senso che le quote di abbattimento da tasse nel maggio 2009 dovrebbero essere simili a quelle del 2010 e quindi ininfluenti.
Ho scritto 4.7% ma è 4.2% scusate.
@Pietro64
mica mettevo in dubbio te, è proprio un dubbio mi metodo che mi è venuto in mente leggendoti. Il dato congiunturale (mese-mese) mi è sembrato un po’ eccessivo; ripensandoci il dato tendenziale (anno-anno) potrebbe essere quasi spiegato (meno entrate, più spese, più interessi…). Però appunto proiezioni elaborate un paio di mesi fa parlano di stabilizzazione tra poche decine di anni sul 100%… e di un debito che cresce ancora in percentuale del PIL per qualche anno, quindi in realtà potrebbe essere tutto coerente. Cioè il debito potrebbe essere sotto controllo ma in una ottica piuttosto lunga, non certo da qui a uno o due anni.
Quale che sia la quantità di debito nazionale il problema è che non ci sono gli incentivi per i politici a ridurlo. Nell’orizzonte temporale di qualsiasi partito il costo di ridurre il debito sostanzialmente è tale che non vale la pena di farlo neanche se si sta al potere per 10 anni di seguito. ll che significa che il debito può solo aumentare o rimanere costante in senso assoluto e, al massimo, diminuire come proporzione del PIL. Solo che con un debito elevato come quello italiano è più probabile che ci esploda in faccia piuttosto che il PIL salga tanto velocemente da ridurre effettivamente il rapporto debito/PIL nel lungo periodo.
Il che significa che, prima o dopo, in un modo o nell’altro, lo stato italiano dovrà andare in default su qualche debito: magari non pagherà le pensioni come promesso, oppure inflazionerà in qualche modo (in accordo con il resto dell’Europa) o qualche altra idea.
Molto meglio fidarsi dell’oro, per chi può mettere via soldi in questo modo. Quello non lo possono inflazionare come gli pare e piace. Devono scavarlo.