I cattolici nei tempi nuovi della cristianità
Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Francesco Provinciali
Abbiamo imparato sui banchi di scuola a contestualizzare gli eventi, collocandoli nel presente e – insieme – nel flusso dei fatti della storia. La contestualizzazione è l’opposto del radicalismo ideologico e del dogmatismo: è aderenza alla realtà e sua lettura, attraverso gli strumenti del pensiero critico, della ragione e dell’etica.
Non significa “secolarizzare” o rendere relativo e avulso dalla storia il presente: al contrario implica uno sforzo di conoscenza, comprensione e interpretazione della realtà per vivere con maggiore consapevolezza il proprio tempo.
Siamo tutti in diversa misura attori e partecipi della vertiginosa accelerazione impressa al modus vivendi e al modus operandi nei costumi sociali e negli stili di vita individuali degli ultimi decenni, anche in relazione alla straordinaria incidenza che le nuove tecnologie e la loro diffusione hanno avuto nella deriva della globalizzazione e in quella opposta che le sta subentrando: poiché i corsi e ricorsi storici ci hanno insegnato che non esiste un anno zero, in cui tutto si annienta per dare spazio ad una improbabile teoria del cominciamento che escluda una continuità con il passato. Siamo inesorabilmente legati a doppio filo alle coordinate spazio-temporali della storia, che è continuità, flusso, deriva, divenire, panta rei.
In molti hanno colto l’immenso sforzo della Chiesa nella seconda metà del ‘900 di contemperare l’ortodossia della dottrina con l’aderenza all’evoluzione culturale, economica e sociale dell’umanità. Non più (solo) la Chiesa del “secretum et archivium” ma la Chiesa che si misura e si confronta con il mondo.
Non possiamo dimenticare le parole con cui Papa Giovanni XXIII aprendo il Concilio Vaticano II – nel lontano 1962 – metteva in guardia dai “profeti di sventura, che annunziano eventi sempre infausti, quasi sovrastanti la fine del mondo. Nei tempi moderni essi non vedono che prevaricazione e rovina, vanno dicendo che la nostra età, in confronto con quelle passate, è andata peggiorando e si comportano come se nulla abbiano imparato dalla Storia che pure è maestra di vita”.
Troviamo in queste parole la prima grande apertura ai tempi nuovi dell’era moderna. Nè si può tacere una più recente esortazione di Papa Francesco nell’omelia di Santa Marta del 23 ottobre 2015: “I tempi cambiano e noi cristiani dobbiamo cambiare continuamente … È proprio della saggezza cristiana conoscere questi cambiamenti, conoscere i diversi tempi e conoscere i segni dei tempi. Dobbiamo cambiare saldi nella fede in Gesù Cristo, saldi nella verità del Vangelo, ma il nostro atteggiamento deve muoversi continuamente secondo i segni dei tempi”.
Una esortazione di fondamentale importanza che spiega il rinnovamento impresso da Papa Francesco alla Chiesa cattolica, come apertura di credito all’agire dell’uomo e impulso ad un continuo riallineamento tra ortodossia e realtà, consapevolezza del presente, nelle alterne vicende della vita: forse nessun saggio laico eguaglia l’Enciclica “Laudato sì” nello sforzo interpretativo ed ermeneutico dell’epoca pandemica, attraverso la visione olistica di tutti i temi sottesi, così come è difficile ignorare quanto sia penetrante l’attenzione verso le solitudini dell’era globale che si coglie nella lettura di “Fratelli tutti”.
Questi brevi riferimenti contengono spunti di riflessione e sono di stimolo ad una presenza dialogante nel dibattito culturale del nostro tempo, con riguardo ai temi della famiglia, dell’educazione, del lavoro, della sicurezza, dell’informazione, dell’emigrazione, della salute, dell’ecologia che incombono in un mutato contesto sociale di vita dove emergono nuovi diritti individuali e collettivi.
