1
Ott
2015

I referendum anti-trivelle di 10 Regioni: 3 motivi per dire no

Ieri non sono stati depositati in Cassazione i referendum che erano stati promossi da Pippo Civati, non hanno raggiunto le 500mila firme. Due quesiti erano contro la cosiddetta legge Sblocca-Italia che autorizza le trivellazioni alla ricerca di gas e petrolio. Ma cambia poco, rispetto alla decisa opposizione che in molta parte d’Italia in questi ultimi anni si manifesta contro praticamente ogni ricerca di nuovi fonti energetiche fossili e contro qualsivoglia opera infrastrutturale correlata, si tratti di rigassificatori, gasdotti o quant’altro. Infatti ben 10 Regioni hanno depositato in Cassazione 6 quesiti referendari del tutto analoghi e anzi più estensivi di quelli di Civati, contro l’ultimo Decreto Sviluppo e contro la Sblocca-Italia. Dopo le ultime elezioni regionali, il governatore della Puglia Michele Emiliano aveva subito preso la testa dei referendum anti trivellazioni, e contro la decisione ricentralizzare nazionalmente le decisioni per quanto riguarda le opere energetiche strategiche. E a seguirlo sulla via referendaria, ecco Campania, Basilicata, Calabria, Abruzzo, Molise, Marche, Sardegna: tutte Regioni a guida Pd. Ma anche il Veneto di Zaia, e la Liguria di Toti. Intanto a Brindisi alla fine è saltato il rigassificatore dopo 11 anni di inutile attesa da parte di British Gas. Fortissima l’opposizione al TAP, il gasdotto che doveva unire il Salento all’Azerbajgian via Grecia e Albania, nonché ai cinque tratti che dal Sud al Nord Italia dovevano incanalare miliardi di metri cubi di gas lungo l’asse adriatico verso il NordEuropa.

Il no a nuove fonti energetiche e alle opere infrastrutturali pone in particolare tre problemi molto seri. Il primo riguarda il modello di sviluppo. Il secondo, la catena di rappresentanza politica. Il terzo, quale sia il compito delle classi dirigenti.

Che cosa ha davvero in mente, chi dice no per principio? Non crediamo che la risposta possa essere solo la difesa del modello attuale. La risposta, con ogni probabilità, indicherebbe un modello di forte sostenibilità ambientale, e di energia rinnovabile e pulita.

Per controbattere, non c’è bisogno di scomodare stime complesse della ricaduta economica in termini di crescita aggiuntiva e occupazione di ciascuna delle scelte energetiche a cui si dice no. Stime che, ogni volta che le si avanzi, vengono contestate in radice. Bastano invece due esempi concreti. Chiedere agli scozzesi, fino a pochi anni fa il Nord depresso del Regno Unito com’è il nostro Sud storicamente in Italia, come e perché vogliano l’indipendenza da Londra proprio per beneficiare ancor più del petrolio e del gas del Mare del Nord. Chiedere ai norvegesi, se non sia stato il combustibile fossile estratto dall’Oceano ad alimentare benessere e sviluppo di un paese che ha avuto la saggezza di destinare una quota fissa obbligatoria delle royalties petrolifere a un fondo nazionale d’investimenti, che da molti anni rappresenta un polmone essenziale dello sviluppo economico e sociale norvegese.

Né in Scozia né in Norvegia petrolio, gas e infrastrutture energetiche legate al ciclo dei fossili sono risultati incompatibili con fortissima tutela ambientale e con elevato sviluppo di fonti rinnovabili, a cominciare dall’eolico e dalle correnti marine. Ergo, se in Italia si crede che il no a trivellazioni gasdotti e rigassificatori sia la via per raggiungere l’Eden, quel paradiso in terra sarà ancora destinato al basso sviluppo. In un paese in cui – non dimentichiamolo – la stima dell’ultimo rapporto dell’osservatorio sui Costi del non fare indica che rischiamo di dissipare entro il 2030 124 miliardi di ricchezza, bloccando le scelte energetiche già in cantiere.

