I servizi pubblici locali nella bozza di legge sulla concorrenza—di Andrea Varsori
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Andrea Varsori.
La legge annuale sulla concorrenza e il mercato è un classico esempio di come lo Stato italiano riesce a obbligarsi a delle scadenze che, regolarmente, non rispetta. L’avverbio “regolarmente” non è casuale: è dal 2009, infatti, che il Parlamento e il Governo sarebbero tenuti a recepire, ogni anno, le indicazioni dell’Autorità per la Concorrenza e il Mercato (AGCM) in materia di liberalizzazioni. L’appello, però, è stato finora disatteso.
Da qualche mese, tuttavia, si rincorrono indiscrezioni sulla volontà, da parte del Governo Renzi, di promulgare questa legge. Già a novembre 2014 si pensava che il Consiglio dei Ministri avrebbe reso pubblica la sua proposta in concomitanza con la finanziaria 2015; così non fu. A gennaio, intanto, è arrivata la riforma dello statuto delle banche popolari; nelle scorse settimane, invece, si è cominciato a discutere di misure riguardanti le farmacie. Sembra sempre più certa la possibilità che il Governo infine presenti la propria proposta di legge nella riunione del Consiglio dei Ministri del prossimo 20 febbraio.
Questa legge dovrebbe riformare la regolamentazione di numerosi settori, semplificandola e rendendola più adatta a coinvolgere, ove possibile, le forze del libero mercato; le sue disposizioni dovrebbero riguardare, tra gli altri, il mercato dell’energia, le assicurazioni, i servizi bancari, gli ordini professionali. Il condizionale è d’obbligo: nessuna versione ufficiale è stata resa pubblica dalle fonti governative. Alcune bozze, però, sono nel frattempo circolate online: queste versioni ufficiose possono dare un’idea di quella che può essere l’azione del Governo, anche se solo il 20 febbraio sapremo per certo le misure che saranno portate all’esame del Parlamento.
Tra queste misure, quelle riguardanti i servizi pubblici locali possono essere decisive per smuovere le acque in un settore dove l’intervento pubblico è preponderante e spesso dannoso per il benessere dei cittadini. Nonostante gli interventi dell’Autorità sulla Concorrenza e l’evoluzione della disciplina europea, che raccomanda, dove possibile, l’apertura all’iniziativa economica di operatori privati, gli enti locali tendono comunque ad affidare la gestione dei propri servizi pubblici a società controllate dagli enti stessi (in house), spesso tramite affidamenti diretti. Il mancato ricorso a gare pubbliche si accompagna al fatto che gli enti locali agiscono senza rendere conto dell’economicità e dell’efficienza delle proprie scelte. Tutto ciò crea una situazione opaca, dove ai cittadini non vengono esposti i motivi di certe scelte importantissime, i possibili partner privati vengono sistematicamente esclusi e il clientelismo può proliferare indisturbato.
Alcuni provvedimenti inclusi in alcune bozze possono risolvere questa situazione. Si può obbligare, infatti, l’ente locale a pubblicare la propria decisione, anche su internet, motivandola e dimostrando che è coerente con i requisiti fissati dal diritto europeo, specificando i benefici per la collettività. Ciò mira a rendere più trasparente e razionale il processo decisionale.
Altre misure possono rafforzare l’intervento generale sui servizi pubblici locali. Le società che gestiscono i servizi pubblici locali e che, negli ultimi cinque anni, hanno presentato bilanci in rosso quattro volte su cinque potrebbero essere escluse dalla gestione dei servizi; in maniera simile, potrebbero essere colpite le aziende che forniscono beni e servizi a prezzi maggiori del prezzo di mercato.
Provvedimenti più specifici, e anche in questo caso ancora incerti, riguardano il trasporto pubblico locale: se Comuni o Regioni decideranno di affidare questo genere di servizi a società miste, o a società in house, o mediante procedura di evidenza pubblica, questo affidamento dovrà essere giustificato in base a criteri di economicità, anche coinvolgendo l’AGCM. Risorse aggiuntive potrebbero essere riconosciute alle Regioni che ricorrono a procedure di gara. Inoltre, operatori privati potranno fare concorrenza ai servizi di trasporto pubblico locale, anche dove questi ultimi hanno l’esclusiva: nel caso che si accerti che questa concorrenza pregiudica la redditività del trasporto pubblico, il privato dovrà corrispondere delle compensazioni, che siano però trasparenti, opportune e non discriminatorie. Lo stesso vale anche per operatori internazionali, dove essi, nel collegare una città italiana con l’estero, servano anche tratte locali (pensiamo ai treni di Deutsche Bahn che operano tra Verona e Monaco di Baviera via Brennero).
