21
Nov
2013

I sacri cocci

Nel Fatto quotidiano di ieri, il prof. Montanari replicava con ferma indignazione a un articolo in cui Bruno Tinti, nell’edizione di sabato scorso del medesimo giornale, proponeva di vendere ai privati i siti archeologici riversando su di essi il costo di manutenzione, attesa l’incapacità dello Stato di tutelare il patrimonio storico e artistico.

Apriti cielo.

Montanari sfodera tutte le armi della retorica costituzionale e statalista per gridare all’orrore e al tradimento dinanzi alla sola idea che il patrimonio artistico possa avere un valore venale.

Non si ha intenzione qui di replicare all’impostazione ideologica di fondo, fronteggiando l’idea che tale patrimonio, dacché incarna una “funzione civile”, debba necessariamente essere “tutelato con i soldi di tutti” – come scrive Montanari – e sottratto alla disponibilità privata.

Piuttosto, ci sono dei passaggi dell’articolo che meritano di essere specificamente puntualizzati, prima ancora che il lettore possa decidere a quale idea di fondo aderire.

L’autore scrive che l’Italia avrebbe per secoli conservato, e in modo straordinariamente efficiente, il proprio patrimonio artistico. Affermazione indubitabile. Per secoli, l’Italia delle corporazioni private, delle confraternite, delle libere università, dei mecenati della Chiesa finanziava e proteggeva gli artisti, gli artigiani e le loro botteghe. Si gareggiava a Venezia per costruire le chiese più belle, a San Gimignano la torre più alta. Con soldi appartenenti al patrimonio privato. La Repubblica italiana, quella che si fonda sulla Costituzione osannata da Montanari, venne molto dopo, e ha poco più di sessanta anni, non qualche secolo. Non ha fatto in tempo ancora l’Italia repubblicana, e nemmeno fece in tempo quella monarchica, a tutelare nei secoli il patrimonio storico e artistico, che lo abbiamo piuttosto ricevuto in eredità da gente vissuta persino prima della nascita dello Stato moderno.

Ha anche ragione Montanari nel sostenere che la situazione odierna di degrado del patrimonio artistico e culturale è responsabilità di persone con nomi e cognomi. Ma non si tratta solo di quelli da lui fatti. Il punto è che sempre, dietro lo Stato, dietro questo entità così priva di forma da avere per nome il participio passato del verbo essere, vi sono sempre delle persone. Lo Stato, in effetti, non esiste. Esistono persone che hanno il potere di agire indisturbate per suo conte e nel suo nome. E che indisturbate possono fare bene e fare male. Per questo, se riuscissimo ad arrivare a 5 miliardi l’anno, non è affatto detto che avremmo un patrimonio “mantenuto con lindore svizzero”, come si dà per scontato nell’articolo. E non solo perché le persone possono agire mosse da personali interessi ulteriori e divergenti da quello generale, ma pure perché, anche nella più completa buona fede, difficilmente potranno avere quegli incentivi alla corretta gestione del patrimonio dati dal fatto di spendere soldi propri.

Non cerchi lo scandalo, Montanari, allarmando il lettore con la prospettiva della vendita delle scuole e dei tribunali. Perché istruzione e giustizia possono essere e sono già beni privatizzabili. Non esistono solo le scuole private. Esistono anche i giudizi “privati” e si chiamano, nella più comune delle ipotesi, arbitrati. Sono queste forme alternative di risoluzione delle controversie che stanno consentendo, seppur lentamente, un alleggerimento del lavoro dei tribunali statali, tanto che è lo Stato stesso ad incentivarne, in vario modo, l’utilizzo, affrancandoli dalla onerosità di cui erano fino a poco tempo fa aggravati.

È infine vero, come conclude l’articolo, che l’articolo 9 della Carta ha consentito che l’arte fosse bene dei cittadini e che spettasse ad essi la tutela del patrimonio storico e artistico. È proprio per questo che può e deve essere consentito loro di adottare, se ne hanno i mezzi e il desiderio, un monumento, o di comprare una residenza storica, o di mettere a frutto, per il godimento della collettività, un sito archeologico. Esiste una serie di norme molto severe a tutela dell’integrità dei beni privati costituenti patrimonio artistico. Esse bastano a tranquillizzare la collettività circa la loro destinazione e la loro tutela. La quale, infine, è da molto tempo che non viene più interpretata in senso statico e difensivo, ma in senso promozionale come il modo migliore per valorizzare la funzione culturale e la fruibilità del patrimonio artistico. Con l’aiuto di tutta la collettività.

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6 Responses

  1. L’arte non è mai stata di tutti. C’è sempre stato un committente che ha commisionato l’opera a un artista, o a una bottega. In Italia, e in Europa, il più grande committente è stato storicamente la chiesa cattolica (e se vedete un’opera a carattere religioso in un museo di stato, vuol dire che probabilmente è stata rubata da una chiesa o da un convento). Le grandi cattedrali sono state costruite col lavoro e il contributo volontario di persone che lavoravano per la gloria d Dio. In quel senso erano “di tutti”, e anche i poveri entrando potevano sentirsi in una reggia; che gli apparteneva. (A differenza delle grandi opere pagane come le piramidi egizie o americane, edificate da schiavi, preposte anche al sacrificio umano. E lasciamo stare quello che i protestanti hanno fatto alle chiese e ai conventi cattolici in Nord Europa; in Irlanda, per esempio. Grazie a Dio da noi non ci sono arrivati). Però in Nord Europa la borghesia protestante più tardi ha cominciato a commissionare i ritratti di famiglia, e l’arte diciamo così “laica”; ma in ogni caso, l’opera, come nel caso di una chiesa, veniva tramandata di generazione in generazione dai proprietarii che esercitando appunto il loro diritto di proprietà la salvaguardavano; e quella secondo me è la ricetta giusta per la preservazione del patrimonio artistico. Non ha nessuna importanza che solo “in pochi” poi potrebbero goderne. Una volta (anni 1970) ho visto un disgraziato che scriveva con la bomboletta di vernice uno slogan (di sinistra, ovviamente) sul sedere di uno dei leoni di San Lorenzo a Genova. Ora, che “diritto” avrebbe uno cosí a godere del patrimonio artistico italiano?

