I fiumi e la ghiaia. Quando vincoli e divieti peggiorano la situazione
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
di Giordano Masini
Ormai la situazione è più tranquilla, ma la notte della Befana, quando mio cugino mi ha telefonato per dirmi che stava per andare sott’acqua con tutta la casa, tutto sembrava possibile. Lui ha un azienda agricola nella valle del fiume Paglia, lungo la SS2 Cassia, in provincia di Viterbo, a pochi chilometri dal confine con la Toscana. Ha piovuto parecchio in questi giorni, qui e soprattutto sul Monte Amiata, dove il Paglia inizia il suo corso. Quella notte, quando sono andato da lui, lo spettacolo era impressionante.
Un fiume gigantesco scorreva a pochi metri dalla porta della sua casa, che si trova a centinaia di metri di distanza dal letto del fiume. Quando, con i fari della macchina, illuminavamo l’acqua, vedevamo venire giù di tutto: tronchi d’albero, materiale di ogni genere… “A forza di vedere tutta quest’acqua m’è venuta sete!” ha detto l’operaio che lavora nell’azienda, e siamo entrati in casa dove abbiamo stemperato un po’ la tensione davanti a una bottiglia di vino e qualche dolce avanzato dalle feste, mentre la piena cominciava a calare, e come succede in casi come questi, si è parlando molto del passato, quando queste cose non succedevano.
Perché è vero, una volta queste cose non succedevano. Il Paglia è un fiume dal letto ghiaioso, che scorre in un’ampia valle tra le colline argillose. Quando ero ragazzino il fiume scorreva al suo posto, d’estate e d’inverno. Un paio di impianti di estrazione di inerti provvedevano a ripulire costantemente il suo letto, eliminando la ghiaia che le piene depositavano a valle, mentre i terreni intorno erano destinati all’agricoltura.
Poi, quando si è cominciato a dire che le attività estrattive, qui ma soprattutto altrove, avevano esagerato, e probabilmente era vero, è stato vietato di estrarre ghiaia dal letto dei fiumi. Da 25 anni ormai, grazie alla famosa legge Galasso, chi vuole cavare la ghiaia deve affittare un terreno a più di 150 metri dal letto del fiume, eliminare la terra, rimuovere tutta la ghiaia che riesce a trovare al di sotto, e richiudere con nuova terra. Il risultato paradossale è che, mentre il letto dei fiumi si innalza di metri perché nessuno provvede a rimuovere il materiale alluvionale, i livello dei terreni intorno si abbassa (è praticamente impossibile ripristinare le quote di livello originarie dopo l’estrazione) e gli stessi terreni drenano molto meno (laddove c’erano metri di ghiaia sotto un metro e mezzo di terra, oggi c’è solo terra di riporto). E quindi sono ormai anni che da mio cugino l’acqua arriva a casa quasi tutti gli anni, interi campi devono essere bonificati dai sassi, ettari ed ettari devono essere riseminati, strade rurali e fossi tracciati daccapo, quando i danni non interessano anche bestiame e fabbricati, senza contare la perdita di valore delle proprietà.
Basterebbe un po’ di buon senso per capire che è stata fatta una stupidaggine, e bella grossa. In passato delle attività private provvedevano, per “biechi” interessi di profitto individuale, alla tutela e alla salvaguardia del territorio molto meglio di quanto non siano riuscite a fare, negli anni successivi, tutte le autorità pubbliche preposte. C’era un equilibrio umano, nel senso che era frutto delle attività umane che si erano sviluppate in libertà . Se qualcuno esagerava, sarebbe bastato sanzionarlo (non sembra che in realtà oggi l’attività estrattiva sui terreni limitrofi al letto dei fiumi sia sottoposta a controlli molto efficaci).
