I Moltiplicatori Insufficienti di Cwik e Wieland
La ragione a volte arriva per vie inaspettate. T. Cwik e V. Wieland, nel working paper n.1267 della BCE “Keynesian Government Spending Multipliers and Spillovers in the Euro Area”, ci confermano che il moltiplicatore della spesa pubblica è inferiore a 1, cioè che per ogni euro di spesa pubblica il PIL sale solo di una frazione di euro; si smentiscono così le teorie Keynesiane (e Krugmaniane) di moltiplicatori superiori all’unità (per qualcuno addirittura pari a 5) che porterebbero la spesa pubblica a ripagarsi da sola. Volendo potremmo fermarci qui e dichiarare vinta una battaglia contro il Big Government, ma vale la pena approfondire almeno la parte fondamentale del lavoro dei due economisti.
Premetto che ogni modello tende alla tautologia. Come ci insegna Hayek (cfr. Hayek su Hayek 1996), la matematica (algebra, per la precisione) è un modo di tradurre formalmente nessi logici che possono nascere solo nella testa dello studioso; benché la formalizzazione permetta di studiare agevolmente gli sviluppi di un concetto, non è questa che definisce i nessi causali. Ed infatti Cwik e Wieland usano alcuni modelli con precise caratteristiche: gli operatori sono forward-looking, cioè prendono decisioni congetturando sul futuro (e tendono ad azzeccarci); i deficit statali dovranno venir ripianati (e gli operatori lo sanno); la Banca Centrale segue una sorta di Taylor Rule contrastando con tassi più alti le pressioni sui prezzi causate dalla maggior spesa pubblica. Non dovrebbe pertanto stupire che da questi modelli emerga un crowding-out (spiazzamento) di consumi e investimenti conseguente alla spesa pubblica: è presupposto stesso del modello che alla spesa pubblica segua un rialzo dei tassi di interesse che chiaramente deprime gli investimenti, e che gli operatori variamente accantoneranno (non consumeranno) risorse per pagare in futuro l’attuale maggior spesa pubblica; definito il PIL come somma di consumi, investimenti, spesa pubblica, e saldo commerciale con l’estero, l’incremento di PIL dato dalla maggior spesa pubblica verrà perciò riassorbito, e in alcuni casi più che riassorbito, appunto dallo spiazzamento delle componenti private. Profondità e velocità di questo movimento varieranno in relazione al tipo di rigidità nominali modellate ed alla presenza o meno di un settore estero che variamente assorba gli stimoli, ma questo non interessa in questa sede, così come non interessano gli approfondimenti sull’incidenza dei tempi di realizzazione delle politiche o della stringenza del limite inferiore a zero per i tassi di interesse. Una conclusione invece interessante e significativa è che il rialzo iniziale del PIL è costituito nella realtà da un anticipo di consumo futuro (ergo: consumo che in futuro mancherà e del cui “rimpiazzo” Cwik e Wieland evitano di discutere).
Già Hicks con il suo famoso modello IS-LM aveva contezza di tutto questo, passando non dalla reazione della Banca Centrale bensì da una naturale tensione sul mercato della moneta innescata dalla spesa pubblica, cui segue un certo spiazzamento privato (nullo solo in caso estremo di trappola della liquidità, e completo solo nel caso estremo definito “classico”). Con un po’ di buon senso basterebbe pensare che la gente non è fessa, sa che prima o poi dovrà pagare l’attuale spesa pubblica in forma tasse, e che se lo Stato si indebita ulteriormente si crea tensione sul mercato obbligazionario (fatto stilizzato nel modello di Hicks attraverso il mercato della moneta), con conseguente rialzo dei tassi e riduzione degli investimenti. In fondo non c’è niente di veramente innovativo, insomma… tranne che per Krugman & soci.