Dopo l’ubriacatura espansiva verso il “possesso del mondo” (finanza, denaro, successo, carriere, competizione, invidia) Papa Francesco ci parla di povertà, mitezza, benevolenza, misericordia. Oltre la dimensione strettamente religiosa, dovremo indirizzarci verso nuovi stili di vita e misurarci con una più consapevole sobrietà.
Come ricorda Giuseppe De Rita: “Dobbiamo rimettere gli altri al centro dei nostri interessi, evitando di misurare l’esperienza delle cose e della vita a partire dai nostri personali egoismi, e allontanandoci da quella sorta di fagocitosi del mondo che ci conduce ad una concezione esclusivamente individualistica e possessiva della vita. A questo si aggiunga la capacità straordinaria della Chiesa di leggere e anticipare i tempi e inoltre di indicare e aggiornare modelli esistenziali più consoni allo spirito del Vangelo”. Parole che indicano una strada ai cattolici del nostro tempo, per non essere “profeti di sventure” ma artefici di speranze.
Anche proprio a partire da una presenza nella gestione della res publica, poiché come descritto da Bauman e Blumenberg mancano a questa società liquida approdi e porti che ci evitino il naufragio, riferimenti e valori caduti in disuso e mai sostituiti, visioni di modelli sociali rassicuranti che reggano l’impatto con il declino della responsabilità e della competenza, ancoraggi sicuri nel mare magnum della decadenza culturale e del pressapochismo etico che sembrano affliggere questa epoca.
Quale contributo possono offrire all’idea di bene comune e di interesse condiviso i cattolici impegnati in politica, ai quali spesso la Chiesa stessa – avendo superato la dicotomia tra potere temporale e spirituale – chiede un impegno attivo e propositivo? Ripartire dalle origini: è un invito ricorrente e a più voci, della Chiesa stessa, del mondo dell’associazionismo, della politica che ha un fondamento nei padri nobili, Don Sturzo, De Gasperi, La Pira, Dossetti e quelli che parteciparono alla stesura del Codice di Camaldoli e alla Costituzione Repubblicana. Fermo restando il principio della laicità dello Stato, spetta ai cattolici portare un valore aggiunto che fa la differenza.
Ricorda il Teologo Mons. Bruno Forte: “Il fondamento dell’idea di bene comune, nella prospettiva del personalismo cristiano, non può che essere la dignità infinita di ogni essere umano, soprattutto del più debole. Bisogna riconoscere l’altro non come concorrente o avversario, ma come dono: è solo allora che il bene comune si illumina del suo senso più profondo”.
Si tratta di un bene che realizza la persona umana in tutte le sue potenzialità, ad ogni livello, a cominciare da quello di chi meno ha ricevuto, ha meno possibilità ed è più esposto alla tirannia del tempo e allo sfruttamento dell’altro. Quando l’idea di bene comune saprà essere coniugata nei fatti e nelle scelte alla promozione di tutto l’uomo in ogni uomo, manifesterà tutta la sua straordinaria potenzialità e questa è la grande ispirazione della dottrina sociale della Chiesa che sta alla base della nostra Costituzione Repubblicana, attraverso il Codice di Camaldoli che entrò nello spirito costituente come carta fondamentale della convivenza civile nel nostro Paese.
Concludiamo questa riflessione con Giuseppe De Rita: “Trovo che quello che manca alle nostre modalità di conoscenza della vita e del mondo sia fondamentalmente il concetto di prossimità. Oggi viviamo e annunciamo il primato del remoto e dell’ignoto mentre invece la qualità umana e sociale è impregnata da valori umani, individuali e comunitari. Dobbiamo riscoprire il senso della comunità, il gusto del farne parte. Non possiamo immaginare che la democrazia consista e si risolva nel mandare un certo numero di mail, nel presenziare nel web o nel rispondere ad un blog. La vita è fatta di passioni, emozioni, sentimenti, azioni concrete, conoscenza e riflessione”.
Confrontarsi con lealtà e coraggio nel mondo e con il mondo, lo sguardo rivolto al futuro.