Per rendersi conto del perché oggi sia molto difficile tornare indietro, basta dare un occhiata alla legge 183 del 1989 (PDF) e successive modificazioni, ovvero le norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo. A un generico e indefinito elenco di finalità che occupa 2 pagine su 17 (è un florilegio di espressioni come attività conoscitiva, pianificazione, programmazione, disciplina, contenimento, regolamentazione, gestione integrata, e così via) segue un ben più preciso elenco di nuove autorità pubbliche (e vecchie a cui vengono attribuite nuove funzioni) che vengono istituite e accuratamente finanziate (in questo caso le pagine sono 15 su 17): si parte dal Comitato dei Ministri per i Servizi Tecnici Nazionali, istituito con funzioni di “alta vigilanza” (dall’alto si vede più lontano, forse). Segue il Comitato Nazionale per la Difesa del Suolo, i Ministeri dei Lavori Pubblici e dell’Ambiente, la Direzione Generale per la Difesa del Suolo, i Servizi Tecnici Nazionali, il Consiglio dei Direttori, il Genio Civile, la Conferenza Stato-Regioni, le Regioni, le Autorità di Bacino, i Comitati Tecnici di Bacino, i Comuni, le Province, i Consorzi di Bonifica, le Comunità Montane, i Consorzi di Bacino Imbrifero Montano, i Consorzi Obbligatori dei Servizi Pubblici di Acquedotto, Fognatura, Collettamento, e Depurazione delle Acque Usate, e chissà cos’altro.
Tutto questo popò di carrozzoni e carrozzine (a cui vanno aggiunti anche, per le emergenze, la Polizia Provinciale, la Polizia Idraulica, il Corpo Forestale dello Stato, i Vigili del Fuoco e la Protezione civile) non sono riusciti a fare, sul letto del fiume Paglia, quello che in passato facevano due dico due piccoli impianti per l’estrazione della breccia di fiume. Intanto continua a piovere…
Vivo a 100m dal fiume Adda e 100m da due cave di ghiaia con “finalità di recupero ambientale” che, ovviamente, non possono dragare il fiume. Been there, done that.
Finora non mi era capitato di leggere qua o là, magari nella stampa più diffusa, articoli di denuncia della situazione che si sta creando ai lati e lungo le valli dove scorrono i nostri torrenti e fiumi.
Definire la legge Galasso così com’è una vera e propria iattura è il minimo che si possa dire. Una legge che sembra fatta apposta per provocare, nel lungo periodo, sciagure e danni materiali rilevantissimi alle popolazioni che vivono nelle prossimità, ma non solo, di questi luoghi. Danni che ingenereranno le solite chiacchere ma che non interverranno sulla causa, la legge.
Basterebbe dare un’occhiata ai letti dei corsi d’acqua che si alzano anno dopo anno per dedurre che, prima o poi, ognuno di questi non riuscirà più a contenere le piene eccezionali che arriveranno. Piene che dal primo diluvio universale ci sono sempre state e sempre ci saranno.
A meno che a qualcuno non venga l’idea di farle terminare per legge. Non si sa mai che qualche legislatore, in stretto contatto con il padre eterno, ci riesca.
Tutto vero, purtroppo. Saluti da un bi-alluvionato.
“L’acqua disfa li monti e riempie le valli, e ridurrebbe la
terra in perfetta sfericità, s’ella potesse.” Leonardo da Vinci
Sventurati fiumi di Basilicata (…e d’Italia)
vittime di incuria e abbandono… e di grandi Operazioni Spartitorie.
E’ risaputo e condiviso da tutti: i fiumi lucani rappresentano, da sempre e per molti aspetti, la parte più importante: la spina dorsale del territorio regionale. Tanto è vero che i Padri della Regione li inserirono nel logo istituzionale. Ma poi furono affidati ad una banda di Balordi & Criminali che li hanno trasformati in Campi per scorrerie della lobby Tangenti & Appalti.
La funzione primaria di un corso d’acqua, nella salvaguardia del territorio, è quella di drenare le acque del proprio bacino idrografico. Perché possa assolvere al meglio e nel tempo a tale funzione, si devono verificare due importanti condizioni:
– 1) che la sezione di deflusso (ampiezza dell’alveo) riesca a contenere le proprie portate;
– 2) che il profilo idraulico possa fungere da “livello di base” al reticolo idrografico: in ogni punto di confluenza di canali e fossi di scolo.