E’ evidente che, nel no dei governatori e dei partiti, si manifesta un grande problema di rappresentanza politica. La scelta prevalente è stata sposare l’opposizione dal basso, di comitati locali e movimenti di forte ostilità a scelte vissute come “calate dall’alto”, di incerte ricadute locali, e di temute conseguenze ambientali. Ma una rappresentanza politica che si sdraia sui timori, quelli di chi in un paese a fortissima dipendenza energetica immagina di seguire la via dei “fai da te”, finisce per rinunciare alla propria funzione essenziale, cioè guidare i processi e alimentare visioni di sviluppo all’altezza dei gap accumulati e da recuperare.

Terza riflessione: non è un problema che riguardi però solo la politica. E’ un problema di cultura industriale, e riguarda tutte le classi dirigenti. I timori e le opposizioni che animano il pregiudizio ostile dei territori non vanno sposati unilateralmente, ma neanche affrontati con sprezzanti stime e slides di tecnici energetici e analisti dei mercati. Com’è noto, se si segue tale strada si ottiene l’effetto opposto, quello di apparire come “servi” dei grandi interessi multinazionali del circuito energetico e infrastrutturale.

Timori e ostilità si possono affrontare positivamente solo con un grande sforzo culturale, con confronti aperti e pazienti, volti a radicare nuova fiducia verso i fondamenti di uno sviluppo che non potrà fare a meno ancora per lungo tempo di fonti fossili, ma che può contare su tecnologie raffinate per contenerne i rischi in ogni fase, dalla ricerca all’estrazione, dal trasporto alla conversione di fase, fino all’utilizzo diretto per produrre altre forme di energia e alle emissioni. Un’Italia a minor dipendenza energetica, e che divenisse davvero hub del gas per l’intera Europa, avrebbe maggior PIL, pingui royalties da investire, e molti occupati aggiuntivi. Non è davvero cosa da poco.

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9 Responses

  1. Anonimo

    Bello, bellissimo articolo.
    Centra perfettamente le problematiche della nostra classe politica indegna del nostro Paese.
    Purtroppo nulla si farà e nulla cambierà.

  2. Francesco_P

    I giacimenti di gas naturale e di petrolio nell’Adriatico Meridionale e nel Mare di Sicilia sono piccoli, ma molto importanti, soprattutto in una prospettiva prossima in cui gli approvvigionamenti saranno più cari e sotto ricatto politico.
    Infatti le risorse scozzesi (già si applicano tecniche di Enanched Oil Recovery ad alcuni giacimenti) e norvegesi (circa 19 anni di gas naturale agli attuali ritmi senza EOR) sono prossime all’esaurimento e le ricerche di nuovi giacimenti hanno dati risultati poco entusiasmanti.
    Anche le prospettive di estrarre shale gas e shale oil in Europa sono modeste. L’Europa può trovarsi a corto di gas naturale e di petrolio e finire per dipendere totalmente dalla Russia per gli approvvigionamenti energetici se la nazione di Putin riuscirà a controllare i “rubinetti del gas e del petrolio” del M.O. e dell’Asia centrale.
    Il problema chiave è il cambiamento nello scenario internazionale che riguarda le fonti energetiche dell’Asia. L’Iran e la Russia stanno realizzando piuttosto rapidamente il progetto di raggiungere il Mediterraneo grazie al corridoio dell’Iraq ed il sostegno al decotto Assad. Bisogna tenere in considerazione le
    Inoltre l’Iran, sempre sostenuto dalla Russia, sta già attaccando di fatto l’Arabia Saudita attraverso il sostegno alla guerra civile nello dello Yemen (ieri è stata sequestrata dalla Coalizione un’altra nave carica di aiuti militari iraniani), mentre Mosca sta cercando di riacquistare l’influenza sulla regione del Caspio; una sorta di ricostituzione della vecchia URSS.
    Sono le aree da cui proviene gran parte del gas naturale e del petrolio che consumiamo in Europa e che sono destinati a ricoprire una crescente importanza a fronte proprio dell’esaurimento delle fonti tradizionali europee.
    Peraltro il controllo della regione da parte del sodalizio russo-iraniano non ha conseguenze solo per l’Europa, ma anche per l’India e per l’intero Far East, compresa la Cina. Non è affatto casuale che la Cina sia diventata più aggressiva verso le Isole Senkaku (crisi sino-guapponese) e le isole del Mar della Cina meridionale presso cui esistono giacimenti ancora da “stappare”, nonostante i contratti recentemente stipulati con la Russia, con l’Australi, gli Stati Uniti e la politica di penetrazione politica e commerciale con i grandi produttori in Africa e America Latina. Guarda caso, la Cina ha anche inviato in Siria la portaerei Liaoning e una piccola squadra navale, seppure non invitata.
    Ci si rende facilmente conto del fatto che i cosiddetti “verdi” altro non vogliono se non speculare sull’aumento dei combustibili fossili raccogliendo notizie e di dati di pubblico dominio e facile accesso e analizzando le alternative che propongono, tutte caratterizzate da altissimi costi e discontinuità e quelle che bocciano a partire dal nucleare. Possibile che nessun politico, ne italiano ne europeo, abbia il coraggio di parlare chiaramente?