Ma a Cwik e Wieland va riconosciuto un merito particolare: lavorando sui modelli e guardando poche semplici statistiche (cioè, quasi Hayekianamente, sfruttando gli strumenti formali solo dopo che le relazioni causali sono state definite, ed usando la statistica come controllo di rilevanza delle fattispecie), ci mostrano che fenomeni di crowding-in, cioè di moltiplicatori superiori all’unità, esistono solo con operatori backward-looking (cioè le cui attese sono solo riproposizioni del recente passato) o liquidity-constrained (senza accesso al credito, quindi impossibilitati a trasferire consumo lungo il tempo e costretti a consumare il proprio reddito nel periodo stesso in cui viene percepito). Ne discende che chi invoca moltiplicatori Keynesiani elevati avrebbe ragione se il mondo fosse fatto di allocchi che non immaginano di dover un giorno pagare la maggior spesa attuale e che si facciano continuamente sorprendere e trascinare dagli eventi (incidentalmente osservo che pensare a un mondo di allocchi giustifica pure l’appoggio al paternalismo di Stato); ma avrebbero ragione pure se la quota di liquidity-constrained fosse superiore al 50%. Cwik e Wieland fanno però capire che la prima ipotesi è irrealistica – e nel mondo reale non mancano gli esempi di consapevolezza del legame tra spesa e tasse – e la seconda è sconfessata (25% contro l’oltre 50% di liquidity-constrained necessario). Se pure si realizzassero mai le condizioni per un moltiplicatore superiore all’unità, come i due economisti hanno dimostrato, si tratterebbe sempre e comunque di un anticipo di consumo futuro, perciò la successiva “recessione” sarebbe, in questa comunque irreale casistica, addirittura più profonda.
Tralascio le ulteriori analisi svolte nel paper, perché ritengo che il principale apporto dell’analisi di Cwik e Wieland sia già stato esposto. Aggiungo però che tutti i modelli utilizzati nella loro analisi hanno valore solo nel breve/medio periodo, in quanto non incorporano alcun meccanismo endogeno di ciclo economico – le crisi arrivano come shock esogeni in stile Real Business Cycle, e i movimenti delle variabili economiche sono del tipo shock-risposta senza meccanismi di alimentazione ciclica – e, in ossequio all’ottica (neo)Keynesiana dei modelli, il risparmio non svolge alcun ruolo attivo, non alimenta alcun processo di investimento che abbia risvolti produttivi di lungo termine, ed appare solo come un cuscinetto di mancato consumo da “risvegliare” per permettere il crowding-in. D’altra parte per Keynes il lungo periodo non ha senso… Ma se si considerassero anche questi elementi il costo di una politica fiscale espansiva in termini di futuro dell’economia si rivelerebbe ancora maggiore.
Resta che, pur astraendo dai temi propri del ciclo economico e del lungo periodo – su cui le teorie austriache hanno invece molto da dire – gli stessi modelli Keynesiani mostrano il grave limite del ricorso alla spesa pubblica in un mondo realistico, e cioè che si crea spiazzamento di domanda privata e che al massimo si anticipa consumo futuro rendendo in pratica più critica la situazione futura dell’economia. Sarebbe interessante chiedere a Cwik e Wieland di indagare, pur dal loro punto di vista, su cosa potrebbe significare contare, generazione dopo generazione, sul continuo – ma non infinito – rinvio del giorno in cui una crescente spesa pubblica dovrà essere ripagata; io avrei una risposta: saremmo in Italia.
L’articolo sembra teso a dimostrare che il moltiplicatore della spesa pubblica non è superiore ad uno ma risulterebbe essere una frazione dell’unità quindi non si potrebbe parlare di moltiplicatore.La questione del moltiplicatore della spesa pubblica sembra possa rientare a pieno titolo tra gli enigmi della scienza economica in questo caso della macroeconomia, mi permetto di muovere un rilievo all’articolo, viene considerato l’aggregato della spesa pubblica senza distinguere la spesa pubblica corrente dalla spesa pubblica in conto capitale.
@Mario Cancellieri
Se trascuri la seconda non cambia granché, gran parte della spesa è corrente. Chi ha i numeri? Musu su un libro del 2006 dice 8 contro 92.
QUesto articolo è troppo approssimativo.
Nei prossimi giorni leggero il paper e farò un commento piu approfondito. Ci sono almeno 3 problemi :
1- E’ vero solo in parte che il tasso di interesse aumenta all’aumentare delle emissioni (c’è in qualche modo un CAP per i paesi sviluppati e in situazioni normali di mercato)
2- La propensione al consumo di chi compra un titolo di stato è bassa. Bisognerebbe stimarla.. ricordiamo che chi li compra è gente che risparmia.