E’ importante quindi che l’alveo attivo vada ripulito: – dal materiale litoide che vi sopraggiunge con le ricorrenti piene; – dalla vegetazione che vi nasce, cresce e trasforma i fiumi in vere e proprie boscaglie: ad esempio i tratti fluviali della fascia ionica; – da tutto ciò che vi si accumula e tende ad ostruirlo, ad innalzarlo e deviarne il corso;
La normativa vigente: il D.P.R. 14 aprile 1993 – stabilendo i criteri da osservare nei programmi di manutenzione dei corsi d’acqua – include tra gli interventi utili alla eliminazione di situazioni di pericolo: – 1) l’eliminazione delle alberature dagli alvei attivi – 2) la rimozione dei materiali litoidi; entrambi pregiudizievoli al regolare deflusso delle acque; – 3) il ripristino della sezione di deflusso, adeguata alle piene di ritorno trentennale, sulla base di misurazioni di carattere idraulico e idrologico. Da notare l’importanza data alla sezione di deflusso ed alle modalità per la sua determinazione.
L’articolo 17 della legge 183/1989, prevede, a cura dell’Autorità di Bacino, la normativa rivolta a regolare l’estrazione dei materiali litoidi dal demanio fluviale, in funzione del buon regime delle acque.
L’articolo 2 della legge n. 365/2000 stabilisce infine che la Regione – sotto il coordinamento dell’Autorità di bacino – provvede a rilevare le situazioni di pericolo, a identificare gli interventi di manutenzione più urgenti, ponendo attenzione alle situazioni d’impedimento al regolare deflusso, con particolare riferimento all’accumulo di inerti.
Il grosso problema che assilla i fiumi lucani è rappresentato proprio dagli accumuli di materiale in alveo. Si tratta di quella parte grossolana di trasporto solido “di fondo” (ghiaia di varia pezzatura), che avanza lentamente durante la piena, ma col ridurre della sua velocità, si ferma e si deposita in alveo. Da distinguere dal trasporto solido “in sospensione” (sabbia e limo) che prosegue fino alla foce alla stessa velocità della corrente.
Data l’abbondanza e la sua alta qualità, il materiale inerte fluviale costituisce una grande risorsa mineraria di proprietà pubblica. Sarebbe quindi di (doppio) interesse pubblico: rimuoverlo dagli alvei ed immetterlo sul mercato, mediante l’attività estrattiva.
Attività che potrebbe rientrare a pieno titolo nei Programmi di manutenzione. Potrebbe assolvere alla bonifica e pulizia degli alvei, e contribuire in tal modo alla salvaguardia del territorio.
Occorrerebbe quindi determinare, per ogni tronco fluviale, la sezione di deflusso adeguata, al cui mantenimento dovrebbe attestarsi ogni intervento estrattivo e di bonifica; – da farsi in modo preventivo; – e non dopo decenni di accumulo, e di totale ostruzione degli alvei.
Gli effetti di una siffatta politica sicuramente sarebbero: – la manutenzione preventiva ed a costo zero dei corsi d’acqua; – ed in più una notevole entrata riveniente dal valore del materiale utilizzato.
Ma al posto di tutto questo ha prevalso l’incuria e l’abbandono. Le ricorrenti esondazioni del Basento (a Grassano, Bernalda e Pisticci) dell’Agri e nello stesso Metapontino, sono causate non già da recenti “eventi eccezionali”, ma da una politica scellerata ventennale: fatta di inosservanza delle suddette leggi e disprezzo per il Bene comune, da parte sia dell’Autorità di Bacino che degli altri uffici “preposti” (12 uffici attuali, al posto dell’unico Genio Civile di una volta) presso i Dipartimenti Ambiente e Infrastrutture.