  3. Giovanni Piccolillo

    L’articolo di Giannino mi lascia molti dubbi.
    A cominciare dagli esempi, che non mi sembrano affatto pertinenti: paragonare la Norvegia all’adriatico mi pare piuttosto audace. Se in Norvegia qualcuno trasgredisce regole ambientali se la passa male. Noi abbiamo vissuto (e continuiamo a vivere) l’orrendo stupro di Taranto, in cui la gente è morta e continua a morire. Giannino: ci parli della tutela ambientale a Taranto. Ci spieghi che la colpa è del sistema che non ha funzionato, che le regole non sono state applicate, che alcuni delinquenti hanno fatto il male di molti. E poi ci spieghi perchè la cosa non dovrebbe ripetersi.
    In Italia è tutto vietato, ma (come diceva qualcuno) si può fare ogni cosa. Sono molti i casi di inquinamento feroce e criminale che non hanno visto lo straccio di un intervento neanche minimo da parte della giustizia. Se da noi ci fosse stato l’incidente BP avvenuto a largo della East Coast USA se la sarebbero cavata con una mancetta.
    Inutile parlare dei massimi sistemi: qui da noi la legge non funziona. E la gente ha paura che si autorizzi una trivellazione fatta secondo regole di tutela ambientale, e che poi la trivellazione venga fatta in barba a ogni regola. E hanno ragione.
    Giannino, ci dimostri con fatti che le sue idee sono motivate. Possibilmente con esempi pertinenti.

  4. guido

    Finché l’Italia non cambia meglio non trivellare (tanto non scappa nulla ). In più sono dell’idea che sia fondamentale puntare, non sulle fonti alternative ( cmq ancora costose da produrre ) ma sul RISPARMIO. Quante famiglie italiane hanno le luci a filamento e non a led? Quanto petrolio possiamo non acquistare grazie a una mobilità più intelligente?

  5. Federico

    Giannino, scrivo solo 2 righe, perche’ non ne servono di piu’.
    Sono tornato ieri dagli Usa e mi è capitato di passare per la zona dove hanno trivellato a piu’ non posso per l’estrazione delle sabbie bituminose, mi veniva da piangere a vedere come l’ambiente era devastato e la popolazione disperata. Vai a fare un giro anche tu poi ne riparliamo.
    Sono sempre piu’ stanco di quelli che si spacciano da esperti ma comodamente da dentro il loro ufficio.
    Ad maiora