3- Gli investimenti possono essere sia pubblici che privati.
Molti economisti, credo per ragioni politiche, ritengono che gli investimenti pubblici non esistano e che esista solo la spesa pubblica (la parola spesa non è bella da far sentire a un contribuente). Come un mio caro professore ricorda : se questa crisi non ha avuto le stesse implicazioni della crisi del 1929 è proprio grazie alla quota di spesa pubblica su Pil. Spolverando se Y = C + G + I avendo una spesa pubblica elevata (G), Y non potrà mai scendere sotto tale valore. P.S. Questo post insieme al post sulla Fiat dove emerge la volontà di far credere che in europa gli operai del settore automobilistico abbiamo un contratto simile a quello proposto da Marchionne quindi è giusto accettarlo (Gli operai sono persone e come tali devono avere dei diritti e dignità) STO VALUTANDO DI TOGLIERE IL CHICAGO BLOG DAL MIO AGGREGATORE DI BLOG. C’E’ TROPPA POLITICA DIETRO!!
Marco,non abbandonare Chicago blog,io sono convinto della onesta’ di chi vi scrive anche se e’chiaramente di parte. Il confronto e’ molto importante ed io trovo questo blog molto stimolante su questi temi economici (per il resto sono molto d’accordo con te, se esiste una crisi ritengo sia utile consumare prima per non fare crollare i consumi ed evitare problemi maggiori anche a costo di spiazzare investimenti futuri)
@Marco
Condivido in pieno. Sembra di essere tornati al buon Hoover che diceva “With impressive proof on all sides of magnificent progress, no one can rightly deny the fundamental correctness of our economic system.” giusto il 01 Gennaio 1930…
http://www.columbia.edu/~mw2230/G_ASSA.pdf
@Francesco Nicolai
Hoover,il responsabile della Grande Depressione, che impedì alle aziende di tagliare i salari (facendo salire la disoccupazione), introdusse il protezionismo organizzò i cartelli. Leggasi Cole e Ohanian per la Grande Depressine. Così un po’ di miti keynesiani spariscono.
@Marco
2. In una crisi finanziaria dove il problema è l’eccesso di debito e la scarsa capitalizzazione, sono i risparmi che migliorano la situazione, non i consumi. L’economia keynesiana è troppo naive per capire la realtà economica.
3. La spesa per investimenti è probabilmente meno del 10% del totale. Non cambia nulla, dunque, a trascurarla. E spesso si tratta di investimenti pessimi, come il Ponte sullo Stretto, fatti con criteri politici e non economici.
4. “se questa crisi non ha avuto le stesse implicazioni della crisi del 1929 è proprio grazie alla quota di spesa pubblica su Pil”
Consiglio sempre Cole e Ohanian, tanto per capire che senza gli interventi pubblici di Hoover e Roosevelt non ci sarebbe stata mai una Grande Depressione.
Può essere interessante questo articolo: http://www.voxeu.org/index.php?q=node/4036 ( in particolare sulle conclusioni riguardo alle economie chiuse e a i cambi fissi a cui Keynes si riferiva ).
Il moltiplicatore mi sa è uno dei tanti miti keynesiani che confonde identità contabili con relazioni di causa ed efftto mentre è chiaramente solo la produzione fonte di reddito. E’ semplicemente tautologico: non si puo’ consumare se prima non si è prodotto. E questo ovviamente senza considerare le inconsistenze algebriche di questo indicatore nel caso per esempio la propensione al consumo si avvicinasse al 100% o superasse tale soglia
Apparentemente gli investimenti sono anche pubblici ma dove investire non è un affare politico ma imprenditoriale. E i fallimenti dello stato italiano nella gestione dovrebbero esserne prova. Se non lo sono non penso sia possibile provare nulla
Checchè ne dica quel professore, la crisi del ’29 purtroppo duro’ così a lungo per le stesse ragioni per cui siamo in questa palude da oltre 3 anni, il Giappone è in staganazione da 20 e oltre anni, gli anni ’70. Cioè il keynesismo non i pone nemmeno il problema di capire da cosa siano indotte le recessioni o le cionseguenze che la sua politica anticiclica produce
Bella l’interpretazione “risparmio vs consumo”.