Quanto all’estrazione fluviale, fanno di tutto per ostacolare l’attività legalizzata (fatta di quantitativi reali e sostanziali) e promuovere quella fraudolenta: fatta di concessioni “virtuali”, con il sistema: ne paghi mille ma ne puoi prelevare 10-100mila metri cubi.
Operando in questa ottica balorda:
– adottano nel 1996 un piano estrattivo scellerato, fatto su misura per occultare l’abbondanza del materiale presente nei fiumi;
– s’inventano, per tale scopo, la storia dell’arretramento della costa, che sarebbe dovuto ad eccessivo prelievo di materiale inerte dai fiumi: una madornale stupidaggine avallata dalla sub-cultura dell’UNIBAS;
– impongono prezzi esagerati ed inaccettabili; – quindi costringono ad operare con concessioni “virtuali”;
– per chi opera lungo i fiumi vige la regola: VIETATO NON RUBARE;
– chi vuole operare nella legalità è costretto a chiudere;
– così come ha chiuso la mia azienda: la INERCO srl di Tricarico.
Fanno un uso sporco e strumentale dei vincoli ambientali. Per punire il sottoscritto (che non si è adeguato al loro sistema criminoso) s’inventano un’area SIC – ZPS, proprio sul tratto di Basento in cui la mia azienda opera dal 1965. Sottopongono a vincolo l’intera area, “per tutelare gli alberi sviluppatisi in alveo”.
In pratica, intendono salvare quello che la legge impone di eliminare.
Al colmo dell’indecenza, approvano una porcata di legge (n. 19 del 2005) su misura per:
– stravolgere la legge reg. 12/79, eliminando ogni forma originaria di efficienza e trasparenza;
– eludere una sentenza del Tribunale delle Acque del gennaio 2005, che aveva annullato un loro diniego fondato su falso ideologico; – spartirsi la competenza nel rilascio e proroga di concessioni virtuali; – alternarsi nella riscossione del prezzo personale: promanibus.
Sono dei Buffoni, Corrotti, Mistificatori e Pazzi scatenati.
Ripeto, la mia azienda è presente ed opera lungo il Basento, nel tratto di Calciano e Grassano, sin dal 1965. Con interventi motivati da “esigenza di governo idraulico” e concessioni pluriennali, ha prelevato in media 30mila mc, annui. Nell’ultimo triennio (1991-94) 130mila mc. versando un canone di oltre 200 milioni di lire.
L’ammontare di materiale asportato in 30 anni di attività è di 900mila mc. La situazione lungo il Basento, alla fine della sua attività estrattiva (1995), si presentava così:
Foto 1 – Anno 1995: fiume Basento – zona “Giardini” di Grassano
Dal 1995 in poi, nonostante le nostre reiterate proposte di intervento (cui è seguito, da parte degli Uffici regionali, uno scellerato turbinio di dinieghi motivati da falso ideologico, oppure approvazioni seguiti da impedimenti) è stato imposto il fermo della bonifica del Basento.
Con abusi, omissioni ed anni di raggiri, e, per ultima, con un’ignobile Conferenza di servizio (condotta da un compiacente Commissario ad acta nominato dal Tribunale Superiore delle Acque, in cui hanno imposto la suddetta carognata del vincolo SIC – ZPS), hanno decretato la fine della nostra attività nel Basento, e la chiusura dell’azienda.
Nel frattempo il Basento straripa con ricorrenza annuale. Da oltre 10 anni, Sindaco e Prefetto sollecitano più volte ma invano un intervento. Nel 2002 l’intero tratto Calciano – Grassano viene persino classificato, nel Piano dell’Autorità di bacino: “Area ad alto rischio d’inondazione”. Ma la questione “Giardini” finisce comunque nel dimenticatoio degli uffici.
Infatti, nel Programma regionale del 2003 (25milioni di euro), sono stanziati 3.680.000 euro per sistemazione idraulica dei corsi d’acqua. Ma, nonostante l’ormai stranota situazione di pericolo, per il Basento di Grassano non è previsto niente. Non gliene frega niente a nessuno.