  2. Luciano Pontiroli

    Interessanti le considerazioni di Serena Sileoni, ma non mi convincono del tutto: l’alternativa al fallimento dello stato nella conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale sarebbe la privatizzazione a diritto invariato? ma la disciplina dei beni culturali privati ne funzionalizza la proprietà! la prospettiva di una diffusa privatizzazione con trasferimento dei costi di conservazione sui privati, in questo quadro, non favorirebbe certo la circolazione dei beni e forse neppure la loro valorizzazione. Finché i privati sono come il FAI o Gallerie d’Italia, va bene: ma chi mai acquisterebbe una villa storica sapendo che il suo diritto è per molti versi limitato?

  3. Matteo

    Inutile girarci troppo intorno. L’ipotesi inaudita va formulata crudamente.

    Lasciamo perdere il Colosseo che pesa troppo, ma gli Stati Uniti in passato manifestarono grande interesse anche per “Amor sacro e Amor profano” di Tiziano, e altre opere della galleria Borghese. La galleria, era un tempo proprietà della famiglia Borghese, veniva quindi, legittimamente, venduta a pezzi in giro per l’europa, dove si sa che le cose vengono conservate meglio, quindi con beneficio della famiglia Borghese da un lato e delle opere dall’altro. Il vecchio museo si trova ora particolarmente disseminato su un vasto territorio, ma le opere con un buon aereo, tanti soldi per gli alberghi, e tanta tanta pazienza possono essere visitate cogliendo l’opportunità di visitare le città di quasi tutta europa.
    Per fermare lo scempio lo Stato Italiano comprò il museo, dopo la causa civile che aveva contrapposto il Comune di Roma al Principe Borghese, privato proprietario dei “beni”, ma soprattutto emanò la legge LEGGE 26 DICEMBRE 1901, N. 524, che in sostanza definiva cosa fosse il Patrimonio Culturale Nazionale.

    Bando alle chiacchiere:
    gliela lo diamo “Amor Sacro e Amor profano” agli statunitensi?
    Quelli se se lo comprano è perché se lo portano via a New York, dove indubbiamente lo conserveranno meglio, non per farcelo tenere a casa nostra coi soldi loro.

  4. Nico

    Condivido a pieno il punto di vista espresso dalla Dottoressa Sileoni.

    E’ noto pero’ che monumenti, musei, beni culturali ed artistici, difficilmente riescono a coprire interamente i propri costi di mantenimento, anche se sono gestiti e valorizzati con massima efficienza: gran parte del valore economico del Colosseo o di Pompei viene monetizzato da hotel, ristoranti e servizi di trasporto limitrovi, e non dalla biglietteria o dai servizi accessori forniti all’interno del perimetro del sito stesso.

  5. Luciano Pontiroli

    Un patrimonio presuppone un soggetto che ne abbia la titolarità formale e sostanziale, oppure può essere – sempre sul piano formale – eretto in persona giuridica nel qual caso la proprietà sostanziale spetta ai suoi amministratori. Lo stato è, per l’appunto, la persona giuridica cui è intestato il patrimonio culturale: solo che questo patrimonio comprende non solo i beni appartenenti formalmente allo stato e ad altri enti pubblici, ma anche beni appartenenti formalmente a privati ma da questi gestiti sotto il controllo pubblico. Trasferire formalmente beni dal patrimonio statale o da quello di altri enti pubblici alleggerisce i costi crescenti che costoro non riescono a sopportare ma non fa venire meno l’unità del patrimonio culturale sul piano sostanziale. La domanda, allora è se questa debba essere mantenuta, ripartendone il costo su una cerchia più ampia, o si debba pensare alla sua dissoluzione graduale, rimuovendo gli ostacoli normativi alla circolazione dei beni artistici, storici, ecc.. Detto altrimenti: se il patrimonio culturale formalmente pubblico non può essere mantenuto solo per ragioni di costi, la dismissione di cespiti non modifica la sostanza. Se invece ragioni di principio suggeriscono un passo indietro e la liberalizzazione dei beni culturali, il mondo cambia. Ma l’intervento pubblico negli affari culturali è un fenomeno così massiccio, almeno in Europa, da dubitare che la seconda ipotesi si realizzi mai.

  6. ROBERTO

    Scusate ,
    ma di che accidente parla Montanari, ancora con i letterati a propinare teorie su teorie, analisi, opinioni e intanto tutto il patrimonio nostro sul quale potremmo campare di rendita se ne và a farsi fottere …
    Se i responsabili all’interno dello stato non sono “capaci” , questa è la giustra definizione, manacano le capacità, di mantenere tutto quello che abbiamo
    le strade sono due:
    – privato che ci mette i soldi e recupera il recuperabile
    – se ne và tutto in malora con i soliti benpensanti ma poco facenti che commentano sdegnati..

    ma per favore ! Ancora stiamo ad ascoltare i dottorati incapaci di qualsiasi attività ma solo di teorizzare !
    Servono fatti e pragmatismo, altrimenti evitate di pubblicare certe inutili dichiarazioni.

    Grazie
    RG

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