io preferisco vederla così :
Risparmio vs Investimento
Propensione al consumo “poveri” vs propensione al consumo “ricchi”
Buon anno
Di tutti i commenti (alcuni legati al fatto di non conoscere il paper di origine, che ad esempio fa già una cernita tra cosa è spesa semplice e cosa investimento pubblico – ma non potevo scrivere dieci pagine! – e alcuni anche profondamente ridicoli, come chi definisce il mio pezzo approssimativo e poi fa confusione nella variabili tra i livelli assoluti, che riporta in formula, e le loro variazioni, che sono invece l’oggetto della discussione) prendo solo quello citato, e ringrazio molto sinceramente.
Leggerò il paper, che ho appena scaricato, e se Nicolai vorrà parleremo qui o in privato delle impressioni.
Cwik e Wieland non hanno quel lavoro tra i reference del paper, però trattano il problema in una sezione che io ho non ho commentato perché andava oltre l’argomento del pezzo; la loro trattazione praticamente dice che sì, avendo lo zero-bound la politica fiscale diventa pienamente efficace, però questo accade se nel momento in cui si è in crisi i tassi sono già nominalmente a zero con un tasso “richiesto” dal modello (ad esempio determinato con una Taylor Rule) dovrebbe essere, ad esempio, -3%; in tal caso, e se a seguito dell’espansione fiscale il tasso dovesse risalire ad esempio a un -1%, lo zero bound implicherebbe che i tassi nominali restino FERMI allo zero, il che equivale a dire che la politica monetaria NON si muove per compensare l’effetto inflazionistico della spesa pubblica. Nulla da dire se si dimostra che le condizioni attuali sono proprio queste, ma si deve ammettere che è un caso veramente molto speciale e che non può costituire la base di una prescrizione universale di intervento!
Vedrò se il pezzo di Woodford (che ben conosco come soggetto perché 1) venti anni fa scrisse insieme a BERNANKE un paper in cui criticavano l’interventismo monetario in quanto distorsivo dei segnali del mercato, e in particolare indicavano che un target sui tassi avrebbe distrutto l’informazione del mercato rendendolo erratico e 2) adesso si spaccia per neowickselliano solo perché pontifica sulla moneta endogena…) ripete questo punto o dice cose in più.
Secondo me il problema è proprio quello, che i salari fissi sono alla base della grande crisi, (così sembra secondo Ohanian) ma è difficile chiedere altri sacrifici a chi fa fatica ad arrivare alla fine del mese, ed oggi, in questa crisi, vedo che in giro esiste sempre molta ricchezza, perchè quindi non chiedere di più a chi ha di più?
Non si tratta di chiedere una patrimoniale da 600 miliardi, ma forse con di nuovo l’ici abolita dall’attuale governo ed altre manovre (aumento della ritenura sui proventi finanziari ad esempio) 20 miliardi all’anno per abbattere il debito in Italia si trovano facilmente.
Questo in Italia, dove esistono sicuramente molti sprechi nella gestione pubblica, a cui occorre porre rimedio, ma credo che negli USA o in Germania, Francia, Regno Unito, dove magari lo spreco pubblico è minore, ridurre la spesa pubblica significa spesso fare pagare le classi più deboli.
Io sono per le mezze misure, troppo poco stato è dannoso come e forse più del troppo stato
@Pietro Monsurrò
Hoover disse agli industriali di non tagliare i salari visto che la depressione sarebbe finita presto, come continuò a dire lungo tutta la presidenza. Servirebbero poi i dati . I salari della manifattura secondo BLS scesero del 20% dal 1930 al 1932 (0.55$/h-0.44$/h), quelli dei minatori del 25 % ( 0.66$/h-0.50 $/h) etc…
E’ vero che molto probabilmente i salari sarebbero naturalmente scesi di più, ma se ipotizziamo che l'”interventismo” di Hoover ha peggiorato la Depressione, quando è arrivato FDR la situazione sarebbe dovuta esplodere.