Ma poi si scopre anche di peggio: mediante questo ed altri “Programmi” vengono “eseguiti” ben due interventi (2002 e 2005) nel torrente S. Nicola di Nova Siri: dove non esiste alcun pericolo di esondazione. Anzi non esiste nemmeno l’acqua.
Vi è comunque prevista la rimozione dall’alveo di 300mila mc. di materiale (per 757mila euro di spesa) che però viene asportato solo sulla carta.
A quanto pare, lo stanziamento di certi fondi scaturisce non da gravi situazioni di pericolo, ma da favorevoli occasioni spartitorie. La Difesa del Suolo non è un obiettivo, ma solo il pretesto per attivare fondi pubblici.
Per Costoro la sezione di deflusso “è una stronzata”; i fiumi non sono il fine, ma il mezzo per “sistemare” il denaro pubblico. Per gestire maggiori risorse (senza controllo) ripudiano ogni forma di prevenzione, com’è appunto l’attività estrattiva, e perseguono l’emergenza …e gli appalti di somma urgenza.
La Cosa pubblica non è un Bene vitale da tutelare, ma solo una carogna da spolpare.
Tornando al Basento di Calciano – Grassano, nel frattempo le piene hanno portato altro materiale (ve ne sono ora 450mila mc.) che poteva essere asportato per tempo e che invece si è accumulato lì: ad ostruire l’alveo; a deviarne il corso; a distruggere 800 ettari di terreno agricolo. Sventurata Agricoltura!!!
Nel 2005 lo stato del Basento si era modificato, come nella seguente foto 2.
Foto 2 – Anno 2005: fiume Basento – zona “Giardini” di Grassano
Ma ora, 2010, la situazione è peggiorata ed è gravissima. Tutto ciò non sarebbe accaduto se non avessero impedito il prosieguo della nostra attività.
Si sappia inoltre che a parte l’enorme danno per gli agricoltori, c’è anche il danno per la Regione, pari a 450mila euro di mancato introito del canone estrattivo (30mila euro per 15 anni). Cui vanno aggiunti 900mila euro di spesa: occorrente per rimuovere (ora e subito) quei 450mila mc di materiale: ingombrante e dannoso. Ed io pago… direbbe Totò.
Sul governo dei fiumi, hanno orchestrato un sistema (fatto di Arroganza e Cialtroneria, di Illegalità ed Impunità garantita) che non tutela un bel niente, e che invece produce lo sfascio del territorio, spreco di risorse e malcostume sociale. Sistema che si è imposto grazie all’esplicito consenso della Maggioranza ed al silenzio-assenso dell’Opposizione.
A mio avviso andrebbe fatta una seria inchiesta sul letamaio – di appalti pilotati, opere fantasma ed enormi spartizioni – prodotto negli anni 80-90 (e tuttora) lungo i fiumi lucani.
Con ciò non voglio dire che tutti gli operatori regionali (politici e tecnici) siano responsabili di tali malefatte. So per certo che affianco ai tanti Gaglioffi, vi operano anche tantissime Persone perbene.
Però va ribadito anche che, come diceva Martin L. King, “Ciò ch’è più dannoso nel mondo non sono gli uomini cattivi, ma il silenzio di quelli buoni”.
E allora… se veramente ci siete… ovunque voi siate… battete un colpo!!!
Da Fontamara – aprile 2010 – Nicola Bonelli (348.2601976)
http://www.fontamara.org – nicolabonelli@fontamara.org
Nota bene!!!: Sul problema dell’erosione della costa ionica abbiamo sentito in questi ultimi anni un sacco di corbellerie. La più grossa sciocchezza – detta anche da fonti ufficiali ed autorevoli – è che tale fenomeno sia dovuto al mancato apporto solido fluviale. Si sente evocare e paventare “il mancato ripascimento”. Come se la costa fosse un cavallo: che reclama ogni anno la sua razione di biada.