Si tratterebbe, dunque, di un intervento ampio, che può incentivare la trasparenza e il ricorso a bandi di gara aperti a tutti gli operatori. I provvedimenti sopra elencati, infatti, tracciano proprio questa strada: ne migliorerebbe sicuramente il benessere dei cittadini, assicurando servizi a qualità migliore o invariata ma a prezzi tendenzialmente minori.
Tutto ciò, però, può non bastare. L’opportunità fornita dalla stesura della prima legge annuale sulla concorrenza va colta appieno. In particolare, sarebbe utile includere una normativa dettagliata dei criteri da seguire nel decidere dell’affidamento di un servizio pubblico locale. Specificare i criteri tecnico-economici coi quali valutare vantaggi e svantaggi delle diverse opzioni di gestione può aiutare a rendere più rigorose le analisi e ad evitare che si trascinino delle situazioni di inefficienza. Fattori essenziali come l’esistenza di un mercato, la grandezza di quest’ultimo, il prezzo di mercato di un servizio vanno presi in considerazione nelle analisi di tutti gli enti locali del Paese; queste analisi, a loro volta, vanno imposte anche per gli affidamenti preesistenti, imponendo una deadline per la loro pubblicazione (ad esempio, il 31 dicembre 2015). Anche una relazione giuridica sarebbe necessaria, in modo da capire se una certa opzione di affidamento è conforme all’ordinamento nazionale ed europeo.
A questo proposito, bisogna specificare che un eventuale affidamento in house non è necessariamente illegittimo: alcune sentenze della Corte di Giustizia Europea vi hanno riconosciuto una fattispecie di autoproduzione di un servizio; nella legge sulla concorrenza, però, bisognerà includere dei provvedimenti per evitare che la società alla quale viene affidato in house un servizio appalti poi la gestione di quel servizio a un’azienda terza. Questo violerebbe il principio stesso di autoproduzione e comporterebbe sicuramente un aumento del prezzo del servizio.
Inoltre, è probabile che la legge che verrà presentata il 20 febbraio conterrà delle norme che incentiveranno l’aggregazione e la fusione di società di gestione di servizi, specie in presenza di ridondanza di personale o problemi di bilancio. La riduzione del numero di società pubbliche è certamente un obiettivo da perseguire. Non è difficile, però, immaginare come queste misure potrebbero essere usate per dare vita a società di grandi dimensioni, monopoliste a livello locale. Questa eventualità va scongiurata attraverso analisi, caso per caso, da prescrivere ai Comuni o alle Regioni che vogliono procedere con queste operazioni.
La legge sulla concorrenza, dunque, andrà redatta con cura. Bisogna evitare di lasciare lacune normative che possano essere sfruttate dagli enti locali per tenere in vita situazioni problematiche e opache. Il potenziale rIformatore delle misure riguardanti i servizi pubblici locali è alto. Basti pensare a un settore particolare: lo smaltimento dei rifiuti. Incoraggiare i Comuni ad adottare la soluzione più efficiente può portare a considerare una soluzione a cui si è già fatto ricorso in altri ambiti: la separazione tra gestione del servizio e gestione della rete, vale a dire degli impianti. Una misura del genere porterebbe al mantenimento della gestione pubblica della rete, affidando a un privato, tramite gara, l’esercizio dello smaltimento. Le ricadute economiche, sia in termini di maggiore giro di affari per il sistema economico locale, sia in termini di più efficiente gestione dei servizi, sono solo un esempio delle conseguenze positive che questa legge può avere, se il Governo, nello scriverla, andrà fino in fondo.
L’Italia è stata “bacchettata” dal FMI per le due grandi distorsioni del suo sistema bancario, le Fondazioni e le Banche Popolari di medie e grandi dimensioni. La priorità era ovviamente per le Fondazioni bancarie (ad esempio, vedere https://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2014/wp14181.pdf ).
La riforma delle medie e grandi popolari è arrivata recentemente solo per via della grave sottocapitalizzazione di alcune, fra cui la Banca Popolare dell’Etruria che è stata “commissariati” per la grave situazione patrimoniale derivante dall’ammontare dei crediti deteriorati. La cosa è avvenuta non senza polemiche strumentali nei confronti del governo, volte ad impedire che questa fetta di potere politico locale possa vanificarsi. Le fondazioni per il momento non collassano, quindi nessun problema. Il rispetto degli standard internazionali per la governance bancaria può aspettare.
Ci si può aspettare che il sistema politico italiano riduca una così grande fonte di “poltrone” e di clientelismo con la liberalizzazione dei servizi pubblici locali e la cessione delle società partecipate? Al riguardo sono molto pessimista, come lo sono anche per eventuali accorpamenti che significherebbero ridurre una delle voci di spesa pubblica con maggiori ritorni “politici”.
Al riguardo vedere “La giungla delle partecipate locali” http://revisionedellaspesa.gov.it/blog.html