Ohanian non spiega il perchè della ripresa sotto Roosevelt, nemmeno in termini monetari. Alcuni monetaristi affermano infatti che si ebbe la ripresa grazie all’uscita dal Gold Standard.
Poi c’è anche chi, come me, crede che tagli salari implichino deflazione, aumento in termini reale del debito, recessione, ulteriori tagli, ulteriore deflazione etc…
Certo, sotto Hoover si ebbe lo Smooth.Hawley Tariff Act.
Consideriamo però altro riforme che vi vedo riluttanti a ricordare. La RIDUZIONE DELLA TASSAZIONE per le classi di reddito più alte promosse da Mellon ( da oltre il 70% al 20% circa ) che causò un grave deficit, e portò al Revenue Act del ’32.
Infine sempre nel 1932 si decise a varare l’RFC, ma oramai era troppo tardi…
@RICCARDO
L’argomento di Ohanian è più complesso, però se quando scendono i prezzi non scendono i salari, non è che i lavoratori stanno meglio: la disoccupazione aumenta, i margini delle aziende scendono, gli investimenti crollano, e la disoccupazione aumenta ulteriormente. E’ un equilibrio di sottooccupazione. I salari devono essere commisurati al prodotto, non si pososno aumentare oltre la produttività del lavoro senza generare disoccupazione permanente.
@RICCARDO
Quoto in pieno il fatto che sia impossibile chiedere ulteriori sacrifici a chi fatica a finire il mese. In effetti ci si lamenta che a pagare le tasse sono sempre i soliti, i dipendenti ecc. ecc.
Orbene, a parte il fatto che non è vero che i dipendenti non possono evadere, il problema è facilmente risolvibile abbassando drasticamente le tasse: D R A S T I C A M E N T E.
Qui in Italia il fisco è rapace, disonesto, utilmente complicato (utilmente, perché se non lo capisci non puoi combatterlo).
Va semplificato e alleggerito. In tal modo gli Italiani avranno più soldi in tasca, da spendere come più aggrada loro, piuttosto che secondo le razionali indicazioni di qualche solerte burocrate.
Maggiori soldi da spendere o anche da risparmiare, ognuno scelga.
Questo farebbe ripartire l’economia più di qualsiasi pippa mentale.
Ora veniamo alla percentuale di Stato che ci serve.
In linea di principio non credo sia possibile determinare quanta parte dell’economia debba essere intermediata dalla mano pubblica. Riesco solo vagamente a percepire che in un Paese come il nostro, dove i pubblici dipendenti sono praticamente inamovibili, meno Stato c’è meglio è. Perché non si può dare autorità a chi poi è irresponsabile delle proprie azioni.
Il fatto di avere per più di metà l’economia in mano a certa gente crea delle asimmetrie concorrenziali paurose: permetterai che se io debbo fare con la mia impresa concorrenza ad una azienda statale ho il problema di dover mandare avanti la mia baracca, ma anche quella della concorrenza. Perché se io non lavoro, chiudo. Se loro non lavorano, con la scusa della salvaguardia occupazionale, bisogna finanziarli a piè di lista. E io chiudo. Ad un certo punto, chi me lo fa fare?
L’unica via d’uscita dal pantano è: abbattere le tasse, subito ealmeno del 10%. Altro che 5 punti in 489 anni.
Aspetto con curiosità il momento in cui si dira’ agli operai di Pomigliano o di Mirafiori che occorre ridurre il loro salario reale!!
Ci fu un aripresa sotto Roosevelt? Mi sa che sotto la sua presidenza e fino a quando non riuscì a infilarsi in guerra, la disoccupazione resto’ un po’ sotto al 20% comunque sempre a due cifre
Non ti sembra un po’ ardito affermare che abbassare le tasse provoca deficit? Forse bisognerbbe ricordare che il deficit è originato dalla spesa visto che lo stato di suo non produce nulla
Da ricordare che nel 1921 ci fu una crisi forse peggiore di quella del 1929. Bisognerebbe chiedersi perchè non la ricordiamo mentre stiamo ricordando quella in cui siamo ormai da 3 anni e oltre
Un bel libro “Business cycle A Study of the Great Depression in
the United States” di C.a. Phillips, T.F Mc Manus, R. W. Nelson del 1937 spiega come il peso dei salari nel 1932 raggiunse grazie alle politiche di Hoover l’85% del reddito prodotto
@Francesco Nicolai
Perchè sarebbe dovuta esplodere? La crisi bancaria (l’ultima) fu del 1933. Se la moneta non viene distrutta, i prezzi non calano, e i salari reali rimangono costanti, dunque la disoccupazione si assesta. Si ha uno stato stazionario di sottoproduzione.