Si vorrebbe che i fiumi portassero a mare una maggiore quantità di apporto solido. Ma non si tiene conto che ogni grammo di quel materiale proviene dalla diffusa idro-erosione del suolo sull’intero territorio, con gravi conseguenze per la stabilità di versanti e rilievi, e per la fertilità dei terreni agricoli. Lo “sfasciume lucano” diventa sempre più “pendulo”. La desertificazione avanza. Questo è il nostro vero problema Altro che ripascimento della costa e tutte le sciocchezze che si raccontano in proposito.
Abbiamo inoltre assistito ad alcuni interventi folli sulla costa: di ripascimento, appunto, e ad altri comunque dannosi e controproducenti.
E già si preannunciano, come un presagio di sventura, nuovi Studi universitari ed altri interventi milionari.
Ma a tutti sfugge la vera causa che sta provocando quel disastro. Causa che non viene da lontano ma è tutta lì e soltanto lì: nel modo errato di approccio e di utilizzo, dello stesso litorale. Sventurata Costa Jonica!!!
P. S. Negli anni 80-90 furono spesi lungo i fiumi lucani circa 400 miliardi di lire: Fondi FIO (Fondi Investimento Occupazione) stanziati dal Governo parallelo chiamato CIPE.
Soldi spesi per opere fantasma (pagate ma non realizzate), per sistemazioni idrauliche fasulle, per lavori appaltati “a forfait” ed importi gonfiati a dismisura.
Ma senza creare un solo posto di lavoro.
Soldi spartiti tra: Imprese… Partiti… Tecnici… Burocrati… Alti Consulenti… etc.
Soldi sottratti all’utilizzo per case, ospedali, scuole, strade, fogne…
Nonostante la penuria di risorse, la prassi spartitoria continua tuttora: pagando Opere Fantasma lungo i fiumi e torrenti di Basilicata.
SVENTURATI TUTTI NOI !!!
Se condividi… passaparola… suona le campane…
Lettera da Fontamara – aprile 2011 – di Nicola Bonelli
Crollo attuale… e crolli futuri… lungo la Basentana.
Territorio a rischio: per mancata vigilanza ed errata manutenzione.
(FOTO)
Il recente crollo del ponte Basentana, avvenuto lo scorso 2 marzo all’altezza di Calciano, veniva da tutti i giornali inserito tra i gravi danni prodotti dal nubifragio e descritto come fatto imprevedibile, addebitabile alla eccezionale piena del Basento. Alcuni internauti di facebook l’hanno invece citato come:
cronaca di una morte annunciata.
Fortuna ha voluto che, essendo state costruite in tempi diversi, le due carreggiate fossero indipendenti tra loro. Non avendo quindi il crollo dell’una influito sulla stabilità dell’altra, è stato riaperto il traffico almeno su una carreggiata. Ma non è certo, come vedremo in appresso, che in futuro possa risolversi sempre così.
Ho più volte segnalato, nel 1995 e nel 2000, ad ANAS, Regione, Provincia, Prefettura, ecc., che entrambi i viadotti di “Calciano 1” (Cal.1), sito al Km 32, e “Calciano 2” (Cal.2), sito al Km 37, erano in condizioni di rischio: a causa dello scalzamento delle fondazioni di alcuni piloni e la “venuta a giorno” dei relativi pali di fondazione, con foto che ne evidenziavano la situazione.
Pur confondendo fischi per fiaschi sulle cause che l’avevano determinata, anche l’Autorità di bacino evidenziava nel 2003 la stessa situazione sotto il viadotto Cal.1: con foto di plinti scalzati e pali fuori terra.
Va pure detto, comunque, che l’Autorità di bacino è la maggior responsabile della mancata ed errata manutenzione lungo i nostri Sventurati fiumi. Infatti, con un suo recente e cervellotico intervento, ha sprecato 200mila euro ed ha prodotto un maggior disastro, lungo il Basento. in zona Giardini di Grassano,
Tornando ai viadotti, i fenomeni erosivi in alveo sono prevedibili e molto frequenti nei corsi d’acqua a fondo mobile (di sabbia e ghiaia) qual è appunto il Basento. Le cui piene sono, tra l’altro, caratterizzate da forte apporto solido, che proprio nel tratto di Calciano inizia a depositarsi.
