I conti di Obama, i nostri e la corda sull’abisso
Se si applicano le proiezioni del Congressional Budget Office alle proposte presentate e sostenute dall’amministrazione Obama, quest’anno la spesa primaria federale Usa toccherà il record dal secondo dopoguerra – un 26% del GDP che a noi italiani abituati al doppio farà pure sorridere, ma negli USA fa tremare. Soprattutto, di qui al 2018 la spesa pubblica federale resterà ancora in deficit a botte non inferiori del 5% del GDP l’anno, con un debito pubblico aggiuntivo superiore ai 9 trilioni di dollari. Il debito pubblico passerebbe così dal 41% del GDP precrisi, a superare il 100% nel 2020. È una corda tesa sull’abisso. E poiché noi all’America ci teniamo innanzitutto per se stessa, e poi perché senza di lei il mondo cresce meno e cresce peggio, il problema che “ci” riguarda è: come uscirne?
Sostanzialmente, le strade sono tre. La prima è quella di un energico consolidamento fiscale. La seconda, quella di una massiccia inflazione. La terza, il default.
Per consolidamento fiscale si intende una massiccia manovra di politica di bilancio che riequilibri il deficit primario, pari ad almeno un punto e mezzo-due punti di GDP l’anno. Naturalmente, si può agire riducendo la spesa, aumentando le tasse, o con un mix di entrambi. L’innumerevole quantità di studi che si è accumulata in materia negli anni Ottanta-Novanta prova, serie storiche dei diversi Paesi alla mano, che hanno ragione Alberto Alesina e Roberto Perotti. Sono i capofila di coloro che dimostrano come il riequilibrio da una parte più solido in termini di stabilità di lungo periodo, e dall’altra più pronubo alla crescita dell’economia, avviene quando ci si concentra sul taglio della spesa pubblica.
L’Italia ha fatto purtroppo diversamente, e si vede. Negli anni 1976, 1982, 1983, 1991, 1992, 1993, 1997, in ciascuno di essi il governo in carica ha effettuato manovre di finanza pubblica di portata tale da rientrare nella categoria del “consolidamento”: tranne in due occasioni per frazioni di punto, mai una volta tagliando la spesa ma sempre alzando le imposte . Risultato: produttività a picco; bassa offerta e domanda di lavoro; bassa crescita; diminuzione costante del Pil potenziale italiano, che variava ancora di un più 3,9% l’anno nei primi anni ’80, poi del 2,6% nei primi anni ’90, solo dell’1,6% nel 2000, e infine di un misero 0,6% nel 2008 (badate bene che parlo del Pil “potenziale”, quello che si realizzerebbe a pieno utilizzo di tutti i fattori…).
Gli Stati Uniti, in passato, hanno quasi sempre seguito la strada più virtuosa. Nel 1946 il debito pubblico postbellico USA ammontava al 121,7% del GDP. Nel 1956 era sceso al 64%, e nel 1966 – prima del Vietnam che lo fece risalire – era al 43,5%. Il riallineamento non fu ottenuto alzando le tasse, che restarono pari più o meno al 17% del GDP nel ventennio 46-66. Ma abbattendo la spesa pubblica federale, che passo da oltre il 25% del GDP al 17,8%. Occhio a quel 25%: vi fa capire perché in America tanti inizino a rabbrividire e a sfilare in piazza contro Obama. Non perché siano rozzi e razzisti: ma perché la spesa pubblica primaria di Obama – al netto degli interessi da pagare sul debito pubblico – supera il totale della spesa pubblica nell’anno finale del secondo conflitto mondiale!
Gli Stati Uniti, come tutti, come noi italiani per primi, dovebbero ricordare la lezione e imboccare di nuovo la strada del “meno spesa-meno tasse”, invece di fare l’esatto contario. Certo, resta la via del ridimensionamento del debito pubblico attaverso l’inflazione, e qella di un default con parziale o total ripulsa del debito. La prima genera instabilità e penalizzerebbe noi europei ancor più che americani ed asiatici. La seconda, significherebbe che l’America come la conosciamo è semplicemente finita una volta per tutte. Piacerà a qualcuno, tale prospettiva, non lo metto in dubbio. Ma a me fa inorridire.
Per chi volesse approfondire, utilissimo l’appena edito paper dell’American Enterprise.
ITALIA : il partito trasversale della spesa è elettoralmente inataccabile.. la deriva fiscale è insostenibile.. ricordiamoci però che il 42% di pressione sul PIL (incluso il nero) equivale a ben oltre il 50% su chi paga.. la si dovrebbe (ma non si farà) intervenire CONTEMPORANEAMENTE su entrambi i lati del bubbone..
USA : la bolla del debito pubblico USA al 100% rappresenta potenzialmente il punto di SVOLTA a V nel passaggio di consegne del mondo dall’occidente all’oriente.. però a differenza tua (credo!) ho un dubbio… e cioè che Obama farà di fatto migrare il debito privato (carte credito, spese x assicurazioni sanitarie, mutui, azioni ipervalutate, eccetera) verso il debito pubblico.. un cambio di nome certo non neutrale ma “quasi” equivalente in termini di saldo quantitativo.. il nodo gordiano è il deficit delle partite correnti con l’estero cioè gli over-consumi rispetto al reddito disponibile tantochè la Cina ha in mano / ricatto i Treasury (qualcuno dice addirittura che nel 2007/inizio 08 i Cinesi furono avvisati dal governo americano della tempesta imminente e spostarono le loro disponibilità dai Tossic Bond $ ai più sicuri Treasury $… farli arrabbiare era troppo pericoloso)… MA nessuno dirà mai agli americani di consumare di meno sino a che non saranno con l’acqua alla gola… quindi l’unica soluzione ulteriormente rinviatoria sarà una bella iperinflazione mondiale (che verrà bene anche anche ai debiti europei)..
comprate Oro sopra i 1000$ l’oncia e nel lungo non sarà solo un rifugio ma anche un investimento 🙂
ad integrazione sull’ITALIA… ecco dove andranno i soldi dello scudo.. così oltre che immorale sarà pure dannoso…
Venerdì 18 Settembre 2009, 17:36
Bonanni, preoccupano contratti PA
(ANSA)- VENEZIA, 18 SET- ‘Siamo preoccupati per il contratto del pubblico impiego’: lo ha detto Raffaele Bonanni, leader del Cisl. ‘I patti saranno rispettati”. Cosi’ il ministro per la Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, a margine del forum dei giovani imprenditori di Confcommercio, ha risposto al segretario della Cisl Raffaele Bonanni che si diceva preoccupato per le risorse destinate ai contratti per il pubblico impiego.