Roosevelt si limitò a perpetuare questo stato di cose, e infatti nel 1941 la disoccupazione – grazie alle sue politiche geniali – era ancora al 20%.
“Ohanian non spiega il perchè della ripresa sotto Roosevelt, nemmeno in termini monetari. ”
Come detto prima, il mercato del lavoro rimase largamente in coma.
La ripresa di Roosevelt, dunque, non ci fu: ci fu una normalizzazione della situazione, e una ripresa della produzione, che però non tornò in linea con quella degli anni ’20 fino alla seconda metà degli anni ’30.
Quello che ha senso è dire che, una volta usciti dal gold standard, era più facile inflazionare e ridurre i salari reali e dunque far riprendere gli investimenti. E questo, in parte, è ciò che è accaduto.
@Gianni Elia
Sulla disoccupazione: http://ingrimayne.com/econ/EconomicCatastrophe/Figure5.4.gif
Tra l’altro, se non mi sbaglio, nel 29 si calcolava il tasso di disoccupazione in modo diverso. Le statistiche ufficiali del BLS sono iniziate nel ’50.
A parità di spesa pubblica,abbassare tasse provoca deficit se la tassazione non è eccessivamente alta ( circa 70%) :
http://www.sciencedirect.com/science?_ob=ArticleURL&_udi=B6VBW-3YN9DR5-4&_user=10&_coverDate=12%2F31%2F1995&_rdoc=1&_fmt=high&_orig=search&_origin=search&_sort=d&_docanchor=&view=c&_acct=C000050221&_version=1&_urlVersion=0&_userid=10&md5=e08079aeea0f3adb8625a55bb56140b9&searchtype=a
http://www.sciencedirect.com/science?_ob=ArticleURL&_udi=B6VBW-3YN9DR5-4&_user=10&_coverDate=12%2F31%2F1995&_rdoc=1&_fmt=high&_orig=search&_origin=search&_sort=d&_docanchor=&view=c&_acct=C000050221&_version=1&_urlVersion=0&_userid=10&md5=e08079aeea0f3adb8625a55bb56140b9&searchtype=a
Su tassazione e deficit c’è anche questo :http://www.huppi.com/kangaroo/L-taxcollections.htm
@Pietro Monsurrò
Non capisco il legame tra distruzione di moneta e prezzi. O perlomeno vorrei sapere a cosa ti riferisci con “moneta”:BM, M1, M2, M3??
Perchè, ad esempio, guarda cosa è successo negli anni ’30 a Base Monetaria e M2 : http://www.princeton.edu/~pkrugman/qe_depression.PNG
E comunque non mi sembra che i prezzi non siano calati durante la Depressione: http://research.stlouisfed.org/fred2/graph/fredgraph.png?bgcolor=%23B3CDE7&chart_type=line&drp=0&fo=ve&graph_bgcolor=%23FFFFFF&height=378&mode=fred&preserve_ratio=checked&recession_bars=On&txtcolor=%23000000&ts=8&width=630&id=CPIAUCNS&scale=Left&range=Custom&cosd=1925-01-01&coed=1945-11-01&line_color=%230000FF&link_values=false&line_style=Solid&mark_type=NONE&mw=4&lw=1&ost=-99999&oet=99999&mma=0&fml=a&fq=Monthly&fam=avg&fgst=lin&transformation=lin&vintage_date=2011-01-01&revision_date=2011-01-01
Riguardo alla disoccupazione vorrei sapere dove hai letto che nel 1941 la disoccupazione era del 20%. Al massimo si è toccato un 19% nel 1938, quando FDR si era addormentato.
Comunque direi che c’è stata un po’ di ripresa sotto FDR, non proprio solo una normalizzazione della situazione, oppure no?!