Gli accumuli di materiale deviano la corrente e la “costringono” sotto una sola campata. Il restringimento della sezione di deflusso provoca l’aumento di velocità dell’acqua, che a sua volta provoca l’escavazione del fondo alveo: fino a scalzare le fondazioni ed a scoprirne i pali sottostanti.
I pali di fondazione sono fatti per rimanere assolutamente interrati. Quando vengono allo scoperto e sono sottoposti all’azione erosiva dell’acqua e del materiale che essa trasporta, finiscono prima o poi per essere demoliti.
In casi del genere, oltre una doverosa manutenzione del corso d’acqua, gli interventi utili sono le c.d. soglie di fondo (briglie trasversali) studiate in modo che la quota del fondo alveo non scenda sotto una certa soglia, appunto. In alternativa si adotta il c.d. anello autoaffondante: struttura circolare in cemento armato intorno ad ogni plinto. In caso di abbassamento del fondo alveo, l’anello si adatta alla nuova quota e tiene i pali di fondazione sempre al riparo dalla corrente.
Tenere fuori terra i pali di fondazione in un corso d’acqua, è come piazzare della dinamite intorno a loro, collegata ad una miccia a lenta combustione. E’ solo questione di tempo. Quei pali saranno inesorabilmente distrutti, con il conseguente cedimento dell’opera soprastante.
Questo è quanto accaduto al pilone crollato del viadotto di Calciano 2: i tratti di testa dei pali di fondazione (per un’altezza di mt. 1-1,5), esposti per lungo tempo all’azione della corrente, sono stati demoliti. Ripeto: la causa di quel crollo è stato l’effetto demolitore della corrente.
Le fondazioni scalzate ed i pali scoperti sono comparsi sotto entrambi i viadotti, sin dagli anni ottanta. Si sarebbe potuto sin d’allora rimediare in modo definitivo realizzando due soglie di fondo, lunghe da una sponda all’altra, cioè a fronte di tutte le campate: n. 22 di “Cal.1”; n. 14 di “Cal.2”.
Ma nel 1985 l’ANAS realizzò due briglie parziali, a fronte di tre sole campate per ciascun viadotto. Opere che già dopo qualche anno furono aggirate ed abbandonate dalla corrente, a causa degli accumuli di materiale sopra descritti. Da allora in poi il fiume continua a divagare, spostando l’erosione da una campata all’altra.
Mentre il viadotto Cal.2 è rimasto abbandonato al suo destino, dal 1995 in poi, l’ANAS è intervenuta più volte per il Cal.1: non con briglie in alveo ma con opere di consolidamento intorno ai plinti di fondazioni. Con gabbioni, macigni, micropali e tanta improvvisazione, hanno fatto e rifatto interventi, senza mai venire a capo del problema. Interventi che la corrente scombussola, travolge, distrugge e spazza via, e che nel loro insieme si sono rivelati un inutile spreco di risorse.
Al colmo della stravaganza, di recente hanno realizzato delle robuste sovrastrutture in cemento armato che collegano tra loro alcune coppie di plinti delle due carreggiate.
Sembrano fatte apposta per far sì che in caso di cedimento di una carreggiata possa venir giù anche l’altra. Ma che bravi!!!.
Dopo il recente crollo, la Procura della Repubblica di Matera ha avviato un’indagine sulle cause che l’hanno provocato, dando incarico per la perizia tecnica a due professori dell’Università di Basilicata. Sono entrambi laureati in ingegneria. Tengono però a precisare che di mestiere fanno i Ricercatori. Continuano infatti: – a ri-cercare non si sa bene che cosa; – a programmare verifiche tecniche: magari sulla parte residua e interrata dei pali sottostanti la pila crollata. Forse penseranno che il venir meno della parte che manca sia dovu-to a carenze esecutive della parte che resta. (?)