  6. Francesco_P

    Egregio Federico, 3 ottobre 2015,
    L’estrazione di petrolio da sabbie bituminose è realizzata mediante miniere a cielo aperto perché il materiale si trova in superficie. Si tratta di depositi di argille, sabbia e bitume depositatisi in epoche geologicamente recenti (sempre milioni di anni, non centinaia di milioni) sul fondo di bacini fluviali e lacustri.
    Gli effetti dello sbancamento sono visibili in superficie, ma possono essere bonificati in poche decine di anni (tempo di crescita degli alberi) se ci fosse la convenienza economica di farlo. Non è il caso con i prezzi bassi del momento.
    Il vero problema di inquinamento deriva invece dal processamento delle sabbie che richiede l’uso di agenti chimici altamente tossici. In genere i liquidi contaminati sono iniettati in profondità, come avviene con molte altre pratiche minerarie compresa la frantumazione idraulica. L’iniezione di liquidi in pozzi profondi può “lubrificare” le faglie generando microsismicità e persino terremoti di magnitudo 3-4 anche i aree considerate geologicamente stabili.
    Nella fratturazione idraulica l’apparenza esterna è quella di un normale pozzo. Non è bello, ma neppure devastante come una miniera a cielo aperto.
    NON E’ ASSOLUTAMENTE IL CASO DEL MEDITERRANEO perché si tratta di giacimenti di gas e petrolio “convenzionali” situati in mare. L’aspetto esterno è quello delle classiche piattaforme petrolifere. I rischi ambientali sono legati allo “spill” dei liquidi estratti e possono essere ricondotti ad un’entità trascurabile impiegando impianti moderni e osservando le corrette metodiche operative.
    In Italia NON ESISTONO ne depositi di sabbie bituminose ne giacimenti di shale oil / shale gas che possano essere sfruttati mediante fracking.
    Sono interessanti le prospettive nell’Adriatico meridionale e nel Mare di Sicilia; potrebbero esserlo anche nella Sicilia meridionale sulla terraferma. I giacimenti della Basilicata sono già in via di sfruttamento, mentre al Nord è rimasto quai niente da estrarre.

  7. Grazie per questo articolo davvero utile e prezioso: il problema è che quelli che dicono NO a tutto non sanno poi delineare delle opzioni di rifornimento energetico immediatamente attuabili che non creino il collasso dell’economia italiana. anche io sul mio blog Gocce di verità ho riflettuto sulla “questione siciliana” del no al referendum e non si può riassumere in modo migliore che con la frase di Bruno Marziano “Dato che per i prossimi 45 anni avremo comunque bisogno di idrocarburi, tanto vale estrarli da noi senza bisogno di comprarli all’estero”. Riflettiamo sulla differenza tra la demagogia e la politica che deve fare i conti con problemi e soluzioni reali di un territorio.

  8. Gluigi VALLI

    Produrre energia da fonti alternative non è più un’utopia.
    Recuperare combustibile da rifiuti (e non solo calore come con gli inceneritori).
    Ecco cosa scrive Cassa Depositi e Prestiti in un report 2014 sulla gestione rifiuti in Italia: ” smaltire rifiuti in discarica in un Paese che ha da sempre un problema di dipendenza dall’estero per l’energia assume connotati paradossali. Secondo Nomisma Energia ogni anno in discarica vengono sprecati, tenendo conto del contenuto energetico dei rifiuti, circa 3,7 milioni di te (tonnellate equivalenti petrolio), corrispondenti in valore a circa 1,2 miliardi di euro; negli ultimi dieci anni la distruzione di ricchezza in discarica è stata pertanto di 11 miliardi di euro (0,7 p.p. di PIL).”
    Tenendo conto del fatturato potenziale generale dale imprese di eccellenza italiane del settore, si può ipotizzare che qualche altro miliardo di euro avrebbe potuto essere generato con ricadute benefiche sull’occupazione, anche giovanile.

  9. adriano

    “Guidare i processi” non mi piace.I cittadini sono adulti e informati.Il rferendum,su qualsiasi questione e anche senza quorum,va benissimo perchè a decidere non devono essere gli “illuminati”.Se le scelte saranno sbagliate se ne pagheranno le conseguenze e servirà da lezione.

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