Come vedi Roosevelt non riusci’ in nessuna ripresa: la spesa pubblica procrastino’ i problemi occupazionali sino a quando non decise di infilarsi in guerra. Quel grafico dimostra bene che la spesa pubblica non puo’ creare occupazione produttiva, fare il politico e l’imprenditore sono cose ben diverese.
Se ricordiamo la crisi del ’29 e non quella forse piu’ grave del ’21 (oltre a molte altre) mi sa che è solo per la gestione pubblica della prima che la rese
Infine è la spesa pubblica che provoca deficit: lo stato di suo non produce nulla infatti vive di tasse cioè del reddito altrui
Non è che Roosevelt si era addormentato è che non lavoriamo tanto per passare il tempo. O per lo meno questo non è lavoro produttivo. Roosevelt ando’ avanti per 5-6 anni distorcendo l’allocazione di lavoro e fattori produttivi sino a quando fu presentato il conto. Cioè la spesa pubblica non si finanzia certo da sè (forse da italiani dovremmo saperlo)
Se non erro in “Rethinking the great depression” Powell nelle pagine finali presenta un po’ di statistiche in cui mostra che tenendo conto dei soldati coscritti o al fronte la disccupazione era comunque a due cifre anche nei primi anni di guerra
@Gianni Elia
Non sono sicuro che tu abbia letto attentamente. Se vedi il grafico, il trend della disoccupazione sotto Roosevelt è chiaro. Inoltre, se la spesa pubblica fosse il problema , come mai è servita l’enorme domanda pubblica generata dalle necessità belliche?
Riguardo al deficit il paper ed il post successivo sono abbastanza chiari sul ruolo della riduzione della tassazione. Comunque se non bastasse dai un’occhiata qua: http://research.stlouisfed.org/fred2/graph/fredgraph.png?bgcolor=%23B3CDE7&chart_type=line&drp=0&fo=ve&graph_bgcolor=%23FFFFFF&height=378&mode=fred&preserve_ratio=checked&recession_bars=On&txtcolor=%23000000&ts=8&width=630&id=FYFSD&scale=Left&range=Custom&cosd=1975-06-30&coed=1995-09-30&line_color=%230000FF&link_values=false&line_style=Solid&mark_type=NONE&mw=4&lw=1&ost=-99999&oet=99999&mma=0&fml=a&fq=Annual%2C+Fiscal+Year&fam=avg&fgst=lin&transformation=lin&vintage_date=2010-12-29&revision_date=2010-12-29
A me pare piuttosto chiaro quello che avevo affermato inizialmente: la disoccupazione con Roosevelt rimase costantemente a 2 cifre e il temporaneo trend cui tu alludi è semplicemente dovuto a un boom (sic!) insostenibile per le ragioni che ho tentato di spiegare un paio di volte.
Concorederai che “la spesa pubblica generata dalle necessità belliche” non è servita a nulla se non a distruggere un ammontare inimmaginabile di risorse che sarebbero potute essere impiegate per soddisfare bisogni ben piu’ importanti. Penso basti questa banale considerazione per capire che la spesa pubblica è il problema, non certo la bassa tassazione. In altre parole la spesa dello stato non è equivalente a quella dei privati
@Gianni Elia
A me sembra una prestazione eccezionale, anche considerando la legge di Okun. Roosevelt prese un Paese con il 25% di disoccupazione ad inizio mandato, e lo portò ad una disoccupazione del 5% . Si tratta di una riduzione di 20 punti in 7 anni. Ad esempio, Reagan ottenne 5.5 punti ( 11-5,5% ) in 5 anni e mezzo . Una media di 1 punto/anno vs 3 punti/anno. Se consideriamo la differenza tra inizio e fine mandato abbiamo : FDR 23.7 punti (24.9-1.2) vs Reagan 1.8 punti (7.1-5.3).Ti sfido a trovare una performance simile.
Non volevo certo dire che la Guerra è stata un toccasana, ma che fu solo un’elevata spesa pubblica a togliere gli Stati Uniti dalla Depressione.
E’ ovvio anche che è meglio utilizzare la spesa pubblica in modo produttivo, che facendo scavare buche e facendole ricoprire.