E non è escluso che, dopo 40 anni e passa di uso e collaudo continuato di quei viadotti, la ricerca di costoro arrivi a mettere in dubbio la stabilità dei 70 piloni che li sostengono. Se durante la rimozione della parti crollate, (pali, plinto, pilone e travi) avessero isolato ed esaminato i resti delle testate dei pali, si sarebbero resi conto dell’effetto demolitore della corrente fluviale. Invece si è proceduto, alla rimozione del tutto, senza alcun discernimento. E’ stato come procedere all’autopsia di un cadavere passandolo per il tritacarne.
L’altro problema gravissimo – che assilla quei due viadotti ma viene trascurato dall’ANAS – riguarda la soletta su cui posa il manto stradale. Mentre plinti, piloni e travi presentano uno stato di conservazione tale da garantire altri cento anni di vita, la soletta si presenta in stato di degrado: calcestruzzo deteriorato e ferro scoperto e arrugginito. Urge un intervento di manutenzione straordinaria, altrimenti molti settori sprofonderanno. Così come del resto è già accaduto qualche anno fa ad uno dei settori del viadotto Cal.2.
Concludendo, è auspicabile che L’ANAS vigili con più attenzione sui due viadotti; – che intervenga con giudizio e competenza. Certo, la loro mole richiede alti costi di manutenzione. Ma, evitando crolli e rifacimento di interventi inutili, si può ottenere un notevole risparmio.
E’ sperabile inoltre, da parte dei Governanti regionali: – che destinino maggiori risorse alla conservazione dell’esistente, alla manutenzione delle strade che già abbiamo; – che riducano lo spreco per appalti mangia soldi; – per nuove strade, improvvisate e improbabili, che franano in corso d’opera; – che sono una vergogna della Tecnica. Come ad esempio quel folle pozzo senza fondo chiamato “Cavonica”.
Che rammentino di essere stati eletti per tutelare l’Interesse Generale della comunità, e non per fare da guardiani al Palazzo regionale, e per offrire copertura ad abusi, raggiri e mistificazioni, che vengono perpetrati proprio in quel palazzo.
Che la smettano di offendere la comune intelligenza, addebitando i disastri alluvionali alla Calamità naturale. Anche le pietre sanno che è tutta conseguenza della malagestione regionale: per mancata pulizia degli alvei e nessun riguardo alla loro sezione di deflusso.
Nel martoriato Metapontino, per esempio, il Basento è ormai una boscaglia ed ha una sezione di deflusso ridotta a meno di un terzo di quella necessaria per contenere le sue portate idriche di ritorno annuale. Per questo subisce l’inondazione 2-3 volte all’anno. La sezione di deflusso (ampiezza e capienza dell’alveo) è un parametro tecnico importante per il calcolo della portata idrica. Ed è contemplata dalle regole dell’Idraulica e dalle leggi sui corsi d’acqua.
Ma per alcuni Cialtroni di dirigenti, cui sono affidati i nostri fiumi: “la sezione di deflusso è una stronzata”. Ripudiano ed ostacolano ogni forma di prevenzione -specie se a costo zero come l’attività estrattiva- e perseguono il disastro e la somma urgenza: vi arrivano più risorse e si azzera il controllo. Allegria!!!!
Sono dei Mistificatori, che, per soffocare l’estrazione fluviale, sostengono che il prelievo di inerti fluviali è la causa dell’erosione costiera: una madornale falsità.
Ed è proprio su questa Menzogna – spacciata per verità da Studiosi dell’UNIBAS, Replicanti della cultura, Marpioni in tuta verde e Velinari della stampa – che si fonda la scellerata politica regionale che sta distruggendo il territorio lucano.
E comunque, in vista di nuovi fondi in arrivo, e prima che si dia corso allo spreco, la domanda nasce spontanea: a cosa sono serviti i 150 milioni di euro finora spesi per “sistemare” il Basento, visto che il povero fiume è ancora tutto da sistemare???.
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